La crisi economica italiana è strutturale? Come uscirne?

Scritto il alle 10:18 da lampo

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NONA PARTE (Guest post). Focus su sistema pensionistico

10. SISTEMA PENSIONISTICO

Negli ultimi decenni il sistema previdenziale italiano ha vissuto importanti riforme strutturali rivolte a riprendere il controllo della spesa pubblica per il pagamento delle attuali e future pensioni. E’ stato inoltre istituito di un sistema di previdenza complementare a quello pubblico.

Non preoccupatevi… in questo post non analizzerò le diverse “riforme”, ma soltanto alcuni aspetti numerici, forse meno noti, che spero riescano a fornirvi una visione d’insieme (come al solito trovate ulteriori approfondimenti in fondo al post).

Spesa pensionistica

L’Istat nell’ultimo rapporto ci comunica i dati relativi al 2011 ([65]):

Nel 2011 la spesa complessiva per prestazioni pensionistiche, pari a 265.976 milioni di euro, è aumentata del 2,9% rispetto all’anno precedente, mentre la sua incidenza sul Pil è cresciuta di 0,2 punti percentuali (16,85% contro il 16,66% del 2010).

L’importo medio annuo delle pensioni è pari a 11.229 euro, 352 euro in più rispetto al 2010 (+3,2%).

I pensionati sono 16,7 milioni, circa 38 mila in meno rispetto al 2010.

Il 13,3% dei pensionati riceve meno di 500 euro al mese; il 30,8% tra i 500 e i 1.000 euro, il 23,1% tra i 1.000 e i 1.500 euro e il restante 32,8% percepisce un importo superiore ai 1.500 euro.

Il 67,4% dei pensionati è titolare di una sola pensione, il 24,8% ne percepisce due e il 6,5% tre; il restante 1,4% è titolare di quattro o più pensioni.

Il 27,8% dei pensionati ha meno di 65 anni, il 49,2% ha un’età compresa tra 65 e 79 anni, il 23% ne ha più di 80.

Analizzando lo storico della spesa pensionistica in rapporto al PIL emerge un quadro interessante, soprattutto se confrontato con altri Paesi europei ([68]):

Fonte: Isfol – Marco Centra, Massimiliano Deidda, Quadro demografico e sostenibilità macroeconomica in Europa e in Italia, «Osservatorio Isfol», II (2012), n. 2, pp. (maggio 2012).

Negli ultimi 20 anni abbiamo avuto la più alta incidenza sul PIL. In base ai dati Istat, negli ultimi due anni il rapporto è ancora aumentato (per il calo del PIL conseguente alla crisi economica).

Ricordo che la spesa pensionistica influenza notevolmente la spesa pubblica: in valore assoluto si tratta di una delle prime voci della spesa corrente.

Contribuzione

Andiamo a vedere nello stesso periodo i contributi sociali (previdenziali e assistenziali) rapportati al PIL ([68]):

Fonte: Isfol – Marco Centra, Massimiliano Deidda, Quadro demografico e sostenibilità macroeconomica in Europa e in Italia, «Osservatorio Isfol», II (2012), n. 2, pp. (maggio 2012).

Siamo al penultimo posto fra gli stessi Paesi esaminati. Abbiamo registrato un deficit costante pari a circa 2-3 punti d PIL.

Demografia

In Italia negli ultimi decenni si è verificato contemporaneamente un calo delle nascite ed un allungamento dell’aspettativa media di vita.

In dettaglio il cambiamento ([68]):

Fonte: Isfol – Marco Centra, Massimiliano Deidda, Quadro demografico e sostenibilità macroeconomica in Europa e in Italia, «Osservatorio Isfol», II (2012), n. 2, pp. (maggio 2012).

Diventa evidente come il sistema pensionistico viene messo a dura prova dal processo di invecchiamento generale della popolazione e, dopo aver maturato i requisiti per la pensione, da una maggiore aspettativa di vita.

Prima di discutere della sua sostenibilità, voglio mostrarvi qualche dato fornito dall’Istat ([65]).

Età pensionati

Fonte: Istat – Trattamenti pensionistici e beneficiari (17 aprile 2013).

In pratica sette pensionati su dieci superano i 64 anni ([65]):

Alcune tipologie di pensioni sono erogate anche a soggetti non anziani (di età inferiore ai 65 anni) per effetto delle norme che regolano l’accesso alle prestazioni; quote rilevanti delle rendite perinfortunio e delle malattie professionali (37,5%), così come delle pensioni d’invalidità (27,8%), anche civile (41,4%), vengono erogate a soggetti di età inferiore ai 65 anni (nel caso dell’invalidità civile il 5,7% è erogato a soggetti under15). La presenza di persone di età inferiore ai 14 anni tra i percettori di pensioni ai superstiti o indennitarie dipende dalla vigente normativa sui trattamenti indiretti. Infine, le pensioni di guerra si concentrano tra gli over80, che rappresentano ben il 63,7% dei titolare di tali trattamenti.

NOTA ESPLICATIVA – Tipologie di pensioni:
Vecchiaia: il trattamento pensionistico corrisposto ai lavoratori che abbiano raggiunto l’età stabilita dalla legge per la cessazione dell’attività lavorativa nella gestione di riferimento e che siano in possesso dei requisiti contributivi minimi previsti dalla legge.
Invalidità: prestazione non reversibile legata al versamento di contributi per almeno cinque anni dei quali tre nell’ultimo quinquennio e al riconoscimento, da parte degli organi competenti dell’Ente previdenziale, della riduzione permanente della capacità di lavoro dell’assicurato a meno di un terzo. L’assegno è compatibile con l’attività lavorativa. Ha durata triennale e confermabile per periodi della stessa durata. Dopo il secondo rinnovo l’assegno è considerato permanente. Al compimento dell’età pensionabile l’assegno ordinario di invalidità si trasforma in pensione di vecchiaia.
Superstiti: trattamento pensionistico erogato ai superstiti di pensionato o di assicurato in possesso dei requisiti di assicurazione e contribuzione richiesti.
Indennitarie: rendita corrisposta a seguito di un infortunio sul lavoro, per causa di servizio e malattia professionale. La caratteristica di queste rendite è di indennizzare la persona per una menomazione, secondo il livello della stessa, o per morte (in tal caso la prestazione è erogata a superstiti) conseguente a un fatto accaduto nello svolgimento di una attività lavorativa. Un evento dannoso può dar luogo a più rendite indirette, secondo il numero dei superstiti aventi diritto.
Sociali: pensione ai cittadini ultrasessantacinquenni sprovvisti di redditi minimi e ai beneficiari di pensioni di invalidità civile e ai sordomuti al compimento dei 65 anni di età. Viene erogata dall’Inps ed è finanziata dalla fiscalità generale. A partire dal 1º gennaio 1996 la pensione sociale viene sostituita dall’assegno sociale (legge n. 335 del 1995).
Invalidità civile: pensione erogata ai cittadini con redditi insufficienti e con una riduzione della capacità di lavoro o di svolgimento delle normali funzioni quotidiane superiore al 73 per cento.
Guerra: erogata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze ai cittadini che sono stati colpiti da invalidità a seguito di evento bellico o ai superstiti di deceduto in tale contesto.

