in caricamento ...

L’Unione Europea ha raggiunto un record: la disoccupazione.

Scritto il alle 15:35 da lampo

L’Eurostat, l’Ufficio di Statistica europeo, lo scorso marzo ha certificato che l’Unione Europea (27 stati)  ha raggiunto il record della disoccupazione dalla creazione dell’unione monetaria ([1]), pari al 10,2% (dato corretto stagionalmente).

Ma il dato più impressionante è il tasso di incremento annuale pari al 8,5%, visto che soltanto il marzo scorso era al 9,4%.

Se consideriamo invece la zona euro, cioè a 17 stati *, il dato è ancora più alto, pari al 10,9%. Un anno fa era il 9,9%.

* Sono inclusi: Austria, Belgio, Cipro, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Irlanda,  Italia,  Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi, Portogallo, Slovenia, Slovacchia e Spagna.

Eccovi il dettaglio in un grafico ([1]).

Fonte: Eurostat - Euro area unemployment rate at 10.9% - News release (2 maggio 2012)

Dato che la percentuale non è altro che un valore matematico asettico, vorrei che vi rendiate conto che tali valori corrispondono rispettivamente a circa 24,8 milioni (UE27)  e 17,4 milioni (zona euro) di uomini e donne.

Ovvero rispettivamente a metà della popolazione spagnola e a poco più dell’intera olandese.

A titolo di confronto, nello stesso mese, in USA (dove è iniziata la crisi finanziaria) avevamo l’8,2% di disoccupazione e “solo” il 4,5% in Giappone.

Il dato più sconfortante è la disoccupazione giovanile. Nell’Unione Europea ci sono circa 5,5 milioni di giovani disoccupati (con meno di 25 anni), pari a circa il 22,6%.

Uno su quattro!

E’ un dato che voglio sottolineare, visto che la disoccupazione giovanile è un tema a cui tengo particolarmente, dedicandoci in passato alcuni post. Sinceramente tali dati me li aspettavo… e ritengo che il massimo non sia ancora stato raggiunto.

Il problema è quanto dureranno questi tassi di disoccupazione!

I giovani sono l’estensione del nostro futuro e, anche se non ci pensiamo, faranno parte della classe dirigenziale che ci “assisterà”… quando avremo maturato i diritti per “goderci” la più o meno meritata pensione!

E’ indubbio che tali dati sono il frutto di una crisi economica che ha superato agevolmente l’oceano atlantico, passando per le fibre ottiche dei cavi sottomarini, dato che, come sapete, è stata innescata nelle sale operative finanziarie oltreoceano (a partire dal collasso dei prodotti finanziari legati al settore immobiliare statunitense).

E’ auspicabile, visto il recente risultato elettorale in Francia e Grecia, una riflessione sull’attuale politica di austerity. Infatti l’ostinazione nella sua perpetuazione può aggravare ulteriormente tale fenomeno, specie nei Paesi in cui è più diffusa la disoccupazione.

Bisogna affiancare quindi qualcosa di nuovo ed innovativo, che dia un contributo essenziale al fine di favorire l’entrata dei giovani nel mercato del lavoro e, al contempo, valorizzare il più possibile le loro competenze e attitudini, permettendone l’espansione nella carriera lavorativa.

Per questo sono dell’idea che ci troviamo, a livello storico, nel momento più opportuno per compiere una riflessione e, soprattutto, una revisione della più importante componente del mondo moderno: il lavoro.

Ovvero un concetto fondamentale della vita dell’uomo, che (permettetemi) possiede due concezioni, diametralmente opposte.

Una più moderna, figlia della rivoluzione industriale, che delinea il lavoro quantitativamente, ovvero un mezzo per produrre una serie di prodotti utili alla sopravvivenza personale.

