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PETROLIO: prezzi ancora in discesa. E molti paesi rischiano la crisi.
Quanto sta avvenendo al prezzo del petrolio è non di poco conto. Negli ultimi mesi, l’oro nero è letteralmente collassato. Nel grafico qui sopra potete vedere quanto ha perso in soli 4 mesi: oltre il 25%.
Certo, diamo colpa al rallentamento dell’economia globale, diamo anche colpa all’OPEC come scritto in questo post. Oppure diamo la colpa anche alle strategie politiche per mettere alle corde certi stati.
Se proviamo a guardarci indietro, come ci ricorda l’Economist, la crisi della Russia nel 1991 ha avuto origine proprio dalla crisi del prezzo del petrolio.
La decisione dell’Arabia Saudita di aumentare la produzione per proteggere la sua quota di mercato è stata veramente una sopresa. In altre occasioni per difendere il prezzo del WTI, l’OPEC tagliava la produzione. Questa volta la strategia è diversa e gli effetti su certi produttori potrebbero essere devastanti.
Infatti voi sapete quali sono i 3 paesi più sensibili ad un vistoso calo del prezzo del petrolio?
L’Iran, la Russia ed il Venezuela.
For those governments that have used the windfall revenues from higher prices to run aggressive foreign policies, by contrast, things could get uncomfortable. The most vulnerable are Venezuela, Iran and Russia.
The first to crack could be Venezuela, home to the anti-American “Bolivarian revolution”, which the late Hugo Chávez tried to export around his region. Venezuela’s budget is based on oil at $120 a barrel. (…)
Iran is also in a tricky position. It needs oil at about $140 a barrel to balance a profligate budget padded with the extravagant spending schemes of its former president, Mahmoud Ahmedinejad. (…)
Compared with these two, Russia can bide its time. A falling currency means that the rouble value of oil sales has dropped less than its dollar value, cushioning tax revenues and limiting the budget deficit. The Kremlin can draw on money it has saved in reserve funds, though these are smaller than they were a few years ago and it had already budgeted to run them down. (Economist)
Quindi, prendendo in esame i primi due stati, Iran e Venezuela, un petrolio a 80 $ al barile è insostenibile nel lungo periodo. Ancor di più per il Venezuela, ormai ad un passo dal default. Per la Russia si parla di un petrolio che non dovrebbe esistere sotto i 100$/bar. Ma oggi quei livelli sono lontani.
Eccovi qui la grafica compilata dal Wall Street Journal
In tutta questa vicenda resta secondo me un importante risvolto politico che non può passare in secondo piano.
Iran, Venezuela, Russia: tre paesi che non sono proprio filo americani. Non pensate?
Infine un’ultima curiosità.
Noi italiani, vivendo in un paese povero di materie prime, festeggiamo alla notizia che il petrolio continua a scendere (visto che lo importiamo totalmente) e se poi a questo evento aggiungiamo un Euro che si stabilizza allora abbiamo solo da gaudagnarci.
In realtà diverse analisi ci dicono che sarebbe meglio, per il bene della crescita economica globale, avere un petrolio a ben altri livelli. Infatti con un prezzo più alto, i produttori non vedrebbero ridursi i loro profitti e investirebbero cospicue risorse nel sostenere le economie dei paesi consumatori. Flussi finanziari che andrebbero a sostenere le economie dei paesi “core”, il tutto condito con un aumento di capitalizzazione e di dividendi dei titoli petroliferi (ENI ne è un esempio). Invece oggi capita tutto il contrario per le ragioni sopra esposte.
Lasciando le ragioni meramente italiche, non possiamo negare che in crollo troppo forte del petrolio potrebbe generare in quei paesi non pochi problemi. Come detto il Venezuela diventa ancor più prossimo al default. E per gli altri paesi non si escludono peggioramenti a livello sociale, aumentandone l’instabilità. Senza poi dimenticare che parliamo di Russia e Iran. Non proprio due paesi amici agli USA, che insieme qualche problemino potrebbero anche generarlo.