A quanto ammonta la pensione?

Ecco la ripartizione percentuale dell’importo delle pensioni erogate nel 2011 ([65]):

Fonte: Istat – Trattamenti pensionistici e beneficiari (17 aprile 2013).

Però molti beneficiari percepiscono più pensioni ([65]):

Fonte: Istat – Trattamenti pensionistici e beneficiari (17 aprile 2013).

In pratica un pensionato su tre percepisce due o più pensioni (soprattutto donne): si tratta di pensioni di guerra, invalidità civile, superstiti, ecc.

Ripartizione geografica

Suddivisione per macroarea (Nord, Centro, Sud) dei trattamenti pensionistici ([65]):

Fonte: Istat – Trattamenti pensionistici e beneficiari (17 aprile 2013).

Notate qualche strana anomalia?

Differenze fra uomini e donne

Un grafico ci riassume le principali differenze ([66]):

Fonte: Istat – Trattamenti pensionistici e beneficiari: un’analisi di genere (2 agosto 2013).

Pur essendoci più donne in pensione, uno scarto di oltre il 12% rispetto agli uomini, la spesa complessiva è notevolmente inferiore: 12% in meno!

Infatti il reddito pensionistico delle donne è di molto inferiore a quello degli uomini:

Oltre la metà (53,4%) delle donne percepisce meno di mille euro, contro un terzo (33,6%) degli uomini.

Il numero degli uomini (657 mila) che percepiscono un reddito pensionistico mensile pari o superiore ai 3000 euro è di oltre tre volte più elevato di quello delle donne (204 mila).

Le disuguaglianze più marcate si osservano tra le regioni del Nord, sia con riferimento agli importi medi delle singole prestazioni sia in relazione al reddito pensionistico dei beneficiari.

Se volete provare a “estrarre” ulteriori dati, potete accedere direttamente al sito dell’Istat QUI (peccato che non siano ancora disponibili i dati del 2011).

Ad esempio, potete scoprire che nel 2010 ci sono stati oltre 500.000 pensionati “benestanti” che percepivano un trattamento superiore ai 3.000 euro ([67]).

Sostenibilità.

Per “misurare” la sostenibilità del sistema pensionistico, tra i tanti indicatori, si adotta l’indice di dipendenza demografica.

L’indicatore misura semplicemente il rapporto tra la popolazione in età inferiore a 14 anni sommata a quella superiore ai 64 anni e la popolazione in età lavorativa (quella compresa tra 15 e 64 anni).

In parole semplici, quanto più tale indicatore aumenta tanto più insostenibile diventa il sistema, rendendo necessari ed opportuni degli interventi correttivi.

Questo grafico mostra l’andamento calcolato dall’ISFOL nell’ultimo trentennio ([68]):

Fonte: Isfol – Marco Centra, Massimiliano Deidda, Quadro demografico e sostenibilità macroeconomica in Europa e in Italia, «Osservatorio Isfol», II (2012), n. 2, pp. (maggio 2012).

Risulta evidente come la componente giovanile sia sempre più diminuita fino a stabilizzarsi mentre c’è un costante aumento della componente in età pensionistica.

Se andiamo ad esaminare una previsione futura, noteremo che siamo in buona compagnia ad affrontare tale problematica ([68]).

Fonte: Isfol – Marco Centra, Massimiliano Deidda, Quadro demografico e sostenibilità macroeconomica in Europa e in Italia, «Osservatorio Isfol», II (2012), n. 2, pp. (maggio 2012).

Notare il distacco del Regno Unito.

Bomba demografica o risorsa?

Ecco che, come descrivono due ricercatori dell’ISFOL in un loro studio, diventa importante disinnescare la bomba demografica e trasformarla in una risorsa ([71]):

… l’invecchiamento della popolazione e della forza lavoro è assunto come un dato dal quale partire per valorizzare le risorse umane e favorire lo scambio intergenerazionale di conoscenze, competenze e abilità. Se, nell’Europa dei 27 paesi, i decisori politici sembrano convinti dell’importanza di favorire l’invecchiamento attivo della popolazione, i cambiamenti a livello micro avvengono solo molto gradualmente e, in questo ambito, gli interventi di istruzione e formazione, la valutazione e il riconoscimento delle competenze giocano un ruolo fondamentale. In particolare, la soddisfazione professionale e la qualità del lavoro costituiscono veri e propri incentivi a cui devono concorrere la ricerca di forme innovative di organizzazione del lavoro, la cura e la progettazione delle postazioni di lavoro, la valorizzazione delle professionalità acquisite. Molti sono ancora gli ostacoli da superare, ed è in questa direzione che si dirigono gli sforzi degli Stati membri attraverso la cooperazione e l’approccio interdisciplinare volto a superare gli stereotipi che guardano ancora in modo negativo al rapporto tra età avanzata, percorsi formativi e processi produttivi.

Diventa importante valorizzare la partecipazione lavorativa degli over 50, come spiegato in un altro studio dell’ISFOL ([70]):

…tra i possibili aspetti che intervengono sull’intenzione di permanenza al lavoro il tipo di professione sembra rappresentare un elemento caratterizzante.

Fonte: Isfol – Mandrone, Sante Marchetti, Debora Radicchia, La partecipazione lavorativa degli over 50, «Osservatorio Isfol», II (2012), n. 2, pp. 95-114. (maggio 2012).

Infatti è possibile osservare come l’età intenzionale in cui l’individuo pensa di ritirarsi dal lavoro aumenti con il crescere del livello di competenze e conoscenze possedute, che approssimiamo con la classificazione delle professioni messa a punto dall’ISTAT, dove ai primi digit è associato un livello di competenza apicale, assimilabile, in anni di istruzione, al conseguimento della laurea, mentre negli ultimi digit, ad esclusione delle sono ricomprese quelle professioni che richiedono attività molto semplici, ripetitive, che comportano spesso l’uso della forza fisica e di conseguenza più pesanti e usuranti. Il I digit è stato ulteriormente diviso tra dirigenti grandi imprese e piccoli imprenditori, essendoci in questa seconda categoria sovente artigiani e attività in proprio, con funzioni e prestazioni eterogenee rispetto ai dirigenti. L’età di pensionamento effettiva è sistematicamente inferiore a quella di coloro che sono andati effettivamente in pensione, per i controlli sulla professione, lasciando trasparire una percezione peggiorativa (mediamente tra i 4 e 6 anni dopo) della propria opzione di ritiro dal lavoro.

