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Italia fuori da Unione Europea ed Euro? No, grazie!
Nelle ultime settimane il tema clou è stato sicuramente uno: crisi Grecia.
Ne abbiamo parlato molto, discutendo sia sulla possibilità di un default, sia sul bailout e quant’altro.
Per poter leggere di tutto e di più sull’argomento, vi consiglio di cliccare sulla scritta CRISI GRECIA e potrete ritrovare tutti i post dove abbiamo trattato l’argomento.
A seguito di una serie interminabile di rumors e notizie più o meno confermate, oltre a proposte quantomeno pittoresche come quella di far vendere al paese ellenico qualche isola e l’Acropoli, sembra si stia concretizzando qualcosa di importante. Per aggirare le regole del Trattato di Maastricht, , sta prendendo piede l’idea di creare una sorta di Fondo Monetario Internazionale Europeo che vada a sostenere sia la Grecia che il Portogallo, prossimo candidato alla crisi, e sia eventuali ulteriori situazioni che potrebbero comprendere, chissà, magari la Spagna, Magari la Francia, magari l’Irlanda… o forse l’Italia.
Sembra comunque chiaro che ci sia una forte volontà: quella di non fare ricorso all’FMI tradizionale FMI, il Fondo Monetario Internazionale che è per esempio intervenuto nei confronti del bailout (salvataggio) dell’Irlanda.
Nei giorni scorsi vi ho proposto un articolo dove ho fatto praticamente un copia/incolla dell’email di un lettore , Paolo41, il quale ci spiegava perché, secondo lui, sarebbe importante uscire ora, subito, dall’Unione Europea. A questo suo piccolo “trattato”, hanno risposto numero si lettori. Molte le considerazioni (tutte ottime) dei lettori, ma tra i tanti, meritano sicuramente una menzione quelli di schwefelwolf e anonimocds.
Per rileggere il post in oggetto cliccate qui sotto.
Unione Europea: conviene uscire ora?
In questa sede vorrei però approfittare innanzitutto del commento di schwefelwolf, che va a ripescare alcune interessanti basi storice del MEC, poi CEE ed ora UE, con un certo accento “patriottistico” verso la Germania e verso l’Europa più forte, sottolineando invece lo stato di debolezza dell’Italia in tutte le condizioni, sia dentro che fuori l’Unione Europea.
Approfondirei invece l’eccellente intervento di Anonimocds, un amico che conosce molto bene la situazione e guarda la realtà con gli occhi di un italiano migrato da anni (per lavoro) nei paesi anglosassoni, dove c’è uan visione più fredda verso il nostro Bel Paese.
Per evitare di disperdere il prezioso commento di anonimocds, che ringrazio pubblicamente per l’intervento, ho deciso (dietro sua autorizzazione, of course!) di copiare qui il suo discorso, in modo da dargli la giusta visibilità e per evitare che le sue parole restino dimenticate.
Ovviamente, i vostri commenti e le vostre critiche sono sempre ben accette.
Questa è una tematica estremamente delicata e di difficile soluzione. E soprattutto è una situazione che è in piena evoluzione. Quindi è di massima attualità.
Articolo , questo, da condividere con altri vs amici (assieme al precedente di Paolo41 ) interessati alla tematica e assolutamente da discutere e commentare.
Ora bando alle ciance e lascio la parola al commento di anonimocds.
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Italia, Unione Europea ed Euro: i risvolti drammatici in caso di un’esclusione
Dream, complimenti a te per la provocazione di questa lettera e a Paolo41 per avere avuto l’ “ardire” di pensarla e poi di scriverla.
Complimenti anche all’intervento numero 8. di schwefelwolf che mi trova COMPLETAMENTE d’accordo.
Confesso che l’ultima cosa fatta in ufficio oggi è stata quella di copiare/incollare e stampare l’intervento di Paolo41. Nelle 4 fermate di trenino che mi separano da casa il prurito ai polpastrelli e la voglia di replicare crescevano.
Dirò fin dall’inizio che sono abbastanza d’accordo con l’analisi di Paolo41 ma la soluzione da lui prospettata non mi trova per nulla in sintonia. E non perché consideri l’EURO un dogma a cui credere e a cui non rinunciare a qualunque costo ma perché penso che si sottovalutino le implicazioni di un’uscita e le sue drammatiche conseguenze.
