Materie prime in crisi. E anche le grandi banche USA le abbandonano
JPMorgan Chase, Morgan Stanley e Goldman Sachs. Il rallentamento del trend rialzista delle commodity spinge i top player a voler cedere rami aziendali ed attività che facevano business nel settore. Un chiaro segnale che per le materie prime saranno tempi duri.
Credo che chiunque, anche coloro che non seguono in modo “maniacale” l’analisi intermarket, conosce un minimo di correlazione tra il prezzo delle commodity e l’azionario.
Inoltre è nota l’importanza del fattore “domanda” di materie prime proprio da parte dei paesi emergenti, ovvero quelle aree che fino a qualche mese fa correvano all’impazzata, assorbendo l’esubero di produzione di beni, e che oggi invece si ritrovano con qualche problemino.
Rallentamento economico maggiore del previsto, bolle immobiliari, rischio di liquidità, inflazione e quant’altro. Un mercato che quindi ha cambiato pelle, tanto che la banca regina del mercato delle commodity ovvero JPMorgan Chase fa dietro front e pensa seriamente diuscire dal business del commercio delle materie prime fisiche. Senza poi dimenticare il rallentamento degli entusiasmi di altri due colossi che rispondono al nome di Goldman Sachs e Morgan Stanley. Si parla anche di motivazioni reputazionali. Può darsi, ma queste banche che di scrupoli non se ne fanno di certo, vanno dove si può fare denaro. L’etica? Beh, lasciamola agli altri…
As JPMorgan Chase & Co prepares to exit physical commodities trading, the spotlight is turning to the future of the two banks that have dominated Wall Street’s involvement in the natural resources supply chain for 30 years.
Goldman Sachs and Morgan Stanley two decades ago became known as the ‘Wall Street Refiners’ for their mastery of both financial and physical commodities.
But since 2012 Morgan Stanley has looked at selling its commodity arm and Goldman has made moves to scale back its physical operations.
Letters between the banks and the Federal Reserve, received by Reuters under the Freedom of Information Act, show both banks are in discussions on conforming or divesting activities that fall outside the normal scope of commercial banks.
(…)
The question is, in part, whether they will be able to choose their own future, or will the Federal Reserve’s decision to review the entire role of Wall Street in physical commodities markets see regulators make the choice for them?(Moneycentral)
Ovviamente la motivazione è semplice. Le commodity non rappresentano più un business come ai bei tempi, perché “non tirano più”. E se le banche USA escono da questo mercato, credo ci sai da preoccuparsi, proprio perché se non ci credono più loro, allora…che ne sarà della crescita globale?
L’Indice CRB continua infatti nella sua fase ribassista…
…e la sua discesa è legata a un po’ tutte le materie prime. Ferrosi, alimentari e anche preziosi. Insomma, un macro trend secolare viene messo in discussione, mentre le conseguenze di un tale dietro front vengono al momento sottovalutate dal mercato. Il mercato delle materie prime è guidato ovviamente dalla produzione, dalla domanda di beni, dalla crescita economica. Tre fattori che quindi, nei prossimi anni, latiteranno.
Se poi aggiungiamo il fatto che le banche centrali sono in fase di “rallentamento” della politica monetaria espansiva (mi riferisco alla FED, la guida per i mercati, mentre come detto sulle altre ci sono discorsi divergenti ) con il tapering, più il rischio di credit crunch, bolle speculative e quant’altro, ditemi voi cosa dobbiamo aspettarci per i prossimi mesi.
Quindi mercati fortemente “bearish” ? Ovviamente non è detto in quanto anche stavolta la politica monetaria potrebbe metterci (nuovamente) del suo, ma sarebbe il solito antidolorifico che allunga l’agonia. Mentre il tessuto economico va in cancrena.
STAY TUNED!
DT
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Infatti, l’ho postato su TWITTER.
RT @macroscope: U.S. economy grew 1.7% in second quarter, well above forecasts http://t.co/jwpe7Sk4f2
— Intermarket&More™ (@intermarketblog) July 31, 2013
Non c’è che dire, o meglio, i fatti si commetnano da solo, anche se è palese che il conteggio del PIL è sempre stato quanto mai relativo. L’importante secondo me è cercare di mantenere la coerenza. Cosa che stavolta è mancata
Questi dati che tirano fuori sono taroccati in maniera ridicola ormai, se ne sono accorti tutti, tanto che infatti i mercati non si sono minimamente mossi. In altri tempi un 2,8% contro una prevsione di 2,2% avrebbe fatto scintille
Il taroccamento nasce dal fatto che devono cominciare a “taperare” e lo zio Ben ha bisogno di qualche numero completamnte inventato per giustificarlo…
4 trim 2012 rivisto al ribasso
1 trim 2013 rivisto in mega ribasso
2 trim 2013 per ora, mancano un sacco di revisioni, cresce più del previsto.
I problemi vengono ora, tendenza degli ultimi 2 trim al ribasso, somma di crescita minore del 1 trim 2013 ( già rivisto) con maggior crescita 2 trim 2013 ( tutta da verificare ) =0 e la curva decennale usa decolla su CHE COSA? SU UNA VARIAZIONE DI O, SU UNA TENDENZA AL RIBASSO DEGLI ULTIMI 2 TRIM? semplicemente assurdo.
Come possono taperare, visto che l’economia non cresce? gli usa non reggerebbero ad un aumento dei tassi, le differenze tra il trentennale usa e il pce core dicono tassi in discesa, se le prospettive di inflazione sono al ribasso i tassi lunghi devono solo scendere, i tassi dei mutui salirebbero ancora, minori guadagni per le banche, maggior costo per i finanziamenti, minori nuovi mutui e tutto per un pil che non cresce e una disoccupazione che scende solo a livello statistico, attendo zio ben potresti pestare una grossa MERDA.
intanto negli maestri degli effetti speciali hanno rivisto le modalità di calcolo del pil dal 1929 ad oggi, aggiungendo dal 29 ad oggi 559 bei mld di usd, la fantasia americana non ha più limiti.
Il 2012 passa dal 2,2% al 2,8%, nel frattempo il 1 trim2 2013 viene rivisto dal’1,8% al’1,1%, il preliminare del 2 trim si posiziona al 1,8%, insomma numeri da lott.
http://www.bea.gov/newsreleases/national/gdp/2013/pdf/gdp2q13_adv.pdf