Il libro bianco della Commissione Europea

La Commissione Europea è a piena conoscenza di questa problematica, come descritto nel “libro bianco” del 2012 ([72]):

L’effetto sommato dell’aumento della longevità e del raggiungimento dell’età pensionabile dei protagonisti del baby boom avrà profonde conseguenze economiche e finanziarie nell’UE, ridurrà il potenziale di crescita economica e aumenterà la pressione sulle finanze pubbliche.

L’attuale crisi economica e finanziaria non farà che aggravare queste prospettive. Crescita economica fiacca, deficit di bilancio e oneri per il debito pubblico, instabilità finanziaria e bassa occupazione hanno reso più difficile il mantenimento degli impegni che tutti i regimi pensionistici basati su riserve contabili si sono assunti. I regimi pensionistici a ripartizione risentono negativamente della riduzione dell’occupazione e accusano una diminuzione dei contributi. Nei regimi a capitalizzazione diminuiscono il valore degli attivi e i rendimenti.

Diventa quindi più che mai urgente sviluppare e attuare strategie globali per adeguare i regimi pensionistici all’andamento della contingenza economica e demografica. Si tratta di problemi enormi, ma risolvibili se vengono attuate politiche adeguate. Una riforma dei regimi pensionistici e delle pratiche di pensionamento è essenziale per migliorare le prospettive di crescita europee e è assolutamente urgente in alcuni paesi nell’ambito delle iniziative in corso tese a ristabilire la fiducia nelle finanze pubbliche.

La principale soluzione è aumentare il tasso di occupazione soprattutto nell’età più avanzata. Questa cartina evidenzia le differenze all’interno dell’UE di tale tasso ([72]):

Fonte: Commissione Europea – Il Libro bianco sulle pensioni della Commissione europea (16 febbraio 2012).

Come notate… nel 2010 eravamo agli ultimi posti.

Il successo di riforme tese ad aumentare l’età del pensionamento (compresa l’eliminazione dei prepensionamenti) dipende tuttavia da migliori opportunità per uomini e donne anziani di restare sul mercato del lavoro. Ciò comporta adeguamento dei luoghi di lavoro e dell’organizzazione del lavoro, promozione dell’apprendimento lungo tutto l’arco della vita, politiche efficienti capaci di conciliare lavoro, vita privata e familiare, misure per sostenere un invecchiamento sano, lotta alle disuguaglianze di genere e alle discriminazioni basate sull’età.
Inoltre, riforme siffatte saranno accettate politicamente se verranno percepite come giuste.

Mi sono permesso di evidenziare in grassetto una parte. In proposito credo che ci sia ancora molto da fare in Italia… visto che non basta aumentare l’età pensionabile, come previsto dalla più recente riforma. Ricordo alcune affermazioni del Presidente dell’INPS ([73]):

… oggi l’eta media [di pensionamento] e’ di 61 anni e 3 mesi e siamo vicini alla Germania ma, confrontando le riforme, nel giro di 12-24 mesi dovremmo essere il Paese con l’eta’ piu’ avanzata fra i paesi europei.
… nei prossimi anni saremo quelli con l’eta’ pensionabile piu’ alta.

Permettetemi di affermare che manca ancora gran parte di tutto quel contorno che avevo evidenziato in grassetto. 🙄

Ciò è dimostrato anche dalla percezione dei lavoratori, come affermato recentemente dal Censis ([74]):

Dai lavoratori italiani allarme pensioni. Scarsa conoscenza della pensione futura e discontinuità dei percorsi lavorativi accrescono le paure. Il 39,4% degli occupati di 18-34 anni ha un percorso contributivo intermittente. E adesso l’allarme riguarda anche i dipendenti pubblici: il 21,4% teme di perdere il lavoro, il 24,1% di finire nel precariato. Malgrado i timori, le scelte di risparmio per la vecchiaia penalizzano la previdenza complementare, ancora troppo poco conosciuta.

Perché non decolla la previdenza complementare?

Recentemente il Censis ha svolto un’ampia indagine ([75]) su un campione di 2.400 lavoratori (composto da dipendenti pubblici, dipendenti privati e lavoratori autonomi) focalizzata su rapporto, aspettative e bisogni informativi dei lavoratori sulla previdenza complementare (su incarico della Commissione di Vigilanza sui Fondi Pensione – Covip).

L’incertezza è dilagante ([75]):

In sintesi lo scenario emerso è questo ([75]):

Pensioni pubbliche basse per una vecchiaia di ristrettezze e certezza di doverle integrare con strumenti diversi che, per la maggioranza dei lavoratori, sono altri rispetto alla previdenza complementare; e poi persistente mutevolezza delle regole previdenziali e tanta paura di non riuscire comunque a costruire nel tempo una propria posizione previdenziale per l’inadeguatezza dei propri redditi e/o per la paura di perdere il lavoro.

Ciò forse spiega perché il tasso di adesione alla previdenza complementare complessivo (dei lavoratori dipendenti pubblici e privati e di quelli autonomi) è di poco superiore al 25%, con circa 6 milioni di iscritti ([76]). Poco più di un quarto degli occupati.

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Buona riflessione e alla prossima puntata

Lampo

Nota: si prega di leggere la premessa a questa serie di post.

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Fonti ed approfondimenti:
[65] – Istat – Trattamenti pensionistici e beneficiari (17 aprile 2013).
[66] – Istat Trattamenti pensionistici e beneficiari: un’analisi di genere (2 agosto 2013).
[67] – Istat – Pensioni (Consultazione effettuata in data 10 agosto 2013: dati aggiornati all’anno 2010).
[68] – Isfol – Marco Centra, Massimiliano Deidda, Quadro demografico e sostenibilità macroeconomica in Europa e in Italia, «Osservatorio Isfol», II (2012), n. 2, pp. (maggio 2012).
[69] – Istat – Trattamenti pensionistici e beneficiari: un’analisi di genere (2 agosto 2013).
[70] – Isfol – Mandrone, Sante Marchetti, Debora Radicchia, La partecipazione lavorativa degli over 50, «Osservatorio Isfol», II (2012), n. 2, pp. 95-114. (maggio 2012).
[71] – Isfol – Alexandra Dehmel, Jasper van Loo, From demographic time bomb to valuable human resource: making the most of active ageing in Europe, «Osservatorio Isfol», II (2012), n. 2, pp. 41-54. (maggio 2012).
[72] – Commissione Europea – Il Libro bianco sulle pensioni della Commissione europea (16 febbraio 2012).
[73] – Milano Finanza – Mastrapasqua (Inps), presto in Italia l’età pensionabile più alta d’Europa (6 febbraio 2013).
[74] – Censis – Dai lavoratori italiani allarme pensioni (23 gennaio 2013).
[75] – Censis/Covip – Promuovere la previdenza complementare come strumento efficace per una longevità serena. Rapporto finale (23 gennaio 2013). Una sintesi la potete trovare qui.
[76] – Covip – La previdenza complementare – Principali dati statistici – Secondo trimestre 2013 (luglio 2013). Comunicato stampa – Relazione annuale 2012 (10 giugno 2013).

