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FINANZE PUBBLICHE ITALIANE: da Tolomeo a Copernico
Ormai la maggior parte delle statistiche parlano chiaro. Il grafico in apertura vi ricorda le allegre proiezioni post Covid-19 in area Eurozona per il rapporto deficit PIL e debito pubblico PIL.
Allegre si fa per dire, perché proprio per l’Italia c’è poco da ridere. Ed è triste se ragioniamo di un paese che era andato in surplus di bilancio. Proprio come ai tempi d’oro. Infatti l’Italia non è sempre stata così “spendacciona” come i nordici pensano. Riprendendo un post apparso qualche tempo fa su Formiche.net, vorrei riproporvi COME siamo arrivati ad avere un rapporto Debito PIL di codeste dimensioni.
Innanzitutto dovete sapere che in Italia, fino al 1970, le entrate pubbliche hanno superato le spese correnti, determinando un avanzo che andava a finanziare in parte gli investimenti pubblici. Tutti i deficit ed i debiti accumulati negli anni cinquanta e sessanta erano pertanto dovuti esclusivamente a spese di investimento. Signori, lo ripeto, INVESTIMENTO. Quello che non sappiamo più cos’è viste le inefficienze e le necessità degli ultimi anni.
In quel ventennio la crescita media annua italiana è stata attorno al 5%. L’Italia diventò la sesta/settima economia del mondo. Poi ci fu il sessantotto degli studenti ed il 1969 dei sindacati. E così, all’inizio degli anni settanta, furono introdotte le pensioni di anzianità (paghi due di contributi prendi tre di pensione) con età media di pensionamento a 55 anni e vita media che cominciava ad allungarsi verso gli 80 anni.
Poi le baby-pensioni con possibilità di andare in quiescenza dopo 14 anni, 6 mesi ed 1 giorno e quindi ci siamo ritrovati con pensionati (fortunatamente per loro tuttora viventi) che sono andati in pensione a poco più di quarant’anni. Poi è stata fatta la riforma fiscale e sono state istituite le Regioni.
Et voilà, il gioco è fatto e pian piano ci siamo creati la tomba.
Poi si è fatta la riforma sanitaria con il servizio sanitario nazionale affidato come spesa al totale arbitrio delle regioni. Ed è così che in quegli anni settanta si sono formati i due terzi dell’attuale debito pubblico italiano, per i primi dieci anni nascosto sotto il tappeto da quella che gli economisti chiamano “illusione monetaria”.
Il fatto cioè che con un’inflazione tra il 15-20% ed i tassi di interesse nominali appena sopra il 10%, i poveri risparmiatori italiani, accecati dalla illusione monetaria, non hanno percepito che ogni anno, dopo avere prestato soldi allo Stato, vedevano decurtato anche il valore reale del proprio capitale. Un piccolo particolare che molti amanti della vecchia Lira non hanno mai capito o si ostinano a non capire.
Poi nel 1978, qualcuno tentò di mettere qualche paletto di rigore. E fu varata la legge 468, quella che introdusse la “sessione di bilancio” e la “legge finanziaria”. Ci fu un grande dibattito in quel momento ed il fronte dei rigoristi fu guidato da Nino Andreatta che, all’Arel alimentò seri confronti anche con esperti stranieri ivi incluso il direttore generale del Congressional Budget Office (Cbo), l’organo indipendente americano che risponde al Congresso valutando le manovre di finanza pubblica ed i loro effetti sul sistema economico.
Si tentò di introdurre due argini rigidi. Il primo era quello di evitare tagli “finti” sulle spese tendenziali future che di fatto avrebbero nascosto la realtà di aumenti “veri” di anno in anno della spesa pubblica e si discusse uno schema di zero-base-budgeting (Zbb). Si sarebbe cioè dovuto, come minimo, fare riferimento alle spese vere dell’anno precedente e su queste cifre decidere se aumentare o tagliare.
Il secondo era quello di non far aggirare l’art. 81 della Costituzione che per ogni spesa prevederebbe rigidamente la necessaria copertura. Lo sparuto fronte dei “rigoristi” perse la partita su entrambi i fronti. I tagli alla spesa continuarono ad essere riferiti alle “spese tendenziali future”. E così, ogni anno per trent’anni, si sono annunciati tagli finti di spesa megagalattici che di fatto rappresentavano un aumento vero di spesa corrente senza controllo. L’art. 81 fu aggirato con una interpretazione formal-giuridica, considerando che l’art.1 di ogni legge finanziaria stabiliva il tetto massimo al deficit e quindi…c’era una legge che dava la copertura a tutte le spese, deficit compreso!