In tal caso solo una minima parte del livello di conoscenza del lavoratore diventa uno  strumento per fabbricare un certo quantitativo di beni. In cambio si riceve un corrispettivo in denaro, utile a comprare ciò che serve. Spesso viene usato per soddisfare bisogni effimeri che vanno molto al di là di quelli primari o effettivamente personali (ma è la componente essenziale del sistema economico attuale, basato sul consumismo).

L’altra concezione, considera il lavoro qualitativamente, la produzione del bene viene considerato allo stesso livello della conoscenza.

Ovvero il lavoro, pur rimanendo di fatto il mezzo con cui ci procuriamo da vivere, diventa anche uno strumento per applicare in pratica le nostre conoscenze, spesso tramandate da chi le ha affinate durante un’intera vita.

Pensiamo al caso dell’artigiano, che ha custodito gelosamente la propria arte, al fine di preservare la competitività della propria professione sul mercato, e salvaguardare la propria famiglia (visto che spesso contribuiva all’attività).

Alla fine della sua carriera, capita spesso di essere ben disposto a tramandare tale arte ai propri eredi, oppure, se umile e ricettivo, al “giovane garzone” che si sostituirà a lui, aprendo una nuova attività o mediante acquisizione diretta di quella vecchia (se è riuscito prima a fargli concorrenza).

E’ chiaro che il livello di gratificazione, legato alle due concezioni del lavoro è differente.

Provo a estremizzare.

La prima è sicuramente meno gratificante, visto che quel quid della propria intelligenza e conoscenza, serve solo a rendere operativa la macchina, che così, funzionando correttamente, produrrà il bene. Del valore di quest’ultimo, il lavoratore gode solo di una minima parte, come corrispettivo salariale.

Lo stesso concetto può essere sviluppato per un lavoro impiegatizio o nel settore dei servizi.

Permettetemi di dire che la dimostrazione del minore livello di gratificazione è data dalla creazione di una “festa del lavoro” che si festeggia per non lavorare. Evidentemente se siamo arrivati a tal punto, vuol dire che tale lavoro non rispetta la naturalità dell’uomo. Cioè non viene considerato come “fatto spontaneo”, e richiede l’inserimento di una festa per digerirlo meglio (e spesso di un controllo serrato per eseguirlo).

Mi rendo conto di forzare la mano con tale affermazione, ma continuate a seguire il mio ragionamento. Alla fine siete liberi di valutarlo più o meno corretto o assurdo.

Poi capita frequentemente che tale tipologia di lavoro sia una semplice routine, che non permette allo stesso lavoratore di affinare le proprie capacità, ma anzi lo aliena. Ecco che il lavoratore è sempre più frustrato, al tal punto che a fine giornata lavorativa non ha più forze intellettuali per dedicarsi ad altro, oppure ha bisogno di immergersi in un consumismo che gratifichi lo sforzo compiuto. Spesso costandogli in pochi minuti molte ore se non intere settimane di sforzo lavorativo!

La seconda concezione è indubbiamente più soddisfacente, visto che il mestiere e lo sforzo intellettuale creato a partire dalla propria conoscenza, viaggiano di pari passo e si fondono in un tutt’uno creando il prodotto finale.

Tale lavoro è differente da persona a persona, visto che coglie le inclinazioni e passioni di ognuno di noi, ampliandole nel percorso professionale.

E’ ovvio che questa seconda concezione del lavoro deriva da tempi più antichi, preindustriali. Certamente può essere un mestiere più faticoso, ma anche più accettabile, visto che la passione aiuta a renderlo tale.

Ecco perché credo che sia venuto il momento di riflettere sul concetto di lavoro stesso. Siamo  portati a pensare che l’uomo moderno industriale pensi sempre a lavorare, intensamente, tante ore in maniera da incrementare il più possibile il proprio profitto.

Non credo che vi serva citare le statistiche sulla produttività per confutare, almeno parzialmente, tale stereotipo.