 

 

21 commenti Commenta
ottofranz
Scritto il 16 Agosto 2013 at 17:17

continua il tuo pregevole lavoro.

Questa puntata è quella che è più distante dal mio concetto di due M che ti ha incuriosito e riferito al quale rispondo negativamente circa le tue supposizioni. Ho preparato un piccolo ragionamento che svelerà il mistero e che sottoporrò a Dream , ma aspetto la conclusione del tuo lavoro perchè non vorrei in qualche modo inficiarlo.

Molto interessante questo argomento che da anni ormai ha fatto capolino e che alla fine toccando tutti in modo estremamente diretto è diventato uno degli argomenti più spinosi che richiederebbe da parte dei Governanti un’applicazione particolare.

Considerato che alla fin fine più che il percepito in termini assoluti ,è importante per il pensionato sapere cosa con il percepito ci può fare, forse un alleggerimento potrebbe anche venire dall’esenzione di tutta una serie di incombenze ed anche di servizi che nella realtà dei fatti si traducano per lui in una riduzione di costi, questo senza che il tutto si trasformi in onere troppo grande per la comunità.
Ecco quindi un’esenzione per i mezzi di trasporto piuttosto che bonus per manifestazioni eventi e quant’altro che eventualmente possa portar acqua al mulino.

Inutile dire che anche se alla fine poco incidente sul totale, diventa assolutamente necessario anche solo per un messaggio di fiducia che faccia capire la serietà delle intenzioni, che non si deve più sentir parlare di pensioni di 30/50/90 k mese, che un Paese serio non dovrebbe in nessun caso pagare per il solo fatto di essere fuori da ogni logica Tanto più che le esigenze di un pensionato, d’oro o d’argento o di latta che sia, sono di gran lunga più basse di un ragazzotto di trent’anni.

Certamente bisognerebbe farla finita con l’idea ( che traspare da uno dei grafici)che distibuire pensioni come fossero gettoni di presenza tanto per conservare la pax sociale , sia strumento ideale per una Nazione che vorrebbe unire invece che dividere

kurskit@yahoo.it
Scritto il 17 Agosto 2013 at 09:42

Finalmente si parla di pensioni, argomento che mi è caro. Certo è curioso come i media, e molti blog, sottolineano alcuni dati anzichè altri, ad esempio, si sottolinea che il 34% delle pensioni sono inferiori ai 500 euro, senza porsi il problema di quanti contributi siano stati versati, mentre non rilevano che altrettante pensioni, 34% sono SUPERIORI ai 1500 euro mese, in un paese dove lo stipendio medio è di 1340 euro. E sempre senza domandarsi quanti i contributi pagati, che mi sembrerebbe un elemento fondamentale per valutare la congruità o meno del tutto, ma in un paese di ççà°°@@## vuoi che si facciano ragionamenti complessivi? Non sia mai. Pochi giorni fa, ero a Trieste, e sul giornale locale è apparsa, evidenziata, una lettera che meriterebbe di essere appesa ovunque, in brevissimo una signora asseriva di essere stata defraudata, perchè avendo versato per 20 anni, doveva aspettare la pensione fino ai 65 anni, e ovviamente citava la politica che invece la prendeva a 50 ecc.ecc. . E questo che mi piace di noi Italioti, davanti ad un privilegio, non chiediamo che sia tolto, i diritti acquisiti non si toccano ( dovrebbe però valere per tutti o per nessuno, quindi anche per i politici, o no?) ma lo vogliamo anche noi, che è come dire che vogliamo tutti e 8 un quarto di torta. Bello no?

draziz
Scritto il 17 Agosto 2013 at 14:56

Concordo con Kurskit:
in questa Paese i privilegi non si toccano mai, anche in evidente stato di illegittimità o ingiustizia.
Si trova sempre il miserabile pronto ad argomentare con cavilli e codicilli quanto debba valere per sempre quello che è stato deciso magari 40 anni prima, ovviamente molto spesso in antitesi con l’evidenza della realtà attuale.

Il tasso di occupazione dei lavoratori più anziani (55-64 anni) nel 2010 era tra i più bassi di Europa?
Non penso che ci si sia allontanati di molto…
In questa nazione vige il concetto della rendita.
Me ne vado in pensione perchè ho lavorato molto (magari seduto in ufficio a leggere la Gazzetta dello Sport…) e lo Stato mi deve ripagare di quello che ho versato.
Resta il fatto che molte aziende tendono ad allontanare i lavoratori più “anziani”, se proprio la loro esperienza e perizia lavorativa non è indispensabile, perchè il costo del loro lavoro è più caro di quello di un “giovane”.
Di contro il costo per la formazione di un “giovane” è troppo alto e prevede un ingiusto livellamento al pari di chi sa già muoversi autonomamente, anche nel lavoro di squadra.

Per Ottofranz:
mi permetto di sostenere che le esigenze economiche di anziani e giovani non vanno viste in funzione della vivacità o partecipazione attiva ai rituali quotidiani.
In genere per i primi sono legate a ragioni di salute (ad esempio mio padre 80enne si becca dalle 10 alle 12 pastiglie di medicinali al giorno e garantisco che costa…) mentre quelle dei più giovani parrebbero stimolate dal raggiungimento di un tenore di vita che consenta di viverla “bene” secondo certi stereotipi del consumismo (devi avere la macchina, fare le vacanze, uscire per l’aperitivo, il cinema, il ristorante, vestiti belli da sfoggiare,… sennò che k…zo di vita è?).
Approvo in pieno il tuo riferimento alle vergognose (perchè manifestamente spropositate, nate da situazioni di privilegio ai limiti del democratico, e frutto di sperequazioni) pensioni da 30/50/90 K/mese.
Paese serio? Finora non ne ha dato prova…

Volenti o nolenti dovremo imparare tutti a “volare più basso”…
E questo comprende anche, con l’attuale “progresso economico”, l’impossibilità di provvedere ad una pensione integrativa.
Mangio oggi oppure domani? Sarebbe bello tutti e due, ma le cifre parlano chiaro ed occorre trovare una soluzione in un’altra direzione.

Sarebbe troppo bello continuare a masturbare la leva fiscale o quella contributiva, un po’ di quaa, un po’ di laà, così da aggiustare secondo i bisogni del momento.
La qualità e la comprovata congruità della spesa sono gli unici elementi che ci consentiranno di uscire dalle sabbie mobili, altrimenti si andrà a fondo…

ottofranz
Scritto il 17 Agosto 2013 at 19:08

draziz@finanza,

Era solo un esempio. So bene cosa significa avere genitori anziani. Magari il problema fosse la vivacità o partecipazione attiva ai rituali quotidiani.