All’inizio degli anni ottanta, Nino Andreatta diventò ministro del Tesoro e introdusse il divorzio tra Tesoro e Banca d’Italia, in modo tale che il giochetto della illusione monetaria non potesse essere più fatto. Con il Tesoro che non poteva più chiedere alla Banca d’Italia di “stampare moneta”, ma doveva trovare il finanziamento sui mercati dei capitali ed attirare con i tassi di interesse i risparmiatori, gli stessi tassi di interesse cominciarono a crescere e soprattutto furono sempre superiori all’inflazione.
Da Tolomeo a Copernico
Da lì, il debito pubblico “nascosto” negli anni settanta, diventa palese e dirompente anche a seguito della spirale interessi-debito-deficit-debito-interessi. Ed è così che la finanza pubblica italiana torna indietro di secoli e diventa “Tolemaica”, come lo è stata anche negli anni recenti e tutt’ora.
Perché Tolemaica?
Perché al centro del mondo sta la spesa pubblica corrente che cresce senza controllo perché considerata come strumento di raccolta del consenso. Nei primi venti anni, attorno ad essa “ruotano” deficit e debito pubblico. Nei secondi venti anni, dopo l’euro e la Bce e quindi senza inflazione e svalutazione, attorno alla spesa pubblica corrente hanno dovuto ruotare aumenti delle tasse e tagli drastici alle spese di investimento.
E così con più spesa corrente (sempre più grassa per alimentare i veri “costi della politica” come acquisti, forniture, appalti, sussidi a fondo perduto, finanziamento a piè di lista di servizi sociali che di sociale hanno spesso la socializzazione delle ruberie di ristrette combriccole e non le prestazioni vere di servizi ai cittadini), con più tasse sui tartassati e diffusa evasione fiscale e meno investimenti pubblici infrastrutturali, il bilancio pubblico, intermediando il 50% del Pil, ha esercitato anno dopo anno una lenta ma inesorabile e progressiva riduzione della base produttiva del paese.
E dall’età dell’oro della crescita al 5% ci siamo ritrovati negli ultimi anni alla crescita “0”. Con la crescita zero si aggravano i problemi di equilibrio finanziario (deficit e debito) in una perversa spirale senza fine che assomiglia sempre più al supplizio spagnolo della garrota.
Ecco perché, nella politica economia italiana, occorre abbandonare Tolomeo e scoprire Copernico.
Al centro sta la crescita economica, il benessere dei cittadini, l’equità tra le generazioni e l’equità sociale tra le varie fasce di popolazione. “Attorno” deve ruotare una spesa pubblica corrente, asciugata, efficiente e misurata in termini di servizi veri che arrivano ai cittadini.
La trasparenza della politica e della politica economica deve quindi abbandonare i tagli orizzontali e percentuali riferiti a numeri futuri che non esistono e deve basarsi sui dati storici degli anni precedenti e su questi “scegliere” dove e cosa aumentare e dove e cosa ridurre. Con un doppio vincolo assoluto alla “classe politica”: quello di non poter fare deficit e quello di non poter tassare all’infinito.
E Copernico va introdotto a maggior ragione oggi quando i vincoli europei su deficit e su debito sembrano allentarsi, anche perché i mercati finanziari non allentano le loro ragioni di comprare o no titoli di Stato italiani. Neanche oggi infatti si tratta di …spendere e spandere. Si tratta piuttosto di fare una profonda e seria rilettura del nostro bilancio pubblico per rimodulare le poste di spesa ed entrata per destinare le risorse a ciò che serve davvero.
(…) In media, l’economia sommersa risulta pari al 16,5%, quella illegale pari ad un aggiuntivo 11%. In totale poco meno del 30% del Pil, cioè circa 500 miliardi di euro. Questi “numeri” sono asettiche analisi di un Organo Costituzionale delle Repubblica Italiana e contributi scientifici di coraggiosi studiosi e pertanto vanno relegati ad un dibattito tra “tecnici ed esperti”?