Molte volte il traguardo da raggiungere (a tutti i costi) è il sogno di avere un sufficiente capitale che permetta di non svolgere più quello stesso lavoro che è stato svolto pedissequamente per tanti anni (con in testa sempre tale cruccio)!

Tanti di questi lavoratori, una volta raggiunto il loro fine (se sono così fortunati), oppure quando arrivano alla pensione, cadono in depressione, perché non si sentono più funzionali allo scopo che si erano posti, non avendo coltivato altre passioni e/o aspirazioni nella propria vita (spesso neanche la famiglia o i propri cari e amici).

Infatti molte volte è la stessa famiglia che li ripudia o li mette da parte:

“Che cavoli… dobbiamo sopportarne la presenza tutto il giorno!”

Ma ci rendiamo conto dell’assurdità?

Arrivo al dunque.

Avrete già capito che in entrambe concezioni il lavoro è legato al concetto di tempo libero, anche se in modo differente.

Conseguentemente ancorare il concetto stesso di lavoro al numero di ore lavorate diventa del tutto fuorviante per esprimere quanto il lavoro sia legato ad una società.

Provo a spiegarmi.

Pensate alla persona che lavora mal volentieri, guarda continuamente l’orologio, pur di scappare il prima possibile. Ebbene esce di fretta dalla porta di quella “gabbia di stress noioso”, per poi rientrarci dalla finestra, con il tempo libero, ferie, ecc.

Tale lavoratore può essere considerata equivalente a quello che, nello stesso numero di ore lavorative, svolge diligentemente il proprio lavoro, con passione e dedizione, cercando di cogliere gli aspetti che gli permettano di svolgere meno fatica ed ottenere più profitto e gratificazione (non credo serva citarvi la filosofia del kaizen giapponese)

Eppure sono due facce della stessa moneta.

Capite che il numero di ore lavorate non riesce a distinguere di quale delle due persone si tratta?

Ecco che dobbiamo entrare in una nuova concezione del lavoro, soprattutto in termini di ore lavorate, adeguandola all’era digitale attuale, dove internet consente molte possibilità di delocalizzazione dal posto di lavoro stesso.

Bisogna quantificare il lavoro con un sistema differente, in un modo che rifletti più accuratamente il contributo che dona alla società in cui viviamo e ne riceva proporzionalmente una gratificazione (in termini salariali o finanziari o semplice tempo libero da dedicare ad altro).

L’importante è riportare in primo piano l’amore che l’uomo ha per il suo lavoro, per la sua integrità materiale, intellettuale e, aggiungerei, anche spirituale (per chi è credente).

Deve diventare espressione delle proprie capacità, comprese le attività che svolgiamo nel tempo libero o, perché no, anche quelle che dedichiamo alla società in cui viviamo (ad esempio il semplice volontariato).

Quindi dobbiamo dare un senso nuovo al lavoro, in termini di qualità e appagamento, cioè metterlo di nuovo al centro della vita dell’uomo. Alla fine della sua attività lavorativa, sia giornaliera che al momento del pensionamento, si deve sentire soddisfatto e gratificato da ciò che ha compiuto e creato, indipendentemente dalla retribuzione o dal numero di ore “lavorate”.

Cioè deve diventare espressione delle sue capacità, manuali ed intellettuali, ed uno strumento per amplificarle, non un semplice mezzo per sopravvivere. Capita troppo spesso che il lavoratore frustrato, nel tempo libero, non vuole assolutamente parlare del proprio lavoro… dato che, di fatto, non lo sopporta.

Sì…. avete ragione. A parte quando vuole vantarsi della posizione sociale raggiunta!

Il lavoro diventa un mero mezzo per procurarsi denaro da spendere nel meccanismo del consumismo moderno, spesso per beni effimeri di cui non si ha assoluta necessità, visto che il bisogno è stato indotto dai mezzi di informazione (pubblicità) oppure dal desiderio di onnipotenza nei confronti dei propri conoscenti. Ovvero mostrare i propri possedimenti (come trofei): cioè, ricordandomi un famoso libro di Erich Fromm, confondere il concetto di essere con quello di avere!