Dissento poi anche sull’indulgenza con cui Paolo41 sembra tratteggiare i mediterranei del Sud Europa per fare anche da contraltare con la cattiveria e perfidia orientata al profitto e al dominio dei più deboli con cui vengono dipinti i malefici franco-tedeschi…
…la qual cosa un po’ mi fa preoccupare perché la crisi degli anni ’30 – certamente sotto ben altre condizioni – sfociò poi alla fine del decennio nella Seconda Guerra Mondiale, trovando però talvolta anche un fertile humus e un consenso popolare al conflitto nato anche da questo tipo di rivalse (in quel caso i tedeschi di Weimar umiliati, frustrati e piegati dagli oneri post Prima Guerra).
Ma procedo per gradi.
La Moneta Unica nel suo percorso dallo SME all’EURO presuppone e presupponeva – a completamento dell’architettura istituzionale – anche la creazione, accanto ad una Autorità Monetaria Centrale (la BCE) di una seconda gamba che avrebbe dovuto corrispondere a un Parlamento Europeo capace di tassare molto di più del livello attuale (poco più del 2% del PIL UE, speso peraltro per un buon 2% in PAC, Politica Agricola Comune, banalmente sussidi ai contadini che – privi di dazi e barriere – non riuscirebbero a tenere botta alla concorrenza dei Paesi in via di Sviluppo ma che al tempo stesso mantengono con le loro coltivazioni il territorio, opera altrimenti assai impegnativa e costosa per la collettività tutta).
L’Europa così com’è dunque è indubbiamente una creature zoppa. Accanto a una politica monetaria si sarebbe dovuto avere si dovrebbe avere una seconda gamba: un Parlamento Europeo cioè capace di tassare in maniera più consistente e di spendere in maniera corrispondente. Si può poi discutire sull’utilità dell’attuale Parlamento Europeo, sui suoi costi sul suoo pletorico staff e sui relativi costi ma sia per ordine di grandezza (peserà uno 0.1% del PIL ? Forse nemmeno…) che per competenza non è questo – secondo me- il cuore del problema.
Il progetto di una Unione Europea completa prevede(rebbe) o avrebbe previsto la devoluzione di poteri in materia fiscale dai Parlamenti Nazionali a quello di Strasburgo e questo processo non è / sarebbe stato così lineare e facile, ovviamente – ammesso che esistesse o esista una volontà popolare e un sentimento di appartenenza europeo.
In fasi di crisi come queste, poi, impostare un simile processo richiederebbe molto coraggio, tanto sangue freddo e un po’ di insana pazzia.
Lunghi tempi dunque prima di vedere una Fed e un Senato Federale / Parlamento europeo sulla falsariga americana…sempre che la Casa Comune non collassi appunto prima o non si ridimensioni per ambizioni e aspirazioni.
Ciò detto vado alla critica principale dell’intervento di Paolo41, senza dimenticare che un Paese a così alto debito pubblico come l’Italia, sganciata dalla zona Euro e dai benefici che dobbiamo essenzialmente a Francia e Germania (fino all’altro ieri assai più virtuose, affidabili e politicamente stabili dell’Italia), avrebbe già capottato e vivrebbe una situazione di caos finanziario, fiscale e monetario inimmaginabile (o forse non tanto inimmaginabile…si veda a titolo di esempio la “povera” Islanda).
E certo che gli americani ci guardano un po’ come dei marziani, il nostro è un esperimento se vogliamo assai sfidante quanto bizzarro, ma da parte loro c’è anche – a mio avviso – il desiderio latente di vedere in fondo fallire il tentativo di creare una valuta di importanza vicina a quella americana anche se non paragonabile al dollaro. Desiderio grosso modo condiviso con lo U.K., rimasto fuori dall’Euro sia per queste ragioni politiche, sono la portaerei americana in Europa, pronti a mentire sulla supposta presenza di armi di sterminio di massa dell’Iraq pur di giustificarne la guerra… sia perché il loro ciclo economico era ed è sfasato rispetto a quello europeo continentale per cui la politica BCE poteva andare maggiormente contro il loro ciclo economico + l’arma della svalutazione, nel loro caso si!, quando ancora i loro conti pubblici erano ben più sani dei nostri.
