FOMC: dal Trump Trade al Powell Trade
E’ già tempo di svoltare pagina e il giorno dopo le elezioni USA eccoci al FOMC.
In una giornata segnata da molteplici segnali contrastanti, simboleggiati dalla cravatta viola del presidente della Fed, Jerome Powell ha guidato la Federal Reserve attraverso un’altra importante decisione di politica monetaria. I mercati hanno mostrato reazioni positive, con il Nasdaq in rialzo e il VIX in discesa, mentre l’attenzione degli investitori si è rapidamente spostata dal “Trump trade” al “Powell trade”, evidenziando la centralità della Fed nelle dinamiche di mercato.
Powell: “I’m feelling good”
La Federal Reserve ha proceduto con un taglio dei tassi di 25 punti base, seguendo il precedente taglio di 50 punti base. Con questa mossa, i tassi d’interesse, pur mantenendo un carattere restrittivo, si sono attestati al 4,5%. Citando scherzosamente Michael Bublé, Powell ha espresso un cauto ottimismo sull’economia con un “I’m feeling good”, anche se privo dello swing caratteristico del cantante. Tuttavia, il presidente della Fed non ha mancato di evidenziare preoccupazioni significative, in particolare riguardo alla politica fiscale, definita esplicitamente come “on an unsustainable path”.
La FED ha deciso di continuare nel percorso di allentamento della propria politica monetaria, tagliando i tassi di interesse di 25 punti base. Nel corso della riunione del FOMC (il Federal Open Market Committee) i componenti del board hanno ridotto il saggio di riferimento, ora fissato in un intervallo compreso tra il 4,5% e il 4,75%, segnalando che l’inflazione ha fatto progressi verso l’obiettivo del 2%, anche se rimane un po’ elevata. Il FOMC continuerà a valutare attentamente i prossimi dati macroeconomici, l’evoluzione dell’outlook e il bilanciamento dei rischi. La decisione è stata presa con il voto favorevole di tutti i componenti del FOMC. (Source)
Il messaggio sottostante è chiaro: l’attuale livello di deficit, pur coesistendo con la piena occupazione, potrebbe portare a conseguenze significative in caso di ridimensionamento, conseguenze che esulano dal controllo della Federal Reserve.
NO news, good news??
Le modifiche rispetto alle comunicazioni di settembre sono state minime, con l’attenzione ora rivolta a dicembre e all’aggiornamento delle previsioni macroeconomiche. Di fronte a questioni come dazi, politiche migratorie, tagli fiscali e programmi di spesa, la posizione della Fed rimane cauta: “Non facciamo ipotesi, non speculiamo e non diamo nulla per scontato.”
Intanto i future ci dicono che un taglio di ulteriori 25bp è pari al 76.5% ma con una FED data dependent non diamo nulla per scontato.
La Fed ha delineato un approccio pragmatico: le decisioni saranno basate sui segnali provenienti dall’economia reale, mantenendo una flessibilità necessaria in un contesto complesso. Un momento significativo è arrivato con una domanda diretta sulla possibile richiesta di dimissioni da parte del presidente Trump. La risposta di Powell, concisa e diretta in due lettere, ha ribadito l’indipendenza dell’istituzione, un principio fondamentale per la credibilità della politica monetaria americana.
Ma sarà veramente cosi?
FED credibile ed indipendente? Anche con Trump?
La credibilità della Fed è messa in discussione dalla percezione pubblica della sua indipendenza. Un’analisi recente rivela un quadro preoccupante: il 66% degli elettori democratici crede che la Fed favorisca i repubblicani, mentre il 60% dei repubblicani pensa l’opposto. Ancora più significativo, l’84% degli intervistati, indipendentemente dall’orientamento politico, riteneva che la Fed avrebbe assecondato le richieste di Trump in caso di sua vittoria.
Questa mancanza di fiducia nell’indipendenza della Fed deriva da due fattori principali: un assetto istituzionale che permette maggiori ingerenze politiche rispetto ad altre banche centrali come la BCE, e una limitata trasparenza che lascia spazio a interpretazioni influenzate dall’ideologia politica.
Inizia la partita baby, mettiti comoda, qui sulla giostra non ci si annoia mai.