Concludendo, vorrei che il lavoro diventi più arte, da amare costantemente durante l’intera carriera professionale. Deve divenire un’attività naturale al pari di altre svolte durante la propria esistenza: camminare, parlare, mangiare, dormire, sognare, fare sesso, ecc.

Quindi far parte dell’essere della persona per migliorarla.

Pensate a che bel salto evolutivo avrebbe l’uomo oltre agli effetti benefici che porterebbe in termini di sviluppo tecnologico al suo servizio, oltre che per la stessa società.

Capite che, in questo modo, il concetto di ore lavorate diventa superato, anacronistico.

Bisogna trovare un altro strumento per quantificare il corrispettivo da dare in termini di crediti (salario) al lavoratore, sulla base dell’impegno e dei risultati che ottiene nelle diverse attività che svolge quotidianamente. Non solo durante il periodo lavorativo, ma anche nel tempo libero, come dedicarsi al volontariato, oppure a scrivere questo post da farvi leggere (sperando che non vi siete addormentati prima… oppure, se state ancora leggendo, siete sempre più convinti della mia pazzia).

Anche perché gran parte della conoscenza umana è oramai stampata a chiare lettere nel world wide web: basta solo saperlo cercare ed interpretare nella maniera corretta, adeguandolo alla situazione corrente o al problema da affrontare.

Secondo me siamo nell’era giusta per realizzare questa nuova concezione del lavoro, almeno nei paesi più avanzati economicamente, dove la produzione diventa sempre più marginale.

Certo, si tratta di un processo graduale… ci vorranno parecchie generazioni per realizzarlo. Poi, per il momento, non può riguardare tutte le nazioni (vi rendete conto quanto già il concetto stesso di nazione diventa limitato e superato!).

In tal modo il concetto di disoccupazione… sarebbe superato, relegato per sempre ai libri di storia economica.

Inoltre il lavoro acquisterebbe la migliore valorizzazione possibile in termini di dignità umana.

Conosco molte persone che applicano giornalmente, nella loro attività, tale concezione.

Un messaggio per i più giovani (specie disoccupati).

Sfruttate proficuamente il tempo libero che avete a disposizione per aumentare le vostre conoscenze personali e la vostra sensibilità. Accettate qualsiasi lavoro, anche il più umile. Accertatevi però che venga sempre rispettata la vostra dignità personale come lavoratore.

Soprattutto, collaborate il più possibile fra di voi.

Viviamo il paradosso di essere immersi in un periodo storico in cui la comunicazione non è mai stata così a portata di mano come oggi… ma siamo allo stesso tempo diventati così individualisti (a causa del consumismo che così raggiunge l’apice della sua volontà), che non riusciamo più a comunicare fra di noi (spesso per paura del giudizio degli altri o del “branco”).

In questo modo si presenteranno molte occasioni… e molte idee.

Avrete difficoltà a scegliere quali realizzare. Qualunque scelta prendiate, fatelo con passione, fervore e amore.

Se credete con fermezza alla vostra idea, non permettete che nessuno intralci il vostro cammino.

Siate imprenditori di voi stessi!

Vedrete che non ve ne pentirete…

Buona riflessione.

Lampo

P.S.

La vedete quella scritta in fondo al cartello?

Provate a pensare a cosa significa la sigla R.D.L. (aiutino: guardate la data a fianco).

 

Sostieni I&M. il tuo contributo è fondamentale per la continuazione di questo progetto!


Ti è piaciuto questo post? Clicca su “Mi Piace” qui in basso a sinistra!

Tutti i diritti riservati © | Grafici e dati elaborati da Intermarket&more su database Bloomberg | NB: Attenzione! Leggi il 
disclaimer (a scanso di equivoci!)
 