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Legge del boomerang: ciò che lanci torna indietro o meglio ancora se preferiamo chi semina vento raccoglie tempesta. Penso che gli usa siano proprio come sostieni il nocciolo del problema, solo che non sappiamo se han fatto bene i conti. 1) Shale gas e oil 2) quotazione della propria valuta legata al petrolio ( mi sembra che se cala il prezzo del petrolio congiunto ad un calo della domanda del petrolio di conseguenza diminuisce anche la richiesta di dollari con conseguente deprezzamento della valuta e a seguire probabilmente anche sulla bilancia commerciale ).
Lo stato più accorto è stato il canada che ha ben pensato di non investire più di 2 mld $ nelle sabbie bituminose proprio per la paura che l’arabia potesse avere l’opportunità ( o su volere degli usa ) di abbassare il prezzo del petrolio fino anche a 10$ ( allora si parlava di prezzo produzione arabia 5$ contro canada 70$ ).
Ciao Danilo, vorrei integrare se posso il tuo interessante post.
Leggendo in giro su Peakoilbarrel, effettorisorse, osservamondo, ourfiniteworld e altri siti si leggono dati diversi in merito al costo di estrazione/produzione di petrolio.
Innanzitutto i costi da te esposti dovrebbbero contenere anche i costi degli investimenti (capex) e i dividendi corrisposti agli azionisti/governi, quindi è un costo complessivo.
Mentre i costi vivi sono un poco più bassi.
Dappertutto trovo conferma che il Venezuela è il paese più in pericolo: oltre il 90% della propria bilancia dei pagamenti dipende dalle esportazioni di greggio. Il costo alto del greggio venezuelano dipende dal fatto che il loro prodotto è di bassa qualità quindi serve molta energia per raffinarlo, quindi costi superiori
Per ciò che riguarda la Russia alcuni analisti non la vedono così nera.
Il petrolio russa è di buona qualità, sembrano essere su un plateau di produzione e non possono procedere con ulteriori esplorazioni con gli attuali prezzi.
C’è da dire che la Cina potrebbe compensare alle mancate esportazioni verso l’Europa.
A mio avviso la Russia non avrà grossi problemi con questi prezzi, ovvio che se scendono a 60 son caxxi
L’Iran pare veramente che abbiano costi molto alti, ma il loro petrolio è di buona qualità…
I costi elevati penso dipendano da una scarsa efficienza nel trattamento/trasporto, non mi dò altre motivazioni…
Però l’Iran punta soprattutto alla cancellazione dell’embargo economico, quindi se ottiene tale agevolazione il bilancio statale avrà un bel vantaggio, oltre al fatto che potrà andare avanti con gli esperimenti nucleari
Condividendo le valutazioni geostrategiche poste da DT, credo possa essere interessante anche la seguente interpretazione:
http://ourfiniteworld.com/2014/10/06/wsj-gets-it-wrong-on-why-peak-oil-predictions-havent-come-true/
…la faccenda euroitaliana sta assumendo delle tonalità gustose, il Nostro, almeno a parole delle quali notoriamente è parco, quasi avaro, sembra aver cambiato tattica, deve aver capito che non lo cosonsiderano sufficiente per la spennatura dell’italico popolo e che comunque lo faranno fuori.
Sarà tattica raccattaconsensi o altro?
Vedremo quali saranno i futuri sviluppi.
Non va scordato che a novembre ci sono elezioni negli Usa. gia’ l’altra volta, c’era sempre Obama, il prezzo del petrolio scese, si cerca con il prezzo alla pompa diminuito, di invogliare l’elettore a votare in un certo modo….dopo le elezioni il prezzo tornera’ a salire, attualmente e’ troppo scollegato ai costi di esteazione e necessita di una remunerazione. Certo che se intanto crolla il venezuela, il cui governo e’ nemico degli usa, questi ultimi non saranno certo scontenti…non vedrei nessun problema per russia ed iran.
Ho trovato questo sito di grafici storici, se vi interessa:
Il petrolio nel 2003 valeva circa 25 per arrivare alla fine del 2006 a 60 per poi toccare 140 prima della crisi del 2008 (io penso sia stato anche una concausa importate di quest’ultima). Non capisco per quale motivo il prezzo di oggi possa creare dei danni a quei paesi elencati, a meno che abbiano adeguato le loro spese al prezzo degli ultimi anni non pensando che poteva scendere (già nel 2009 era sceso a circa 35).Va tu a capire come molti paesi compreso il nostro vengono gestiti!