POLIZZE VITA: ennesima causa di rischio sistemico. E lo dice il FMI
Proprio qualche giorno fa parlavamo in un post e nei relativi commenti, di come investire il denaro nella parte “core” del portafoglio.
Secondo alcuni lettori, la soluzione giusta era la polizza assicurativa, in quanto è a capitale garantito, non si rischia nulla ed è ancora uno strumento remunerativo. Inoltre ha un vincolo temporale che nella maggior parte dei casi dà la disponibilità al disinvestimento una volta trascorso il dodicesimo mese dalla sottoscrizione. E infine i prodotti assicurativi sono ancora esenti dall’imposta Monti, ovvero il bollo dello 0.2% sul dossier titoli.
Sempre nei commenti, ho subito fatto capire che tali prodotti rischiano di essere tutt’altro che “risk free”. E guarda caso, ecco cosa dice il FMI proprio sui prodotti assicurativi alcune ore fa.
Parliamo del Global Financial Stability Report, (che mette anche l’accento, occorre dirlo, sui rischi derivanti dalla frenata di Cina e Brasile, vedi qui) secondo il quale i grandi gruppi assicurativi ‘sono piu’ esposti ai movimenti dei prezzi sulle attivita’ finanziarie. In caso di shock, come un calo dei prezzi, potrebbero non essere in grado di adempiere al loro compito di intermediari finanziari’.
Il settore assicurativo, con più di 24mila miliardi di dollari di asset, è sempre più importante all’interno del sistema finanziario e rappresenta un rischio crescente. Le grandi società sono «più esposte ai movimenti dei prezzi degli asset. E in caso di shock, quale un crollo dei prezzi, potrebbero non essere in grado di adempiere al loro compito di intermediari finanziari». Lo afferma il Fmi nei capitoli analitici del Global Financial Stability Report. «Questi sviluppi nel settore assicurativo richiedono una maggiore enfasi su politiche macroprudenziali. Le autorità di supervisione del settore non dovrebbero guardare solo alle singole società, ma all’impatto del settore nel suo insieme , delle società le une sulle altre e nei singoli paesi» mette in evidenza il Fmi. (Sole)
Ecco fatto. Un prodotto finanziario, nato per essere estremamente difensivo, rischia di non esserlo più a causa di un mercato ormai saturo e dimensionalmente ingestibile.
«Una delle misure potrebbero essere i cuscinetti di capitale, che le società assicurative potrebbero accantonare durante periodi economici positivi per usarli poi durante periodi negativi».
Torniamo al discorso degli accantonamenti. Ma vi rendete conto cosa potrebbe “costare” questo tipo di accantonamento?
Le compagnie di assicurazione, dice il Fmi, «sono fonte rilevante di rischi patrimoniali di lungo termine per l’economia reale e sono tra i maggiori investitori istituzionali, detenendo circa il 12% degli asset finanziari globali, ovvero 24mila miliardi, di cui circa l’85% in mano alle assicurazioni che erogano polizze sulla vita».
Per questo, secondo il Fmi, «la crisi finanziaria ha messo il settore assicurativo sotto i riflettori come fonte di possibili rischi finanziari sistemici», dal momento che hanno passività di più lungo termine rispetto alle banche, maggiore diversificazione degli asset e un’interconnessione meno estesa con il resto del sistema finanziario. Come fa notare l’istituto di Washington, «nel caso di uno shock avverso, è improbabile che le compagnie di assicurazione onorino il loro ruolo di intermediari finanziari, specie quando neppure altri attori del sistema finanziario non riescono a rispettare il proprio ruolo».
Ecco fatto, cari amici. Un altro tassello che ci fa capire una cosa: siamo sempre più prigionieri di un meccanismo perverso che non ci dà via d’uscita. Pensate solo un attimo a cosa potrebbe comportare un violento aumento della volatilità sui nostri BTP, che costituiscono l’asset più importante delle gestioni separate.
Ma non è tutto, questo è spolo un aspetto del problema. Immaginate invece che i tassi continuino a restare bassissimi ancora per tanti anni.
(…) «In un contesto prolungato di bassi tassi di interesse, come sembra prospettarsi, i tradizionali prodotti assicurativi con garanzia di rendimento continueranno ad avere un significativo appeal, anche fiscale, presso la clientela –, sottolinea anche Stefano Frazzoni di Prometeia –. Ma la domanda vera è se, e soprattutto a quale costo (in termini di assorbimento di capitale), le compagnie riusciranno a sostenere in prospettiva questi impegni di rendimento? ». (…) (Sole)
E’ proprio questo il problema: come faranno le compagnie assicuratrici a adempiere ai loro obblighi? Immaginatevi le compagnie tedesche che anni fa hanno emesso polizze con rendimento minimo garantito a tassi oggi improbabili, tipo 4% o anche solo 2%. Oggi il Bund a 7 anni è a rendimento fortemente negativo. Quindi per le compagnie assicuratrici le gestioni separate rappresentano un costo importante, che viene “limitato” con l’utilizzo di coperture, imbottendo i portafogli di derivati. MA è questa la soluzione oppure è l’ennesimo modo per creare i presupposti per una ingestibile frittata finanziaria?
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