Seguici anche su Twitter! CLICCA QUI! | 
 Fonti e approfondimenti:
[1] – Eurostat  News Release: Euro area unemployment rate at 10.9% – n.67/2012 (2 maggio 2012):

25 commenti Commenta
hironibiki
Scritto il 10 Maggio 2012 at 16:27

Bellissima riflessione complimenti Lampo.
Ma tristemente a mio avviso non è applicabile su larga scala. Mi spiego. Per cambiare bisognerebbe partire a “monte”, ovvero il capitalismo non dovrebbe più esistere.
Chi lavora nelle catene di montaggio, pur con tutta la fantasia e la buona volontà che può avere, sarà sempre su una catena di montaggio ad arricchire persone (manager, azioniti, ecc) che magari quel lavoro non sanno neppure che esiste. Lui dovrà SEMPRE lavorare perchè il lavoro non gli permetterà mai di diventare ricco e quindi sotto certi aspetti è un servo del sistema, mentre chi è al vertice fa e continuerà a fare il buono e cattivo tempo (chessò tipo il Marchi-one).

Se invece ci fosse un’inversione di mentalità dove si produce per se stessi, per la famiglia e per la collettività ma senza mai pensare di arricchirsi, allora sarebbe diverso. Produco 10 mele, io ne mangio 1, mia moglie e i miei figli 3, le altre 7 le baratto magari con 5 pere perchè magari il contadino che ha prodotto le pere non è riuscito ad averne 7..
Una civiltà senza avidità dove si cerca di aiutarsi… Il mio vicino ha la casa con il tetto difettoso, posso dargli una mano? Se si lo faccio gratis. E così via.
Pensare a questo su larga scala cosa comporterebbe? Beh di sicuro le industrie “catene di montaggio” sparirebbero (almeno quelle inutili, in fin dei conti si può vivere benissimo anche senza Iphone o Ipad) e le altre? Il tessile ha bisogno però di produrre su larga scala, allora magari si potrebbero realizzare piccole realtà dove l’azienda produce a livello locale, le persone che lavorano hanno ciò che gli serve per vivere (1 mela, 1 pera, ecc) e lo scopo non è fare produzione ma produrre ciò che serve al contadino che magari vouole cambiarsi il gilet ormai un pò vecchio.
Gli orari sarebbero non da 8 ore ma magari chessò 4 per avere la possibilità di trascorrere il resto con la famiglia, amici, parenti e costruire insieme una società degna di avere tale nome dove esiste il rispetto, l’altruismo ecc..
Ma è impossibile o, in questo caso per chi crede, non sarà l’uomo a realizzarlo in quanto non ne è capace.
Allora si sarà bello vivere con soddisfazione ogni giorno senza più dover rendere conto a qualcuno che ti dirà “bisogna raggiungere il target, bisogna produrre, guadagnare..” Chissà forse i soldi nemmeno esisteranno più. Chissà :mrgreen:

