Eurozona, deflazione e inflazione reale: la BCE deve mettere coraggio

Scritto il alle 13:30 da Danilo DT

In Eurozona è reale il rischio deflazione? E cosa comporta la deflazione per il ciclo economico?

Sicuramente questo scenario non è certo ben visto dalle banche centrali ed ancor meno dai paesi con copioso debito pubblico. Leggete qui che ne pensa l’eccellente Jean Pisani Ferry,

Nel 2002, dopo aver detto che “la deflazione negli Stati Uniti sarebbe stata altamente improbabile”, il presidente uscente della Federal Reserve Ben Bernanke come è noto ebbe a rimarcare che sarebbe stato imprudente “se avesse escluso del tutto una sua eventualità”. Al tempo, l’inflazione annuale degli Stati Uniti superava il 2%, ed il rischio di diventare negativa era davvero remoto; ma tuttavia Bernanke sentiva la necessità di tracciare una via di fuga da uno scenario potenzialmente catastrofico. La risposta rilasciata era essenzialmente un’anticipazione delle politiche attuate dalla Fed all’indomani dello shock del 2008.

Oggi, per la zona euro, la minaccia non è remota. Secondo i dati più recenti, l’inflazione dei prezzi al consumo annuale è di appena lo 0.9 % (e dell’1% se sono esclusi i prezzi dell’energia e dei prodotti alimentari volatili). Si tratta di un punto percentuale al di sotto dell’obiettivo della Banca Centrale Europea di un tasso “inferiore, ma prossimo al 2%”. Con l’economia che opera chiaramente al di sotto della piena capacità e la disoccupazione sopra il 12%, il rischio di un ulteriore declino non può essere escluso, soprattutto considerando la pressione verso il basso di un tasso di cambio in graduale crescita, e un contesto globale con inattesi andamenti negativi di sviluppo ed i modesti prezzi delle materie prime. Quindi è ora di riconoscere l’esistenza di un “pericolo deflazione” per l’Europa e considerare ciò che principalmente si potrebbe fare per impedirla.

Il primo problema con la deflazione è che tende ad aumentare il tasso d’interesse reale (al netto dell’inflazione) al di sopra del suo livello di equilibrio. Poiché vi è un limite inferiore pari a zero per il tasso di interesse nominale, la banca centrale potrebbe trovarsi nell’impossibilità di guidare il differenziale del tasso di interesse/inflazione ad un livello abbastanza basso, il che può provocare un crollo e anche una spirale verso il basso. È vero, alcune banche centrali (Svezia nel 2009 e Danimarca nel 2012) hanno fatto pagare alle banche l’assunzione di depositi, facendo registrare così tassi di interesse negativi. Ma ci sono dei limiti a tali tattiche, perché se vengono caricati i depositanti, a un certo punto diventa preferibile per loro acquistare cassette di sicurezza e depositarvi il denaro contante.

Questo problema è molto rilevante per la zona euro, che sta riemergendo da una lunga recessione, con il Pil ancora inferiore ai livelli del 2007 ed una ripresa, seppure reale, comunque con uno slancio ancora carente. Dopo aver riconosciuto il pericolo, negli ultimi mesi, per due volte la BCE ha abbassato il tasso di interesse di riferimento fino al 0.25%. Il problema è che questo potrebbe essere troppo poco e troppo tardi per spostare il tasso di interesse reale al livello ottimale per sostenere in modo adeguato una ripresa economica sufficientemente solida.

Il secondo problema concernente la deflazione è che essa rende il riequilibrio economico all’interno dell’Eurozona molto più penalizzante. Da ottobre 2012 ad ottobre 2013, l’inflazione è stata negativa in Grecia e in Irlanda, e pari a zero in Spagna e Portogallo. Ma questi paesi hanno ancora bisogno di guadagnare competitività abbassando il prezzo relativo dei beni destinati all’esportazione, perché hanno la necessità di sostenere le eccedenze esterne per correggere gli squilibri accumulati. Con l’inflazione media nella zona euro che staziona vicino allo zero, questi paesi devono affrontare una scelta molto disagevole tra la mancanza di competitività e una deflazione interna ancora più profonda. Un’inflazione media troppo bassa equivale a sabbia negli ingranaggi del riequilibrio dell’eurozona.