Un’Europa divisa è più debole e politicamente ma anche economicamente più manovrabile per gli USA fa comodo a Washington, specie in uno scacchiere in cui si stanno creando grandi macro-aree semi autonome e autosufficienti (Eurasia con l’inclusione della Russia e l’importantissime fonti energetiche al punto da fere patti con lo zar Putin….), Nafta – e un domani magari anche Sudamerica – con qualche proiezione sul Pacifico e infine Asia, con il Giappone a fare da cerniera o ponte tra USA e Sud-Est.
Usciamo dall’Euro?
Paolo41 dice: “Usciamo dall’EURO”.
Vorrei far notare che questo corrisponde a un implicito “default”.
Gli Stati, infatti, non onorano i propri debiti in 2 modi:
o alzano le mani e dicono “Non posso pagare (in tutto o in parte) i miei debiti”
oppure
generano inflazione (in questo caso via svalutazione-sganciamento dall’EURO)
La domanda è se ci rendiamo conto di cosa vorrebbe dire questo, quali conseguenze e quale macelleria sociale porterebbe. E si badi, non sono contraccolpi che si assorbirebbero in qualche trimestre ma – probabilmente in un quadriennio – prima di assestarsi su un nuovo equilibrio a livelli ben più bassi di quelli di partenza (si veda il caso e i dati relativi all’Argentina del 2001e anni successivi).
Penso che prendere decisioni simili sia anche politicamente impopolare per qualsiasi Governo democratico, a meno di un palese autolesionismo dell’esecutivo e di chi lo sostiene; se non costretti dal precipitare degli eventi, è quindi un’ipotesi scongiurabile.
Ma ammettendo che questo scenario, vera ultima spiaggia da evitare fino a che possibile (per reazioni a catena che proverò a illustrare brevemente), si dovesse verificare cosa succederebbe ?
Se uscissimo dall’area EURO e tornassimo a una nostra valuta nazionale, il giorno dopo avremmo la nuova ‘currency’ che chiamerò ITALA che dovrà essere svalutata del 20%-30% (dico un numero plausibile per recuperare ‘overnight’ la competitività persa dall’introduzione dell’EURO nei confronti dei tedeschi, principale partner commerciale dell’Italia).
Bene, benissimo, hurrah! Tanto per cominciare il potere di acquisto degli italiani nel mondo (vs. tutte le altre currency) diminuirebbe dell’equivalente 20%-30% con il risultato che i viaggi, soggiorni e vacanze oltre confine costerebbero un discreto gruzzolo in più…poco male si dirà, vacanze autarchiche sono quello che servono anche per stimolare la domanda interna e favorire il tessuto dell’economia locale. C’è un po’ di ritorno al Medioevo …a questo punto non facciamo nemmanco viaggi e stabiliamo luoghi di villeggiatura non più lontani di 50 chilometri per foraggiare l’economia locale e per non bruciare troppi derivati del petrolio e il nostro circondario ne beneficerà ulteriormente. Dico per scherzare e provocare, ma fino a un certo punto…
Certo anche le merci comincerebbero a costare di più e siccome il grosso dei commerci internazionali gli Stati Europei se li fanno fra di loro (l’import/export con Asia e U.S.A. pesano per il momento ancora meno degli scambi intra-europei) l’inflazione andrebbe immediatamente (qualche mese ? forse meno) a doppia cifra rasentando proprio quel 20%-30% di svalutazione. I salari e le tariffe (liberi professionisti e affini), anche se più rigidi, cercherebbero di adeguarsi (rivendicazioni sindacali, scioperi, gente per le strade, caos) – magari non completamente ma quasi al prio rinnovo contrattuale, in un probabile contesto di incertezza e quindi di caos nella programmazione, negli investimenti, nella domanda (consumi) e – in ultimo – nella maggiore disoccupazione.