O al contrario toccano la carne viva della società italiana, ancor di più di fronte alla recessione in atto, a milioni di famiglie in difficoltà, a milioni di senza lavoro, in gran parte giovani e donne, a più di centomila piccole e medie imprese che rischiano di chiudere bottega entro l’anno?
Qui sta il paradosso dell’economia, della società e della politica italiane. Da un lato abbiamo i bisogni della gente (famiglie, imprese in testa), dall’altro lato abbiamo le risorse per produrre e crescere e quindi per soddisfare al meglio quei bisogni, che non sono solo economico-sociali ma anche e soprattutto bisogni di avere “un progetto di vita” per milioni e milioni di cittadini.
Il cuneo profondo che impedisce di usare al meglio le risorse che abbiamo sostenendo una crescita della produzione e dell’occupazione che consentirebbe di soddisfare al meglio i bisogni di tutti è rappresentato da “quei numeri”! E a difendere strenuamente e con mille subdole scuse quel cuneo profondo sono impegnate le tante cosche mafiose e non, le tante aree grigie tra economia e politica, le tante connivenze trasversali e diffuse che fanno “sguazzare” oltre mezzo milione di italiani, che godono di quei numeri a danno degli altri 56 milioni di cittadini, con oltre 20 milioni di contribuenti onesti.
Ecco perché “questi numeri” non possono essere silenziati e relegati a questioni da dibattere tra tecnici o da limitare ad estroverse esternazioni di un organo costituzionale dello Stato.
La politica e l’intera classe dirigente è chiamata a rispondere a quei numeri. Non con slogan buonisti pieni di pie intenzioni, non con le trafile dei quant’altristi, non con troppi si…ma, né tantomeno negando la realtà di quei numeri o nascondendo la drammaticità delle condizioni economiche e sociali della gente, come fatto fin qui per troppi anni.
L’economia, la società, l’equilibrio tra le generazioni e tra i territori si reggono solo e contestualmente su tre gambe: Crescita economica, Equità sociale, Rigore finanziario. O queste tre gambe stanno contestualmente insieme, oppure nessuna delle tre può stare in piedi.
Questa è la “madre” di tutte le questioni. Così facendo saremo ben più credibili e ben più titolati per chiedere all’Europa di diventare anch’essa copernicana rafforzando il bilancio dell’Unione ed in prospettiva avviando una emissione di debito europeo condiviso.
Tratto da un articolo Mario Baldassarri
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… aggiungerei anche gli altri partiti ….anzi tutti indistintamente dovrebbero imparare a memoria quanto sopra ,,,,, come una volta si faceva con il “sabato del villaggio”!!!!!!!
r.o.i.@finanza,
Guarda ognuno politicamente la può pensare come vuole, quello che non riesco a capire è la convinzione di chi vede nelll’Unione Europea una cosa utile all’Italia, dato il continuo ripetersi di fatti che dimostrano che è o irrilevante o dannosa.
Non riesco a capire il mito del “vincolo esterno” o del “principe straniero”, che essendo appunto straniero ha giustamente i suoi interessi e ambizioni che difficilmente coincidono con gli obiettivi dell’Italia.
Nella vita ho sempre fatto l’imprenditore, non ho mai incontrato un concorrente che si preoccupasse del benessere delle mie società, al massimo sono un esempio da studiare per migliorare ma nessun imprenditore sano di mente darebbe “le chiavi” della propria impresa a un concorrente.
Come spesso dico il problema non sono la Germania, la Francia o la tanto bistrattata Olanda siamo noi che dovremmo decidere cosa fare e poi iniziare a fare, se lungo la strada trovi qualcuno che condivide la strada tanto meglio se no bisogna continuare da soli.
L’unione Europea ha interesse ad avere un mercato comune con molti consumatori indirizzati sui settori strategici per Germania e Francia punto, di quello che accade al di fuori di quello non ha giustamente nessun interesse.
La differenza fra oggi e il 2011 e che la Francia è conciata forse peggio di noi ed è iniziata la guerra Franco-Tedesca, se nella contesa noi finiamo morti amazzati fra qualche anno il Juncker di turno dira che si scusa con l’Italia come quest’ultimo ha fatto con la Grecia, tutto qui.