andrea.mensa
Scritto il 10 Maggio 2012 at 16:35

caro Lampo
affronti una parte del problema, ma trascuri completamente l’altra.
vediamo se capisci quale.
Giuseppe Mussari, come presidente di MPS ha portato la più vecchia banca italiana al fallimento, e come premio ora presiede l’ABI.
ti dice nulla questa cosa ?
Berlusconi ha portato l’Italia al disastro quando, in tempi di vacche , non dico grasse, ma ben messe si è trastullato col ponte sullo stretto e altre amenità tipo abolizione dell’ICI, e similia, ed ora si permette il lusso di condizionare Monti ( se non fosse un paradosso, direi, per fortuna)….. anche qui, non ti dice nulla la cosa ? e…. quanti anni ha Bondi ? 77 ? e quanti ceo, sindaci ( di società) ecc… eccedono i 65 anni ? vogliamo mandarne a casa un po’ visto i danni che hanno fatto ?
se la società si regge oggi, con milioni di disoccupati, sottooccupati, ecc ….. e non usa tutte le sue capacità produttive, non ti viene il dubbio che per poter lavorare tutti, o quasi, oltre alla buona volontà, occorrerebbero anche delle necessità produttive?
che senso ha produrre un’auto che può durare 20 anni e rottamarla dopo 5 perchè non più di moda ? o perchè non ha l’ultimo piripicchio tecnologico ? è tutto sballato dalla unica grossa spinta propulsiva che muove il mondo, ovvero il profitto di chi si trova in condizioni di accaparrarne una parte, lasciando perdere l’etica, la morale, il benessere generale, e ogni altra qualità che possa portare vantaggio ad altri , oltre che a chi può approfittare del momento e della posizione.
Caro Lampo, da cambiare ce ne sono di cose, ma prima di tutto è la testa delle persone, ormai rincoglionite dalla pubblicità, dalle abitudini, dalle spinte che vengono generate come mode, o falsi idoli.
la tua è una proposta interessante, ma è solo un piccolo anello di una catena degenerativa, molto ma molto più lunga.

hironibiki
Scritto il 10 Maggio 2012 at 16:36

hironibiki@finanza,
Ehm.. 10-1-3 = 7 mele Si sono un matematico stile Trota EHEHEHEh :mrgreen:

lampo
Scritto il 10 Maggio 2012 at 17:22

Alcune precisazioni. Non ho scritto da nessuna parte (almeno mi pare) di lavorare meno ore!
Anzi, intendo proprio l’opposto, ovvero avere la possibilità, ovviamente per chi lo vuole, di lavorarne molte di più, ma non con la definizione di lavoro odierna!
Faccio un esempio per comprendere meglio.
Lavoratore normale che svolge 40 ore settimanali nel settore privato (quindi con stipendio pagato da un’azienda privata). Poi tale lavoratore decide di dedicare una giornata settimanale intera (o anche mezza) al volontariato sociale, ad esempio a fare assistenza in una casa per anziani.
Attualmente tale giornata o mezza giornata è gratuita, anzi spesso è una spesa per il lavoratore anche se più o meno gratificante.
Adesso provate a pensare… che quella giornata sia pagata ad esempio con esenzioni, contributi pensionisti, ecc. da parte dello stato… compensandola magari con una trattenuta inferiore sullo stipendio privato.
Provate a estendere questo esempio anche ad altri settori, ad esempio uno che scrive un libro di testo nel suo tempo libero, da utilizzare poi per la divulgazione in maniera gratuita o con un costo basso. Il corrispettivo sarebbe pagato per esempio come un semplice incentivo a copia da parte di una università che ha un corso di studi simile e che sponsorizza tale libro, oppure o contemporaneamente dal ministero della pubblica istruzione, sottoforma di una contribuzione aggiuntiva sul suo stipendio oppure un’esenzione nell’acquisto di un tot di libri… oppure ad andare a teatro, e via dicendo.
Ho fatto degli esempi semplici, ma in realtà capite bene che bisogna studiare bene le interconnessioni nel sistema produttivo e finanziario in maniera da penalizzare meno possibile i settori produttivi, massimizzare lo scopo finale e ridurre in tal modo la spesa pubblica (per esempio con meno dipendenti statali nel settore sociale).
E’ chiaro che per fare ciò il PIL dovrebbe cambiare come concezione ed avere una componente etica, sociale o come la volete chiamare e meno orientata alla pura e semplice produzione o consumismo. Idem le statistiche nazionali dei vari istituti di statistica, che dovrebbero misurare anche altre statistiche agganciate a tale fenomeno ed incorporarle in quelle classiche in maniera da rendere comparabile con il passato e quelle di altri paesi che non adottato tale sistema.
In tutto ciò vedete come me che verrebbe premiata più la capacità umana, la passione per il lavoro, ecc. che non il dover lavorare per forza come molti lo considerano oggi?
Vi rendete conto che il lavoro sarebbe forse più “umano” e meglio organizzato.
E’ chiaro che si tratta di un processo molto lungo, che richiede una collaborazione a livello internazionale per la sua partenza in alcuni settori. E deve vivere parallelamente a quello più classico, dando ad ognuno di noi la facoltà di scegliere quale strada percorrere, o di passare da una passione-lavoro ad un’altra molto facilmente.