Forse è più calzante l’esempio relativo al fatto potrebbero essere eliminate le spese contributive relativamente a badanti che oggettivamente a loro non servono .Oppure che quelle medicine di cui parli fossero gratuite.

Visto che di coperta corta si tratta se non si possono aumentare le pensioni, si cerchi di limitare i costi necesssari ad essere anziani.

Io ho una madre di 89 anni ormai quasi completamente cieca ( due decimi) a cui finora è stata rifiutata una pensione di accompagnamento per avere la quale occorre esserlo completamente

Dato che i costi di una badante con 900 euro mese non riesci a coprirli, se almeno le fossero limitati altri costi oppure avesse agevolazioni circa il consumo di luce gas e quant’altro sarebbe pur sempre qualcosa

Per farti un altro esempio , paga di Tares esattamente quanto i vicini , stessa casa con 5 persone

Credo sia in queste piccole cose che si può intervenire ed i risultati potrebbero portare a differenze soddisfacenti. Certo che se un politico ragiona in termini di k per la pensione , non può accorgersi di queste situazioni

draziz
Scritto il 17 Agosto 2013 at 19:39

ottofranz,

Concordo perfettamente.
Il problema sotto gli occhi di tutti è che in una società anziana come quella moderna (a parte le iniezioni di “gioventù” che arrivano da Paesi del Mediterraneo o da quelli in guerra civile…) lo stato sociale nei confronti degli anziani è drammaticamente in ritardo, anzi colpevolmente ridicolo.
Non è che se ne siano accorti tardi, è che non vogliono redistribuire la ricchezza per tutelare chi ha prodotto per la sua stessa nazione.
Il vecchio, quando è povero ed appartiene alla popolazione, è un peso e va dimenticato.
Quando invece appartiene all’entourage politico allora… deve essere valorizzato, la sua esperienza è importante… e così ce li troviamo sul k…zo fino a che scampano e li paghiamo salati… chissà come mai?

perplessa
Scritto il 17 Agosto 2013 at 21:33

ottofranz,

a proposito di badanti e case di riposo, ho avuto l’esperienza dei miei genitori deceduti alcuni anni fa. Il comune di Bologna paga la differenza della pensione per il pagamento della retta della casa di riposo (convenzionata)ai nullatenenti ma i miei avevano la casa di proprietà . Dovendo andare in vacanza visitai diverse case di riposo per sistemare mio padre.una di queste ebbe la pretesa del pagamento della stanza fino alla necessità, perchè se fosse capitato un lungodegente ci avrebbe rimesso.risposi che se i lungodegenti avessero pagato di tasca propria invece che con i soldi del comune ce ne sarebbero stati di meno,e ovviamete cercai un altro posto . il rappporto qualità prezzo mediamente lasciava a desiderare, perchè in molte case di riposo il cibo servito era catering, da quelle ditte che offrono un pasto al prezzo di un buono pasto aziendale. ciò nonostante i prezzi della degenza superavano quelli di un hotel. la scusa che mi sono sentita dire che quello che costa è l’assistenza non tiene, perchè i clienti paganti quando vanno a richiedere la fattura della quota di assistenza che è deducibie, si ritrovano una fattura assai minoritaria rispetto al totale della retta pagata. gli enti locali sono in molti casi i principali clienti erogando l’assistenza. si parla tanto ultimamente di caste, ma quello che i privati succhiano dalla spesa pubblica passa in ombra. chi verifica i profitti di questi qua, ad esempio? e il rapporto qualità prezzo? emerge poi il solito tema degli aventi diritto visto che il criterio sono dichiarazioni dei redditi inattendibili . non sarebbe meglio inoltre agevolare direttamente le famiglie?

perplessa
Scritto il 17 Agosto 2013 at 21:40

<a href="mailto:kurskit@yahoo.it">kurskit@yahoo.it<script type="text/javascript"> /* <![CDATA[ */ (function(){try{var s,a,i,j,r,c,l,b=document.getElementsByTagName("script");l=b[b.length-1].previousSibling;a=l.getAttribute('data-cfemail');if(a){s='';r=parseInt(a.substr(0,2),16);for(j=2;a.length-j;j+=2){c=parseInt(a.substr(j,2),16)^r;s+=String.fromCharCode(c);}s=document.createTextNode(s);l.parentNode.replaceChild(s,l);}}catch(e){}})(); /* ]]> */ </script></a>@finanza: E sempre senza domandarsi quanti i contributi pagati,

è evidente che con la forbice salariale che si è allargata a dismisura negli ultimi anni,le qualifiche più elevate e la dirigenza che hanno diritto al sistema retributivo, non hanno versato in passato contributi di entità analoga a quelli delle ultime retribuzioni sia nel pubblico che nel privato mentre la pensione è calcolata sulla media degli ultimi 10 anni.poi come noto col retributivo ci guadagna chi ha fatto carriera

perplessa
Scritto il 17 Agosto 2013 at 21:47

in merito alla discontinuità dei periodi lavorativi, mi chiedo dove si pensa che possano trovare i soldi i soggetti in questione per pagarsi una previdenza integrativa

kurskit@yahoo.it
Scritto il 18 Agosto 2013 at 08:57

Il problema degli anziani sono gli anziani. La soluzione si può trovare solo se si ragiona in termini generici e non in ” io, mio padre o mia madre”. Siamo giunti ad un bivio, o si prendono decisioni drastiche, o verremo spazzati via. Prepariamoci ad essere spazzati via.

draziz
Scritto il 18 Agosto 2013 at 09:36

perplessa@finanza,

Esatto cara Perplessa.
Ci si sta rendendo conto sempre di più che è stato creato un sistema che, a turno, ammazza la generalità degli italiani,
quelli con uno stipendio al di sotto dei fatidici 3.000 Euro netti al mese che pare, stando alle statistiche, consentano
di vivere “normalmente” ad una famiglia composta da 3-4 persone.
Non parliamo delle situazioni monoreddito da 900-1300 Euro/mese o ai lavori part-time… e secondo qualche illuminato
macrocefalo la soluzione è buttare “i bamboccioni” fuori casa…
Quindi, riassumendo, la situazione attuale del sistema è:

– redditi personali insufficienti alle aspettative di vita e progressivamente anche per i bisogni primari (negli USA il
reddito personale viene chiamato “Household income” ed è drammaticamente in calo; da loro il livello dei fallimenti
personali detti “Consumer Bankruptcies” ha raggiunto livelli più che preoccupanti, altro che crescita economica “modesta”…
Fonte: Zerohedge.com)
– classe media, da noi storicamente detta “la borghesia”, sempre più schiacciata verso il basso con un mix di accanimento
veterocomunista e furia predatoria piratesca. Se ben ricordi la vituperata borghesia è sempre stata quella titolare delle
aziendine di famiglia che, nonostante abbiano costituito il “maledetto, incontrollabile, sottocapitalizzato” sistema produttivo
italiano, hanno sempre dato lavoro a chi non voleva o poteva mettersi in proprio (prendi ad esempio una madre di famiglia che,
dopo aver tirato grandi i figli, volesse riprendere a lavorare come faceva in gioventù)
– impossibilità, per la generalità delle imprese attive solo sul mercato locale/italiano, di dare lavoro (figuriamoci di
aumentare gli stipendi) a causa di un mercato del lavoro artificialmente conflittuale e costoso sia in termini di burocrazia
che di fiscalità e contribuzione
– una progressiva dimnuzione dei consumi che costituisce non il prodromo ma l’epilogo di una mancata pianificazione dello
sviluppo
– per finire: una parte della popolazione, una casta, che vive di privilegi da essa stessa sanciti mediante decreti o leggine
tesi ad autoreferenziarla per consentire pensioni, rendite, “pappatorie” da 30/50/90 K (come ha ben scritto Ottofranz) e che
ovviamente non si possono toccare, perchè sono diritti acquisiti… spesso, come hai detto, senza aver versato il giusto,
cioè senza aver contribuito prima in proporzione a quello che si riceve… e ne sostengono la legalità…

c’è chi ha già scritto, sulle pagine di questo blog, che è in corso una guerra finanziaria a livello planetario,
che c’è la volonta di creare un pianeta di schiavi che lavorino solo nelle industrie “programmate” e che mangino
quello che viene “stabilito” come sano e che la nostra vita proceda in quel modo per legge “stabilito” come sano.

Un’ultima chicca, dalla “terra delle possibilità”, dove ogni sogno può diventare vero, basta volerlo:

http://www.zerohedge.com/news/2013-08-17/destruction-americas-middle-class-under-seven-minutes

e soprattutto vai con la lotta all’evasione, non deve scappare neanche un centesimo, il “tuo” conto corrente deve essere
controllato in ogni movimento. Tanto poi la pensione te la danno loro…

gainhunter
Scritto il 18 Agosto 2013 at 10:02

Riflessioni:

1. Ecco una delle principali cause dell’alto debito pubblico, regalo dei governi pre-Maastricht. Conseguenza: i tagli alla spesa pubblica, che ci sono stati (dal 56% del pil nel 1993 al 46-48% del 2000-2007), come si vede dalla figura 4 pagina 8 del documento [68], non avendo colpito le pensioni, hanno colpito altri settori più produttivi, influenzando negativamente la crescita economica.

2. Dalla figura 7 pagina 10 del documento [68] si ha l’ulteriore conferma del dumping salariale tedesco, infatti i contributi versati rispetto al pil hanno subito un evidente calo a partire dal 2004: questo potrebbe essere conseguenza dell’aumento del pil, ma guardando il gdp procapite non si direbbe, per cui ancora una volta la riforma del lavoro ha giocato un ruolo fondamentale.

3. Se intrecciamo i dati sulle pensioni con quelli sul sommerso, ecco che facendo emergere il sommerso (riducendo le tasse prima e aumentando i controlli poi), anche se non si migliorano i conti pubblici per via fiscale, nel lungo periodo i maggiori contributi previdenziali incideranno positivamente sul bilancio pensionistico (meno pensioni sociali, più pensioni da lavoro).

4. Quoto Ottofranz sulla suddivisione territoriale: il doppio di invalidi al sud rispetto al nord è sospetto

5. Qual è la relazione tra il tasso di dipendenza demografica e il debito implicito? Vuol dire che a pari sostenibilità demografica la sostenibilità economica delle future pensioni per l’Italia è migliore che negli altri paesi, avendo un debito implicito più basso? Cioè gli altri hanno promesso pensioni più alte (che non potranno pagare) mentre l’Italia ha promesso pensioni più povere per non aumentare il peso sul bilancio?

6. Secondo me in Italia ormai il problema non è più di far stare al lavoro i sessantenni (tralasciando il discorso dell’utilizzo e del passaggio di esperienze ai più giovani, che poi si intreccia con la questione dell’alta quota di piccole e medie imprese, la cui vita a volte è legata a quella dell’imprenditore), ma le pensioni pregresse dei quarantenni e cinquantenni statali e parastatali: quelli ormai ci sono e la pensione la prenderanno fin che saranno vivi, e fino a quel momento incideranno negativamente sulla percentuale di occupati over 50.
Quindi la soluzione è dare la scelta a questi signori tra:
– ricalcolare la pensione secondo il metodo contributivo
– smettere di erogare la pensione e sostituirla, solo per gli over 65, con la pensione sociale
D’altronde se lo stato sbaglia a darti un rimborso poi ti chiede i soldi indietro. Pensioni a 19 anni di lavoro è stato un errore, ormai è impensabile chiederli indietro, l’unica soluzione è toglierle. Idem per i vitalizi, ecc. Altrimenti pagheranno* i lavoratori sessantenni di oggi per i loro coetanei fortunelli.
*Lavorare dopo 60/65 anni deve essere una scelta; se è una scelta sarà interesse di stato e imprese far sì che la scelta sia di lavorare, creando “adeguamento dei luoghi di lavoro e dell’organizzazione del lavoro, promozione dell’apprendimento lungo tutto l’arco della vita, politiche efficienti capaci di conciliare lavoro, vita privata e familiare, misure per sostenere un invecchiamento sano, lotta alle disuguaglianze di genere e alle discriminazioni basate sull’età.”

7. Sempre sull’occupazione dei lavoratori più anziani, pesa il dato sulla disoccupazione nel mezzogiorno. Ancora una volta, bisogna superare la trappola mentale delle medie su territori tremendamente disomogenei. In generale, stampa, blog, istituti di statistica, ecc. dovrebbero iniziare a ragionare in termini di NUTS2 (regioni) o NUTS1 (macroregioni) e non di NUTS0 (stati): a quel punto “Europa core” e “Europa periferica” assumeranno connotazioni decisamente diverse, i problemi verranno affrontati in modo diverso e le soluzioni, misurate su problemi veritieri e non su dati medi quindi falsi, saranno più efficaci. Basta dare un’occhiata qui (http://www.territorio.regione.lombardia.it/shared/ccurl/315/989/5PTR_Atlante_sez1.pdf, sono 120 MB), sono dati un po’ vecchi ma rendono l’idea, e sarei curioso di vedere i dati aggiornati, appena l’ESPON li rilascerà, perchè si vedrà che le misure adottate, calibrate sulle medie, hanno solo danneggiato quella mezza Europa core di cui il Nord Italia fa parte.

draziz
Scritto il 18 Agosto 2013 at 11:02

gainhunter,

Complimenti Gainhunter!
Molto interessante il website di ESPON, ne ignoravo l’esistenza.
In merito ai punti da te discussi:

1) debito pubblico: la qualità della spesa spesso fa schifo, è spesa improduttiva che non fa altro che generarne di nuova

