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Credito: è crisi tra banche ed imprese. Ma una soluzione ci sarebbe

Scritto il alle 11:11 da Danilo DT

Si parla spesso di spread, di spending review, di LTRO, mentre viene tralasciata una delle tematiche più importanti in assoluto, ovvero quella della crescita economica.

Mancano ancora alcuni importanti tasselli per poter dare il via ad un abbozzo di tentativo di ripresa economica, con input governativi di un certo tipo.

Però attenzione, non dobbiamo MAI tralasciare un tassello fondamentale.
Questa crescita economica deve sempre e comunque passare anche tramite il canale bancario. Lo avete letto dappertutto e in tutte le salse. Oggi “fare impresa” oggi è difficile anche a causa delle forti difficoltà nell’accedere al canale del credito.

Questa infografica redatta da “Fondazione Impresa”  mette a nudo la realtà dei fatti. In Italia è sempre più difficile accedere al canale del credito, e la cosa ha poi delle distinzioni anche di tipo geografico.

Come potete immaginare è proprio nel Sud Italia dove l’accesso al credito è più proibitivo. Ma non illudetevi. Anche un piccolo imprenditore di Torino, oggi, ha delle difficoltà immani a chiedere un finanziamento. E se non c’è il sostegno delle banche, in questa fase di difficoltà, l’economia affonda. Infatti…

… i crediti divenuti inesigibili nascosti nei bilanci degli istituti di credito del Vecchio Continente sono passati dai 500 miliardi di euro del 2008 agli attuali 1005 miliardi. Somma che equivale a circa la metà del debito pubblico italiano.
La notizia peggiore, però, non è che le sofferenze sono raddoppiate nell’arco di un quadriennio ma che la situazione è destinata a peggiorare ulteriormente, mettendo così a durissima prova qualsiasi rete di salvataggio messa a punto dall’Unione Europea.

La crisi dell’economia reale, innescata da quella finanziaria e provocata dunque dalle banche stesse, non può che portare a nuovi fallimenti societari e personali con conseguente aumento dei crediti incagliati, quelli cioè che la banca vanta verso un cliente in situazione di obiettiva difficoltà, che si ritiene però superabile, ma anche di quelli in sofferenza, ovvero nei confronti di soggetti in stato di insolvenza. Un circolo vizioso da cui, almeno per ora, non si riesce ad uscire.

In un quadro così compromesso spicca (in negativo) la performance degli istituti italiani che, nel 2011, è stata la peggiore fra i grandi Paesi europei. Alla fine del 2011 le sofferenze, ovvero i prestiti su cui le banche non incassano rate da più di 90 giorni, sono aumentate del 37% rispetto a dodici mesi prima a quota 107 miliardi. (…) “Questi dati non stupiscono – spiega Markus Burghart, amministratore di Pricewaterhouse Coopers – Sono l’effetto della crisi economica dei Paesi dell’Europa del Sud e per il futuro non è possibile ipotizzare un’inversione di rotta perché la congiuntura continua a essere molto debole”. Questo significa che per le imprese sarà sempre più difficile ottenere linee di credito per investire in nuovi macchinari (o anche solo per pagare gli stipendi nel caso in cui i clienti tardassero a saldare le fatture). Per i privati, invece, dopo il -47% delle erogazioni registrato a inizio anno, l’accensione di un mutuo continuerà a essere un miraggio, mentre il credito al consumo verrà concesso con il contagocce e a tassi di interesse proibitivi.

Per quel che riguarda l’Italia, Pricewaterhouse Coopers sottolinea il fatto che, a differenza di altri Paesi, non si è assistito a uno scoppio di una bolla immobiliare (e se ciò fosse avvenuto anche da noi, il dato sarebbe di gran lunga superiore ai 107 miliardi). Inoltre la società di revisione ha rilevato come i nuovi prestiti siano cresciuti in maniera anemica (+3,6% il volume totale dei crediti concessi; +3,1% il credito alle imprese; +4,3% i prestiti alle famiglie). Questi dati indicano come il balzo delle sofferenze sia figlio della politica dei prestiti del passato. (Source)

Perfetto. Una crisi che si avvita su se stessa e che non potrà che peggiorare. Ma a dirlo non è il sottoscritto, notate bene. Sono i dati che parlano da soli!

La soluzione possibile, scomoda ma realistica, esiste!

Come uscire da questa situazione?

Beh, non possiamo certo dire che sia semplice. Però forse una situazione ci sarebbe. Una soluzione traumatica, ma probabilmente necessaria che resterà, secondo me, utopia pura. A meno che la situazione diveinti veramente insostenibile e quindi si passi ad un “piano di emergenza”.