Aggiungo che sarebbe molto più semplice se si iniziasse da parte dello stato a finanziare/incentivare con vari strumenti (esenzioni, minore trattenute pensionistiche, ecc.) proprio quelle attività che, non starebbero in piedi con l’economia classica fondata sul profitto, e che contemporaneamente possono permettere una riduzione della spesa pubblica a causa di minori finanziamenti per stipendi diretti o ingenti finanziamenti a settori pubblici che adesso svolgono tali attività.
Questa potrebbe essere una bella spending review.

Conosco aziende che consentono (quasi obbligano) ai dipendenti, a parità di stipendio,a dedicare una giornata LAVORATIVA al mese o qualche ora (sempre lavorativa) la settimana ad un carnet di attività (soprattutto nel volontariato o sociale) scollegate completamente dall’impresa.

Direte voi che ci perdono. No… ci guadagnano in produttività con meno ore di lavoro… perché i dipendenti diventano più sereni, organizzati e collaborativi sul lavoro (lavorando di fatto meno ore!)

Spero di essermi spiegato.

kry
Scritto il 10 Maggio 2012 at 18:07

R.D.L.= REALTA’ DEL LAVORO 15-3-2023 ( ……. buona dai) [regio decreto legge] Tutto quello che dici potrebbe realizzarsi nell’idea del reddito minimo di cittadinanza di Giovanni Perazzoli. Buona lettura è lungo almeno 4 volte il tuo post. Complimenti soprattutto per il messaggio dedicato ai giovani specie se disoccupati sperando che ce ne siano che lo leggono.

lampo
Scritto il 10 Maggio 2012 at 18:25

kry@finanza,

E il linkeete? 😉
Sono curioso di natura, oramai dovresti saperlo! (infatti è la mia tortura…) :mrgreen:

lampo
Scritto il 10 Maggio 2012 at 18:29

andrea.mensa@finanza,

Sei sicuro che se andasse in porto un progetto del genere… anche in minima parte… ci sarebbe ancora spazio per la corruzione o inefficienza odierna? Non mi pare di aver trascurato l’altro… anzi si ridimensionerebbe automaticamente.
Ti insegna niente il Giappone dopo il disastro nucleare? E pensare che sono prevalentemente un popolo di anziani che hanno fatto una scelta così temeraria, con poco spazio e territorio!

Il miglior modo di cambiare la testa delle persone è… nel vedere il comportamento ed il riflesso sulla propria vita dell’esperienza degli altri.
Il bello è che vale lo stesso per la pubblicità!

kry
Scritto il 10 Maggio 2012 at 18:46

lampo,
http://www.redditodicittadinanza.com più corto c’era una sua intervista a ignazio dessi ma non riesco a trovarla. Nell’intervista diceva che se una persona cade nella trappola del reddito di cittadinanza la persona va comunque aiutata. Il reddito minimo di cittadinanza non va confuso con il nostro contributo assistenziale (es. di disoccupazione) dagli effetti disastrosi. (Ti è piaciuta la battuta?)

lampo
Scritto il 10 Maggio 2012 at 18:50

kry@finanza,

Yes… ma non lo diciamo a tutti 😉

kry
Scritto il 10 Maggio 2012 at 18:58

lampo,

Da Andrea in iceberfinanza lo sanno quasi tutti. Non è farina del mio sacco, non faccio altro che far conoscere ciò che mi è stato fatto conoscere. Ciao buona lettura.