Insomma, “Back to square one”, come dicono gli anglo-sassoni… si tornerebbe indietro alla casella di partenza, quindi …o non proprio lontani da essa. Immaginiamo per milioni di pensionati e lavoratori dipendenti (il cui salario “fisso” verrebbe almeno parzialmente mangiato da questa ondata inflativa) cosa vorrebbe dire questo. Ok, si obietterà, ma negli anni ’70 e per buona parte degli anni ’80 come si faceva a vivere con tassi di inflazione a doppia cifra ? E’ vero, ma era un Paese demograficamente più giovane, con una partecipazione al lavoro più alta per numero di pensionati e SOPRATTUTTO con un’altra propensione a fare del Debito Pubblico (esploso nel periodo di Governo del CAF) e a monetizzarlo (o meglio a costringere la Banca d’Italia a monetizzarlo)… ciò significherebbe ricascare esattamente nel circolo vizioso di inflazione, stampa, debito e svalutazioni competitive che nel 1992 ci portò sull’orlo del baratro (il Primo Ministro di allora, il socialista Giuliano Amato, tassò DAL GIORNO ALLA NOTTE allo 0.6% le giacenze in conto corrente perché non c’erano soldi in cassa!!) varando una finanziaria da 50 miliardi di euro (l’ultima passata l’anno scorso è da una decina di miliardi, a titolo di paragone) o 100.000 miliardi di lire.
Ma quella del disordine sociale e dei prezzi sarebbe il male “minore” sul breve…pensiamo al nostro debito pubblico, detenuto per un 50% del suo stock all’estero…il giorno successivo allo switch dall’EURO a ITALA avremmo investitori istituzionali internazionali con perdite del 20-30% sul proprio credito (per loro è infatti un credito vantato verso lo Stato Italiano) che – ovviamente- cominceranno a rovesciare non solo la Carta Pubblica ma anche molti dei bond delle aziende italiane. I tassi di interesse si impennerebbero aprendo spread enormi contro i titoli rimasti invece nell’Area Euro (si veda già a cosa tradavano i bond greci fino a settimana scorsa per capirci) facendo salire il costo di finanziamento del debito italiano e di quello delle società italiane. Good luck!, specie per quelle più indebitate di imprese…
Se poi pensiamo a cosa ha provocato “soltanto” il crack della Lehman, proviamo a immaginare quale sconquassi potrebbero generarsi sui mercati – e in particolare sulle banche che hanno a che fare con l’Italia e che possiedono titoli denominati “voilà” in fiammanti banconote ITALA – banche italiane in primis, ovviamente… ecco che forse gli interventi a salvaguardia del nostro sistema bancario nazionale, per fortuna finora limitati in questo biennio, ripagherebbero ampiamente e con gli interessi (è il caso di dirlo, trattandosi di banche!) i vantaggi competitivi della svalutazione.
Immaginiamo per un attimo il danno d’immagine e REPUTAZIONALE dell’Italia, già – giustamente – non famosa per essere una Nazione troppo affidabile e ordinata in tema di Finanze Pubbliche. L’enorme flusso finanziario in uscita dall’Italia necessiterebbe anni di sacrifici e di impegni per ricostruire un minimo di fiducia negli investitori stranieri, al punto che non solo gli investimenti finanziari ma anche quelli fisici, aziende e capannoni e macchinari a capitale straniero (i FDI – Foreign Direct Investment) latiterebbero per qualche anno o anche più (qualcuno sarcasticamente potrà pensare: “Perchè, ora cosa fanno?” e in effetti non troverei molto da eccepire su quest’ultimo punto…).
L’Italia verrebbe colpita da uno tsumani finanziario
In sei mesi probabilmente lo scenario del Paese sarebbe quello di un paesaggio devastato da uno tsunami. Di converso fare shopping di aziende italiane – quelle poche grandi buone rimaste e le più numerose medio/piccole rimaste – per tedeschi e francesi sarebbe in un paio d’anni e a situazione mediamente stabilizzata, una vera occasione a prezzi di saldo.
Il problema della “colonizzazione” o dell’ ”invasione” – virgoletto queste parole perché per me hanno un senso traslato e indebolito o depotenziato rispetto al significato originale – che volevamo far uscire dalla porta rientrerebbe dalla finestra.
Certo, l’export – specie quello verso i Paesi europei (ed è, come ricordato, il più consistente) – aumenterebbe e ruberebbe quote di mercato alle aziende occidentali concorrenti ma, si badi bene, in misura non proporzionale ai danni provocati nel giro di una settimana dalla svalutazione. In giro per il mondo ricco e sviluppato, infatti, non si vede tutta questa matta voglia di spendere e la domanda interna dei nostri competitor non sembra così in salute come in India o in Cina (drogata), per fare un esempio.