Un’ulteriore tranche di LTRO? Assolutamente no. l’LTRO è un palliative per comprare tempo e non risolvere il problema.
Un ulteriore “stress test” per tastare nuovamente il polso alle banche? Ma lasciamo perdere! Mi sovviene sempre alla mente il default di Lehman Brothers. Ve lo ricordate il core tier 1 quando questa banca portò i libri in tribunale? Riprendetevi questo post e fatevi una sonora risata.
Per farla breve, tutto quanto si sta architettando, come sempre, serve a comprare tempo. Ma ora è il momento di agire.
E quindi?
Resta ancora una possibilità. E questa possibilità è la nazionalizzazione del sistema bancario.
Lo hanno fatto in Svezia negli anni 90. E’ poi andata così male? Quali sarebbero gli interessi che verrebbero “lesi”? E cosa comporterebbe per il sistema finanziario?
In realtà non è poi un’ipotesi nemmeno così lontana dalla realtà, visto che l’ESM, il famoso fondo Salva Stati, in caso di necessità, potrà lui stesso finanziare le banche diventandone azionista.
Morale: in una fase dove il sostegno pubblico è venuto a mancare per via dell’austerity, sarebbe necessario che la mano pubblica intervenisse utlizzando appunto il canale bancario, finanziando le imprese e sostenendo l’economia.
Troppo ardua come ipotesi, Oppure troppo realistica ma sicuramente scomoda?
Mettetela come volete. In realtà, secondo me, potrebbe essere una soluzione realmente EFFICACE. Il che, di questi tempi, è sinonimo di grande utilità per il sistema economico italiano.

STAY TUNED!

DT

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5 commenti Commenta
alexceck
Scritto il 24 Agosto 2012 at 12:25

D’accordo su tutto, ma non senza prima aver distinto le attività di banca commerciale da quelle di investment banking. La commistione delle due attività è proprio ciò che mette a rischio la stabilità degli intermediari e i risparmi dei depositanti. Ciò che andrebbe nazionalizzato è proprio la banca in senso stretto, nella sua funzione di moltiplicazione dei depositi, di allocazione delle risorse nei progetti imprenditoriali e di strumento di politica economica. Le attività di investment banking lasciamole al rischio e pericolo dei relativi azionisti, senza possibilità di gestire il risparmio delle famiglie.

paolo41
Scritto il 24 Agosto 2012 at 12:42

…cominciamo intanto con MPS….l’idea è buona.
Non dimentichiamoci che anche noi, purtroppo, stiamo subendo una grossa crisi immobiliare anche se non vogliamo chiamarla “bolla”.
Tutti gli imprenditori operanti nel campo dell’edilizia, che è una delle fette più importanti del nostro PIL, grandi o piccoli che siano, sono in mano alle banche e la stragrande maggioranza in questo momento usufruisce della possibilità loro concessa di pagare solo gli interessi, rimandando il pagamento della quota dei mutui a…data da destinarsi.
Le banche cercano di tenere il più possibile, perchè, come si dice dalle nostre parti, se parte il primo se li tira tutti dietro……

magnotta000
Scritto il 24 Agosto 2012 at 14:46

alexceck@finanza,

veramente non so se ti è sfuggito ma nel 2008, il modello di banca d’investimenti è miseramente fallito: delle 5 sorelle che si spartivano il 95% del mercato americano Bear Stearns è stata salvata a marzo, Lehman è fallita e BoA ha acquistato Merrill Lynch.. le restanti Jp Morgan e Goldman Sachs si sono salvate grazie al talf e agli aiuti segreti di Paulson

La verità è che una banca che non ha depositi e che quindi si finanzia giorno per giorno su mercati overnight con leverage tra il 20 e i 30:1 è esposta a una potenziale crisi di liquidità ogni 24 ore.

alexceck
Scritto il 24 Agosto 2012 at 15:15

magnotta000,

E’ quello che sottolineavo .. il problema è che anche alle banche commerciali oggi è data facoltà di assumere posizioni speculative e fare attività di investment banking, sotto palesi conflitti di interesse e mettendo a rischio la stabilità del sistema … Lasciamo agli azionisti delle banche d’investimento “pure” la facoltà di mettere a leva il capitale che vogliono (senza salvarli con finanze pubbliche), ma facciamo svolgere alle banche commerciali la loro vera funzione: raccogliere il risparmio e allocare correttamente le risorse sul territorio. Magari nazionalizzandole …

lampo
Scritto il 24 Agosto 2012 at 17:02

Bisogna precisare che in Svezia non fu proprio una nazionalizzazione delle banche, quanto una suddivisione in diversi gruppi, in modo da ottimizzare meglio le “buone” peculiarità di ciascuno di essi al fine di non svalutare i loro assett (e soprattutto spendere meno soldi pubblici possibili).
In questo dossier, fatto per il congresso americano, trovate una esaustiva spiegazione:
http://fpc.state.gov/documents/organization/110770.pdf

Non credo che una simile soluzione sia realizzabile in Italia, proprio per l’enorme collegamento con il settore immobiliare e i crediti incagliati nel settore industriale/commerciale.
Poi visto che dovrebbe intervenire lo Stato come gestore delle politiche da attuare… avrei ancora più paura!

Già che ci siamo aggiungo questo documento, che elenca le maggiori preoccupazioni del sistema bancario a livello “mondiale”:
http://www.pwc.com/it/it/publications/press-rm/docs/pressrls-bbs2012.pdf
Il rischio di credito è al secondo posto… lo stesso di due anni fa.

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