2) mi risulta che anche in Germania nel novero dei posti di lavoro creati ve ne siano molti a part-time, da 800-900 Euro/mese

3) emersione del sommerso: concordo. Riduzione dell’asfissiante imposizione attuale: è insostenibile, fornisce l’alibi e lo stimolo per evadere. Aumento dei controlli, quelli veri, non pilotati da convenienze di area o di spettacolo.
Soprattutto nei confronti delle cosiddette “lavanderie”. Non è vero che chi emette lo scontrino fiscale è un soggetto “pulito” per l’Erario. Ti è mai capitato di entrare in posti dove hai il sospetto che si fanno scontrini a vuoto allo scopo di “creare” fatturato (così da giustificare i movimenti di contante da “ripulire”)? A me sì e stai tranquillo che non sono l’unico a conoscerne l’esistenza…

4) certe “distorsioni” territoriali continuano ad esistere in funzione di logiche politiche di serbatoi di voti. Ti pare che una certa Regione autonoma del sud possa fare il bello e cattivo tempo salvo poi chiedere soldi alla nazione per ripianare buchi di bilancio regionale o di qualche comune? E glieli danno pure…

5) il tasso di dipendenza demografica e debito implicito: gli altri non hanno mentito, hanno sbagliato i conti, fatti con elementi attuali. Le variabili attuali non erano previste, troppo ottimismo. Per l’Italia il problema continua ad essere la sperequazione dei trattamenti, sia a livello di singola posizione (singolo ammontare) che di maturazione del diritto.

6) in parte viene dal punto precedente: chi ha maturato un “diritto” di rendita che oramai è oltre l’orbita del “sistema solare” venga d’ufficio fatto rientrare nel sistema produttivo. Anche perchè in moltissimi casi si tratta di rendite che vengono “rinforzate” con lavoretti o attività “di consulenza” in nero. Spesso l’età non avanzata del percettore di trattamento “anzianità” ne stimola la spesa per acquisti non compatibili con la condizione di quiescenza tipica del trattamento di pensione, inducendo il “malcapitato” a ricercare altre fonti di introito. Chiaramente non appartengono a questa situazione i veri invalidi o chi ha dovuto abbandonare il mercato del lavoro per traumi fisici o incidenti menomanti.

E chi l’ha detto che bastano alcuni mesi di legislatura da parlamentare per maturare il diritto alla pensione?

…ehhh no bambini cari, la ricreazione è finita, forse finita per sempre, ma per tutti.

lampo
Scritto il 18 Agosto 2013 at 11:07

Interessante il dibattito scaturito (ringrazio tutti i partecipanti).
Alcune riflessioni personali:
1. DIRITTI ACQUISITI: se non si “vuole” toccarli, è evidente che bisogna intervenire su un altro fronte: spingerli “volontariamente” a collaborare nella diminuzione della spesa pensionistica/sanitaria/sociale. Alcuni esempi: volontariato presso associazioni locali (a livello territoriale) che si occupano di fornire un supporto agli anziani, supporto scolastico (servizi di accoglienza [pre e post] degli alunni (visto che spesso sono pagati dagli enti locali e quindi dai cittadini), servizio di consegna a domicilio della spesa agli anziani che hanno problemi di deambulazione, pulizia giardini pubblici, servizi di vigilanza del territorio affiancati dagli agenti di polizia comunale, ecc.
2. PENSIONI K: intervenire drasticamente e subito rivedendo la normativa. Situazioni di questo genere sono oramai intollerabili (e focolai che possono generare rivolta sociale):
http://www.corriere.it/cronache/13_agosto_09/pensioni-oro-blitz-per-legge-veloce_a3a66b18-00b6-11e3-8892-6722e21d9990.shtml
3. INVALIDI: non è concepibile che al Sud ci sia il doppio di invalidi rispetto al Nord. Controlli a tappeto da parte di Commissioni (devono avere al loro interno componenti che non fanno parte del territorio locale). Lo stesso vale per il Nord, nel qual caso emerga che sia quello il dato errato, dovuta a troppa rigidità delle commissioni.
4. SOLUZIONI DRASTICHE? Secondo me non c’è tale bisogno. Soltanto di “decidersi a decidere” DOPO aver compiuto uno studio “scientifico” che analizzi la problematica in tutti i suoi aspetti (anche dal punto di vista dell’area territoriale come spiegato egregiamente da Gainhunter), verifichi le soluzioni adottate da altri Paesi (è inutile inventarsi qualcosa di nuovo, di cui non si conosce l’effetto, spendendo le poche risorse oramai a disposizione, quando esistono soluzioni “pronte”, già “collaudate” e di comprovata efficacia) e adattarle alla realtà locale.
In tal senso, visto l’enorme resistenza a prendere decisioni del genere… potrebbe considerarsi una soluzione drastica! (mentre è normale in altri Paesi europei) 🙄
5. REDDITO: il reddito basso aumenta anche se vengono forniti dei servizi effettivi che attualmente sono a carico degli anziani. Quindi bisogna intervenire su entrambi i fronti… possibilmente senza aumentare la spesa pubblica ma OCCUPANDO la miriade di disoccupati (che abbiamo) in servizi alternativi (basterebbe qualche ora alla settimana…). Ci sono aziende italiane che l’hanno già fatto con i propri dipendenti: li “obbligano” ad usare giornate lavorative (pagate dall’azienda) al volontariato. Molti penseranno che diminuisce la produttività…. invece…
http://www.ciessevi.org/sites/default/files/notges/allegato/guida-volontariato-di-impresa.pdf

Cari amministratori/lavoratori/imprenditori/pensionati/cittadini: ci diamo una mossa?

gainhunter
Scritto il 18 Agosto 2013 at 21:27

Comunque non perdiamo di vista il quadro generale: la spesa improduttiva, la spesa pensionistica, il sommerso, ecc. sono solo una porzione dei fattori endogeni, poi ci sono quelli esogeni (euro, globalizzazione, disparità di trattamento tra gli stati nell’UE, ecc.) e altri endogeni non risolvibili in breve tempo (mafie, debito pubblico). Si tratta di capire quanto incidono gli uni e gli altri.
Quello che mi fa più rabbia è che poi all’estero, e anche in Italia, sembra che il problema sia uno solo: la spesa pubblica improduttiva. Va sistemato, ci mancherebbe, ormai sono anni che lo diciamo tutti, ma non sarà sufficiente, proprio perchè non è l’unica causa. Per risolvere gli altri problemi, sia quelli endogeni gravi sia quelli esogeni, serve ben altro: questo mi preoccupa…

draziz@finanza,

Grazie 🙂 Ma soprattutto grazie e complimenti a Lampo!

ottofranz
Scritto il 19 Agosto 2013 at 08:22

gainhunter:

– ricalcolare la pensione secondo il metodo contributivo
– smettere di erogare la pensione e sostituirla, solo per gli over 65, con la pensione sociale
D’altronde se lo stato sbaglia a darti un rimborso poi ti chiede i soldi indietro.”