Aggiungo una considerazione a margine che c’entra relativamente: una volta che l’Italia avesse fatto una mossa del genere (noi first mover, furbi, agili e scattanti), cosa costerebbe agli altri Stati fare altrettanto? Penso alla Spagna, al Portogallo, alla Grecia, all’Irlanda ma anche – perché no ? – alla Francia e alla Germania…
Come, direte voi ? Beh, lasciando svalutare una moneta, stampando e monetizzando deficit che – loro si – possono permettersi finanziandosi a tassi più bassi dei nostri avendo quel capitale intagibile che è la Reputazione e la Fiducia conquistata nei decenni e quello stock di debito pubblico che rimane assai minore del nostro in rapporto al PIL.
Attenzione perché anche il tema dei dazi e della svalutazioni competitive a ripetizione è stata la via tentata dagli Stati negli Anni ’30 (politiche cosiddette di “beggar-thy-neighbor devaluation”), con il risultato di prolungare la crisi e di contribuire così a generare quel mostruoso conflitto mondiale che rase al suolo l’Europa.
Purtroppo l’Italia è vaso di coccio tra vasi relativamente più forti e questo nelle contrattazioni politiche certamente pesa in sede di discussione UE. Cheechè qualcuno voglia far credere che il prestigio e l’importanza dell’Italia negli ultimi 2 anni sono aumentati in maniera incredibile, rimaniamo un Paese grande e importante per la popolosità e il peso nell’Unione ma per molti versi “periferico”.
Dobbiamo ringraziare gli anni dissennati della Finanza Pubblica allegra – i 70 e gli 80 essenzialmente – quelli dell’inflazione e del debito galoppanti, appunto e delle svalutazioni competitive, “avanti la prossima!, venghino venghino siore e siori”.
Ma anche la poca lungimiranza di una classe dirigente, politica, imprenditoriale e in misura minore sindacale (per quest’ultima parlo degli ultimi 10-15 anni, discorso diverso per i dissennati 70s), che ha sempre avuto uno sguardo miope e di breve periodo, sintonizzata su una lunghezza d’onda (svalutazioni competitive e inflazione) che non è stato – io dico grazie al cielo – più disponibile con l’entrata nell’EURO.
Cicale e formiche
I tedeschi – ancora più dei francesi, più avvezzi a questo sistema virtuoso che tramite il marco e al loro economia fatta di stabilità, di qualità produttiva, di presenza in settori ad alto valore aggiunto, di politica industriale li aveva risollevati dagli orrori e dalla miseria della Seconda Guerra Mondiale hanno duramente lavorato dall’introduzione dell’EURO per mantenere alta la loro competitività su scala globale, investendo in scuola, ricerca, formazione, tecnologia e in concertazione (quest’ultima in Italia ha funzionato per i pochi anni dell’emergenza e solo con determinati colori politici al governo) fattore che ha contenuto NOTEVOLMENTE la dinamica salariale, anche a volte per via di quella sorta di pistola puntata alla tempia di sindacati e lavoratori che era ed è il trasferimento di stabilimenti in Rep. Ceca o in Polonia, a dirla tutta…
I tedeschi, insomma, hanno fatto sacrifici per 10 anni almeno mentre noi e i greci, magari inconsapevolmente “cicaleggiavamo”.
Ma perché un cittadino tedesco, per quanto brutto, cattivo e orientato unicamente al profitto dovrebbe lavorare 68 anni affinché un greco possa andare bellamente in pensione a 63 anni ?
Insomma, ci piace avere i tassi bassi dei tedeschi e i loro salari senza essere presenti nei settori dove i tedeschi sono forti (più alto valore aggiunto, con maggiore produttività del lavoro e che quindi garantiscono più alti stipendi medi) perché hanno lavorato sodo per decenni.
In poche parole credo che i salari italiani, greci e spagnoli dovrebbero essere un 15-20% più bassi di quelli tedeschi. Questa è – purtroppo – la via obbligata per uscire ALL’INTERNO DELLUNIONE MONETARIA dalla crisi, non avendo noi margini di manovra esagerati sul fronte fiscale (leggi ridurre le tasse o aumentare la Spesa o tutte e due le cose, quindi fare deficit…con buona pace di “Meno Tasse per Tutti” Nota Bene: questa non è una novità, la nostra situazione in termini di % Debito su PIL era la stessa nel 1994…)
Sacrifici dovremo fare. Qualcuno obietterà che al Sud il costo della vita è più basso…condivido, al Sud -25% – 30% rispetto ai salari di adesso. Non ci sono scorciatoie per ritrovare competitività, quella della svalutazione è una scorciatoia assai pericolosa più dannosa che altro a mio avviso. Noi italiani siamo già da 15 anni in stagnazione per via del debito pubblico accumulato nel ventennio 70-80 e ora ci becchiamo pure la recessione mondiale che penso sia una sorta di Giapponesizzazione del Mondo Occidentale (se non una Grande Depressione II), è chiaro che comunque vada dovremo soffrire di più. E con noi i Paesi “cicala” Grecia e Spagna più Irlanda (tecnicamente fallita).