Da ultimo, ma non meno importante, la deflazione aumenta il peso del debito pregresso. A differenza del patrimonio netto, un titolo di debito è un credito il cui valore nominale non varia a seconda del tasso di inflazione. Con la deflazione che porta ad una crescita negativa del reddito, il peso del debito rispetto al reddito aumenta, diventando potenzialmente insopportabile per i mutuatari – aumentando così il rischio di crisi del debito sovrano -e del debito privato.

Una volta, questo scenario di “deflazione da debito” era semplicemente un caso di studio per gli studenti di macroeconomia. Non più. Come risultato della deflazione e recessione, il PIL (a prezzi correnti in euro) in Grecia, Irlanda, Portogallo e Spagna è oggi allo stesso livello del 2005 o del 2006. Per questo motivo, e nonostante tutti i loro sforzi di sottrarsi alla leva finanziaria, l’eredità del passato pesa ancora pesantemente sulle economie di questi paesi.

I recenti tagli del tasso di interesse della BCE riflettono chiaramente la sua preoccupazione per questi rischi. Infatti, si aspetta un prolungato periodo di bassa inflazione, seguita da un movimento al rialzo graduale verso i suoi obiettivi, con rischi al ribasso per questo scenario. Di conseguenza, si prevede che il tasso di riferimento principale rimanga al livello attuale di 0.25 % o che venga portato a zero.
Ma, sebbene la BCE non possa essere accusata di trascurare il rischio di deflazione, la difficoltà della sua posizione sta nel fatto che è appena sufficiente mantenere l’inflazione annua intorno all’1% e sperare in una risalita ritardata e graduale. Non solo è in contrasto con quanto la BCE ha il compito di realizzare; ma implica anche un ammortizzatore troppo ridotto in caso di un’ulteriore scossa deflazionistica; lascia troppa sabbia negli ingranaggi del riequilibrio della zona euro; e rende la sottrazione alla leva finanziaria dei paesi ad alto debito inutilmente gravosa.

La BCE può fare di più? Avendo agito coraggiosamente a partire dall’estate del 2012 per preservare l’integrità della zona euro, si è sentita in dovere di non inimicarsi i falchi della politica e peccare per eccesso di cautela nel formulare la sua strategia monetaria. Questa è una scomoda via di mezzo.

In alternativa, la BCE potrebbe mettere la correttezza politica da parte e fare di più per adempiere al suo mandato di stabilizzazione dei prezzi enunciando una strategia per tornare alla normalità, e indicando una disponibilità inequivocabile ad adottare un elenco esplicito di politiche non convenzionali.

Il punto è che la BCE deve essere pronta a fare questa scelta. Come Bernanke potrebbe attestare, le politiche monetarie convenzionali potrebbero smettere di funzionare quanto prima.

Source: ProjectSyndacate
 

Si, la BCE può fare di più, ma anche l’Eurozona deve fare di più. E con lei la Germania. come vedete ricadiamo nei soliti discorsi. Berlino può anche accettare uno scenario apparentemente deflattivo per l’Eurozona in quanto per lei la realtà rientra nei parametri “sotto controllo” e quindi è favorevole ad una politica monetaria sempre molto conservatrice, tanto che il taglio dei tassi (di modesta efficacia) ha fatto balzare sulla sedia i membri della Bundesbank.

Decidete signori, o si fa la vera Unione Europea, o si muore (mi riferisco all’Italia). E vediamo che ci partorisce oggi Mario Draghi…

STAY TUNED!

Danilo DT

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1 commento Commenta
idleproc
Scritto il 5 Dicembre 2013 at 13:55

Non in argomento ma…

“The recent EFTA Court Ruling and events in Cyprus indicate that the legal obligation of sovereigns to provide depositor insurance is limited in the event of systemic crises. While governments are credible that they will go to great lengths to protect their insured depositors, their willingness to protect uninsured depositors may not be as great had been thought.”

“For a while it appeared that small deposit holders might bear some of the burden of bank. The adoption of the second proposal makes it clear that if there ever was an implicit government promise to protect all deposit holders, it no longer exists. Large deposit holders can be treated as just another type of senior unsecured creditor.”

http://www.europarl.europa.eu/document/activities/cont/201307/20130703ATT69107/20130703ATT69107EN.pdf

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