Il G-20 è sempre un incontro che alla fine porta a nulla di interessante. Si fanno sempre tante parole per nulla. Ma questa volta erano attesi dei commenti su cosa sta accadendo a livello macroeconomico globale. Il riferimento è indirizzato in particolar modo alla Cina e alla sua politica di gestione della crisi quantomai “particolare”.
Lasciando da parte le prese di posizione più normali, quindi il taglio delle riserve obbligatorie delle banche, il taglio dei tassi, le iniezioni di liquidità, considerando persino normale il cosiddetto QE alla cinese, dove si è andato a finanziare direttamente aziende che hanno utilizzato il denaro per comprare equity. Oltre a tutto questo c’è stata la svalutazione competitiva dello yuan e le prese di posizione da “regime” su mercati azionari.
Insomma, Cina assoluta protagonista, ma Cina anche grande problema del 2015.
Tornando alla cosiddetta “guerra valutaria”, bisogna subito parlare di cosa hanno fatto le nazioni facenti parte del G20.
Le 20 maggiori economie del pianeta si sono impegnate congiuntamente a evitare le svalutazioni competitive, giudicandole una minaccia alla stabilità. Lo ha riferito un esponente del Tesoro americano, citato da Dow Jones a margine del G20 delle Finanze in corso ad Ankara. Una riunione che in buona misura è stata dominata dalle recenti turbolenze dei mercati e dai segnali di rallentamento in vari Paesi, tra cui la Cina che nelle passate settimane ha operato proprio una marcata svalutazione della sua divisa, lo yuan.
Una mossa contraddittoria rispetto agli impegni che solitamente vengono sottoscritti in queste riunioni. E infatti puntuale sta arrivando il comunicato in cui si esortano gli stati a non svalutare le loro monete. (Source)
Ecco, già solo per questo il G-20 è stato “diverso” dal solito. Ma allo stesso momento denuncia lo stato di emergenza della problematica Cina, una “mina vagante” che fa paura agli altri paesi membri.
Sempre secondo la fonte Usa, la Cina si è impegnata a portare avanti una agenda di riforme economiche, mentre queste ultime potrebbero spianare la strada ad un ingresso dello yuan nel paniere di valute utilizzate come riserva dal Fondo monetario internazionale. Secondo Washington le recenti turbolenze dei mercati hanno rappresentato una lezione per le autorità cinesi.
Lo speriamo bene, anche perché il comportamento delle unità governative cinesi hanno provocato, come abbiamo visto in settimana, copiose uscite di capitali. Ennesima conferma, questa, che il VERO problema non è la FED che potrebbe alzare oppure no, non è la frenata degli emergenti che per larga misura dipende anche dalla crisi cinese, non è l’instabilità politico sociale. Ma è la Cina.
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ma perché, cosa hanno fatto Fed e Bce con i vari QE ?????