Nonostante al nostro Presidente del Consiglio non piaccia la parola “sacrifici” così come “crisi” e “recessione” questa è a realtà con cui dovremo fare i conti negli anni Dieci.
Se non a lui, il lavoro sporco toccherà al suo successore, di qualunque colore egli o ella sia.
Certo, la tenuta politica di una costruzione fragile come l’Europa è a rischio, così come quella di una fragile entità statale come quella italiana, dominata da una corruzione e da una illegalità endemiche, in misura maggiore al Sud ma anche al Centro e al Nord.
Politica Industriale dell’Italia
Altro capitolo. l’assenza di una politica industriale: è vero quello che scrive Paolo41, ci mancano grosse imprese, che poi sono quelle che hanno una ‘vision’ di più lungo termine, che fanno ricerca (anche di base, benché sempre meno), che possono facilmente accedere a nuovi mercati, che hanno il polso della situazione, che colgono i trend prima perché sono termometri esposti alle varie temperature dei Cinque Continenti. Aggiungo io che le poche grandi imprese che ci sono – escludendo quelle a Partecipazione e controllo Statali – spesso operano in situazione di monopolio, semimonopolio, oligopolio oppure timbrano bollette (telefonia, utilities, autostrade) e quindi sonno business regolati, in cui è abbastanza facile fare profitti e non ci vuole un genio di imprenditore per portarle avanti o particolari skills tecniche non replicabili o esportabili. In più- tramite le concessioni pubbliche – dipendono da Papà Stato, che in Italia non è mai dispiaciuto a nessuna famiglia del capitalismo nostrano (altro limite esagerato il familismo e il provincialismo che ha impedito la crescita dimensionale).
Domanda: è colpa dei tedeschi o dei francesi se non abbiamo avuto una politica industriale e se dunque oggi ci ritroviamo senza chimica, senza farmaceutica (ciao Montedison per dirne una soltanto che le racchiude entrambe) che contano, senza un colosso informatico (ciao Olivetti), con i “campioni” dell’auto e della telefonia molto indebitati e quasi sicuramente destinati – specie la seconda – a finire, seppure privata della rete, in mano ad azionisti esteri?
Certo Francia e Germania ci considerano un bel mercato di 60 milioni di persone e di consumatori, una bella fetta nello scacchiere europeo e come tale ci trattano. E certo sono e sono stati assai bravi a fare sistema Paese, più bravi dell’Italietta i cui Primi Ministri cambiavano ogni 12 mesi negli anni della Prima Repubblica in particolare (ma non solo)!
Un altro tema è quello della Cina: ma pensiamo forse con una svalutazione del 30% di far paura alla Cina o di frenare la delocalizzazione, sottoprodotto di quella cosa che si chiama Globalizzazione e che fino a 5 anni fa – quando ci consentiva di avere un telefonino a 50 EURO anziché a 300 EUR – ci rendeva tanto felici ? In Cina dove il costo orario di un operaio è grosso modo un decimo di quello europeo? L’unico risultato sarebbe che le aziende cinesi vedrebbero ristretti un po’ i margini, trovandosi costrette a dover vendere a prezzi un po’ più bassi per far concorrenza alla svalutata ITALA. Ma non si fa nemmeno paura alla Polonia dove il costo è grosso modo un quarto di quello dell’area Euro.