Di certo non si preoccupa se l’Italia spende i soldi per la scuola o per il reddito di cittadinanza, anzi forse meglio la seconda così avranno una nuova generazione di consumatori più ignoranti e facilmente influenzabili.
Saluti a tutti.
,,,”Come spesso dico il problema non sono la Germania, la Francia o la tanto bistrattata Olanda siamo noi che dovremmo decidere cosa fare e poi iniziare a fare, se lungo la strada trovi qualcuno che condivide la strada tanto meglio se no bisogna continuare da soli.”…
perdona il ritardo e…fuor di polemica…ma mi pare che ti sia risposto da solo con l’affermazione di cui sopra, infatti non si tratta di “dare le chiavi ad un concorrente” ma di fare pulizia in casa nostra e di affrontare il problema reale, cosa non semplice e che comporterà senso di responsabilità per generazioni.- Ciò significa abbandonare la mentalità di farsi assistere dallo Stato e rimboccarsi le maniche sul serio, ovvero investimenti, rischio imprenditoriale, da un lato , dall’altro smetterla di starsene comodi a casa propria ma di accettare l’occupazione e trasferirsi dove si crea lavoro,, ecc.- Escludendo ogni stupida vanteria, ma solo a titolo di banale esempio il sottoscritto quando è entrato in banca a 700 km di distanza da casa e senza il supporto della famiglia ha affittato un appartamento insieme ad altri due lavoratori (anche loro lontani dalle famiglie) per dividere le spese, altrimenti a Milano non ce l’avremmo fatta ad arrivare a fine mese.- Poi pian piano negli anni le cose si sono evolute e mi sono meglio organizzato e la mia vita è migliorata; ma rimane evidente l’iniziale ed inevitabile spirito di sacrificio, cosa di cui, mi pare, si sia persa parecchio traccia nella società di oggi, troppo abituata all’assistenza pubblica a tutti i livelli.- Va da se che i partiti (vero nostro problema) non chiedono altro per coccolarsi l’elettorato a suon di debito pubblico.- Ma tu, da imprenditore, capisci bene che questo è un guaio in crescita esponenziale che più prima che poi ricadrà sulle nostre teste ed i necessari sacrifici che non vogliamo fare oggi inevitabilmente li dovremo fare domani e pesantemente maggiorati.- Questa situazione è il risultato di una (non) politica più che trentennale orientata a non affrontare i problemi della crescita, ma a tirare a campare.- L’Europa, costretta per interesse, per ora ci protegge sul piano finanziario e giustamente impone condizioni che dobbiamo necessariamente e responsabilmente accettare, altrimenti con una svalutazione del 30/35% dalla sera alla mattina e dovendo dichiararci insolventi (falliti) finiremmo per rimanere a galleggiare nel mediterraneo.- La Grecia, “obtorto collo” ha intelligentemente scelto la faticosa strada della responsabilità.-
….a tutt’oggi mi risulta, da informazioni interne, che l’Argentina, il Venezuela, il Messico ed altri stati minori dell’America latina non siano in grado di far fronte alle rate dei debiti contratti con il Fondo Monetario Internazionale e con un ampio sistema di banche sia americane che europee e giapponesi.- Va da sé che sarà necessario rinegoziare i debiti contratti assumendo nuovo debito solo per pagare gli interessi che le banche iscriveranno nei conti economici sotto la voce profitti.- Ma i debiti contratti sono iscritti in crescita nello stato patrimoniale e la crescita dei vari Prodotti Interni Lordi è negativa o pari a zero (quando va bene).- Devo spiegare altro? A te che sei imprenditore sono certo di no! Ti saluto.-
P.S. … dimenticavo la ciliegina sulla torta…..i profitti bancari a cui ho accennato sopra naturalmente a fine anno verranno in gran parte distribuiti agli azionisti sotto forma di dividendi….beh! che dire? Questa è la finanza di oggi.-
r.o.i.@finanza,
Amare è il tentativo di trasformare un sogno in realtà.( Theodore Reik)
https://www.italiaoggi.it/amp/news/sure-l-italia-versera-3-miliardi-per-averne-indietro-2-5-2453816?__twitter_impression=true
Saluti a tutti.
…io lo farei leggere a quell’acchiappapoltrone di Savona e soci (Salvini, Meloni, ecc.) ed a tutti coloro che fantasticano con grande incoscienza su una fuoriuscita dell’Italia dall’Europa.-