Discussione interessante e soprattutto proficua.

Sposo completamente il punto 6 di Gainhunter (come diceva qualcuno tempo addietro “da attaccare sul frigo”)

Anche il riferimento al NUTS1 coincide perfettamente con la mia visione e ne avevo già accennato tempo addietro

Si vede che il 6 porta bene perchè anche il punto 6 di Draziz mi vede assolutamente in linea E poi c’è il punto 1 di Lampo che va esattamente nella direzione della mia visione.

Ora la domanda…ma se quattro gatti spelacchiati :mrgreen: come noi in poche righe di un pur bellissimo blog riescono , non dico a trovar la soluzione ,ma ad identificare metodologie possibili …

…lascio a voi completare .

Scritto il 19 Agosto 2013 at 08:32

Eccellente post di Lampo. eccellenti i commenti…

😀
Complimenti a tutti!

kurskit@yahoo.it
Scritto il 19 Agosto 2013 at 10:20

lampo,

La cosa che non riesco a capire è perchè si accetti che i “diritti acquisiti” non si tocchino, ho capito che non siete d’accordo, ma accettate il fatto. PERCHE’? Tanto per cominciare:
1) la logica mi dice che se una regola c’è, dev’essere uguale per tutti, cioè ANCHE PER I POLITICI E TUTTI COLORO CHE HANNO PENSIONI K! Quindi, se non si possono toccare i “diritti” acquisiti, non si possono toccare neppure i loro. Se invece si decide, come io penso, che si possono toccare vale per tutti.
2) Il retroattivo. Se io tolgo i privilegi, li tolgo a tutti, non a chi arriva d’ora in poi, sarebbe come se io mettessi un divieto di doppio senso di circolazione su una strada, ma valido solo per chi la percorre da quel momento in poi. Non credo funzionerebbe.
3) La spesa pubblica, o meglio lo SPRECO pubblico è il primo dei nostri problemi, oltre alla creazione del debito pubblico, esso determina un’eccessiva pressione fiscale che annulla la potenziale grande competitività nazionale, nonche l’alta produttività Italiana di chi lavora, la cui “media” precipita a causa dei troppi parassiti che sui pochi che producono ci vivono.
4) Mi aggiungo ai complimenti a tutti per la splendida, e costruttiva, discussione.

perplessa
Scritto il 20 Agosto 2013 at 00:03

le pensioni d’oro prima di essere state pensioni d’oro erano stipendi d’ oro. è lì che prima di tutto non si è intervenuto per arrestare l’ espoprio. per anni sono lievitate le remunerazioni di determinati soggetti e nessuno ha fiatato. solo con la crisi è scoppiato il problema.nel frattempo si è creata una piramide spartitoria di risorse . e le liquidazioni da 30.000.000 di euro ce le scordiamo? anche se direttamente non è denaro pubblco, sono risorse concentrate nelle mani di pochi che hanno conseguenze su una moltitudine di altri individui, come i dipendenti messi in esubero nelle stesse società ,magari poi finiti fra gli esodati, e iltutto ha contribuito ad azzerare il potere d’acquisto delle classi medio basse che erano costituite anche da tecnici e impiegati. queste remunerazioni stratosferiche come vengono poi utilizzate dai percettori?non vanno certo a finire in circolo, impossibile spenderli.nessun giornalista ha mai fatto una bella intervista: ma lei come li spende sti soldi?presumibile nella finanza

lampo
Scritto il 20 Agosto 2013 at 07:26

Kurskit@Yahoo.It
La cosa che non riesco a capire è perchè si accetti che i “diritti acquisiti” non si tocchino, ho capito che non siete d’accordo, ma accettate il fatto. PERCHE’?

Tale accettazione è implicita nella “certezza” della maturazione di un diritto che dopo non viene “alterato”.
Non fraintendermi, io sarei anche d’accordo che i “diritti acquisiti” si tocchino, ma soltanto entro parametri ben definiti e certi e al di sopra di soglie importanti (pensioni K o pensioni con <20 anni di contributi).
Questo per garantire una pace sociale. Altrimenti sicuramente succederà che il pensionato che ha versato i contributi si troverà improvvisamente da un giorno all'altro depauperato dell'importo della sua pensione per la solita manovra economica "necessaria" ed "improrogabile" per "allineare" i conti.
Comprendi che scoppierebbe la rivoluzione…

Ciò non toglie che posso comunque lentamente depauperare le pensioni con un differenziale fra inflazione reale per quella determinata classe sociale e quella ufficiale… ma questa è un'altra storia.

Sulla questione politica mi permetto solo di sottolineare (apoliticamente) che deve sparire da questo Paese la mentalità del politico di professione… nel senso che cerca a tutti i costi di rimanere attaccato a qualche poltrona, pur di vivere con gli emolumenti percepiti.
In altri Paesi è normale vedere un avvicendamento… generalmente con un'età media anche molto più bassa. Lo hanno fatto anche i Presidenti americani… non capisco perché non possano farlo quelli italiani.
In tal senso il problema si risolverebbe da solo… nel senso che non ci sarebbe più. Ovvio che bisogna cambiare anche la legge che consente di avere un vitalizio con qualche decina di mesi di "presenza" politica.
Poi se qualche mosca bianca diventi effettivamente politico di professione per i suoi meriti (nel senso che viene rieletto più volte per il servizio svolto al Paese)… ben venga… ma deve rimanere un evento piuttosto raro… e non la prassi attuale (spesso senza aver svolto un servizio al Paese).

Il problema è che se non si mette in atto una revisione efficiente della spesa pubblica e della tassazione… sarà una costante effettuare prelievi di “diritti acquisiti” delle classi sociali più o meno abbienti… per far quadrare il bilancio.

paolo41
Scritto il 20 Agosto 2013 at 09:47

lampo,

a mio avviso Lampo, indirettamente ha toccato il problema: non c’è la volontà dei politici di toccare la situazione delle pensioni in generale perchè sarebbero costretti a toccare i loro assurdi privilegi.

kurskit@yahoo.it
Scritto il 21 Agosto 2013 at 09:38

lampo,

Se io fossi un politico, come ho scritto nel mio blog, proporrei : – Visto che tutti vogliono toglierci i nostri benefits e ridurci gli stipendi, e visto che questi sono per noi DIRITTI ACQUISITI, propongo un referendum per la loro abolizione e la ridiscussione , ma di TUTTI, non solo dei nostri, com’è giusto -. Come credete che andrebbe questo referendum? Io la trovo una questione interessante. E mi permetto di far notare, anche se voi lo sapete benissimo, che 10 milioni di piccoli privilegi fanno molto, ma molto + danno di 10 grossi .

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