La Cina, piccola parentesi, non vuole rivalutare (ancora?) perché vedrebbe vaporizzarsi una parte di quel 1.4 trillion di USD detenuti in Treasuries americani e – forse – perché non vede ancora maturo il momento di fare crescere la domanda interna in maniera ancora più rampante aumentando il potere di acquisto dei propri cittadini (aziende cinesi ancora troppo deboli e indietro per competere con i prodotti di alta gamma occidentali ?), non certo perché vuole essere più competitiva nei confronti delle imprese italiane! Il competitor del cinese – semmai – è l’azienda thailandese vietnamita, il cui costo del lavoro e qualità del prodotto può essere non dissimile da quello del cinese.
E di nuovo torna il tema della poca lungimiranza di una società e di una classe dirigente – quella italiana – che a tratti è assai “primitiva”: perché invece di fare scarpe, filati e magliette (anche di buona qualità, per carità ma non solo quelle!) non si è puntato molto di più – dico per citare solo alcuni settori – su Chimica, Farmaceutica, Informatica, Energie rinnovabili (la Germania ha installato pannelli solari per capacità una decina di volte la nostra…noi in mezzo al Mediterraneo, loro sul Baltico..:!!), telefonia (invece eravamo presi a depredare e indebitare Telecom Italia, non a costruire una Deutsche Telekom, una Telefonica o una Vodafone, inglese).
Perché per una Basf, una Sanofi Synthelabo, una Air Liquide, una Merck, una Schering Plough, una Sap, una Nestlè, una Danone, una Volkswagen, una BMW, una Carrefour, una Metro, una Air France, una Lufthansa non esistono degli omologhi italiani ??!! Unica eccezione, direi, il Gruppo Unicredit, incappato però nei danni dell’est Europa (un tempo considerata la parte vincente della scommessa) e impelagato nei derivati in Italia.
Salvare il salvabile
Ormai è troppo tardi corrre ai ripari, si può solo lavorare sulla difensiva, temo… il vaso di coccio rischia di essere, in termini relativi, sempre più di coccio…ma non certo per colpa di tedeschi e francesi. E’ inutile piangerci sopra ma di latte ne abbiamo versato molto nei decenni passati.
Perché ? Forse come diceva qualcuno negli interventi precedenti (si riferisce ai commenti al post che potete visualizzare cliccando qui http://intermarketandmore.finanza.com/unione-europea-conviene-uscire-ora-10344.html , ndr) perché classe dirigente e società civile erano e sono meno sviluppate, insieme al senso civico, alla cultura della legalità, del rispetto delle norme (cosa sono, infatti, i parametri di stabilità economica se non regole per rigare diritto ?!).
La tipica scarsa lungimiranza – mi viene un esempio – si manifesta nella scelta, elettoralmente favorevole sul breve periodo ma devastante sul medio lungo termine, di favorire il traffico su gomma ai danni del più funzionale trasporto su rotaia, che certo richiede investimenti ingenti, organizzazione e ritorni a medio termine, non alle successive elezioni… ecco, tanti piccoli padroncini con i loro camioncini e tir, piccoli e grandi sono gli italiani!
Così per le autostrade e per le loro concessioni, così per le televisioni (e relative concessioni pubbliche! Grazie Silvio!), le automobili (si ringraziano sentitamente le Altezze Reali di Casa Agnelli), la Omnitel acquistata da Vodafone e i computer dell’Olivetti prima (grazie Ing De Benedetti!) e in misura molto minore e più recente Olidata, passando per il clientelismo dell’Alitalia (alla Magliana, ai tempi d’oro, si faceva tutto tranne che lavorare…) e senza dimenticare il cartello di banche e assicurazione (sempre siano lodate…!). Intendiamoci questo consente anche qualche vantaggio per gli inclusi. Faccio un esempio: un bancario italiano sopra i 35-40 anni è pagato meglio dell’equivalente bancario europeo in quasi tutti gli stati dell’Unione.
Come già detto, però, trovo la “soluzione” della svalutazione una facile scorciatoia che promette una presunta facile soluzione ma nasconde e porta con sé insidie ben maggiori che ci riporterebbero a un passato purtroppo già sperimentato, aggravato da un contesto globale fra i più infelici degli ultimi 70 anni.
Questo è quanto. Uno scritto lungo ed articolato, con moltissimi spunti di discussione che meriterebbero ognuno di essi uno spazio dedicato.
Bene, credo che di cose da dire ce ne sono. Si potrebbe aprire un tavolo di discussione che, vista la qualità dei personaggi presenti , ha ben poco da invidiare al troppo burocratico e politicheggiato Ecofin…
STAY TUNED!
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