andrea.mensa
Scritto il 10 Maggio 2012 at 19:03

lampo,

caro Lampo
io faccio volontariato e regalo due mattine alla settimana al comune.
potrei fare di più oppure di meno, ma mi son posto il problema di accettare solo quelle attività che il comune non pagherebbe mai nessuno per farle.
ovvero o le fanno dei volontari o non le farebbe nessuno. punto.
e questo perchè chiaramente vorrebbero anche affidare altre attività ma, come ho fatto presente, si toglierebbe lavoro retribuito a qualcuno.
questo è il mio criterio.

lampo
Scritto il 10 Maggio 2012 at 19:34

andrea.mensa@finanza,

Ecco… appunto bisognerebbe incentivare tale criterio, su base volontaria (come lo è già oggi d’altronde). Dopo estenderlo pian piano anche al resto. Ovviamente ai settori dove può funzionare.

Io, ad esempio, ho chiesto ed ottenuto (dopo tanto tempo e molti pregiudizi) il part-time per dedicarmi ad altro, su base volontaria (quindi non ad altra attività). Da una parte di queste attività comunque ottengo un guadagno.

Ad esempio mi piace mangiare e ho avuto tempo per affinare le mie doti culinarie (che era comunque una passione), specialmente in ambito di pasticceria (DT ne sa qualcosa… anche se l’ha visto solo in fotografia), grazie anche ad un noto blog di un appassionato del settore che oltre a pubblicare molti dei suoi segreti, svolge corsi in giro per l’Italia (un altro esempio di un blog nato per sfogo e per condividere la propria passione che si è trasformato in una attività).

Poi ogni tanto scrivo su base volontaria su un certo blog. Si tratta di un’attività che fra ricerche, fonti, ripensamenti e i vati tentativi di non scrivere tante cavolate (nei limiti ovviamente della mia capacità di accorgimento… che è molto limitata), richiede molto tempo. Anche se non sembra, dalla velocità con cui si consuma un post leggendolo, invece è molto impegnativa, ma anche gratificante a livello personale.

Però in via indiretta ne ho ottenuto comunque un guadagno, perché ho aumentato la mia cultura finanziaria e, conseguentemente, il profitto dell’investimento dei miei risparmi.
Ho dovuto anche fare più attività fisica per non ingrassare a causa dei dolci e prodotti di panificazione che sforno (in parte è più contenta e soddisfatta anche la moglie 😯 … che all’inizio era contraria).

Con questo vorrei far capire che non sempre il desiderio di carriera lavorativa ed economica porta sempre ad una maggiore qualità della vita e ad una maggiore disponibilità economica.

A volte anche lavorare meno (in senso tradizionale) porta ad un aumento delle proprie entrate e qualità della vita. Purché ovviamente si ci dedichi in modo attivo (allo stesso modo di un lavoro) ad altro.

Le soddisfazioni non mancheranno e neanche la gratificazione.

Però debbo dire che sono un caso isolato e particolare. Non sono mai stato normale, neanche a scuola, visto che anche allora, a causa della mia curiosità, studiavo solo per il 6 e il resto lo dedicavo a studiare ed imparare nuove cose nei settori che più mi interessavano. Cioè ho avuto sempre un approccio interdisciplinare. Da allora non ho ancora mai smesso di studiare, leggere, provare, ecc. e spero di continuare così fino al dunque. La noia non fa parte del mio vocabolario (forse per questo non mi piace la televisione…se non a livello di informazione, passatempo quando sono fuso o stanco oppure istruttivo).

Domanda: secondo te quindi quante ore lavoro con la nuova concezione che ho espresso?

lampo
Scritto il 10 Maggio 2012 at 22:30

kry@finanza:

http://www.redditodicittadinanza.com/redditominimogarantito

Molto interessante, sapevo della sua esistenza, avendo trascorso per motivi di lavoro un periodo in Svezia, ma non della sua così capillare diffusione.
Non c’è dubbio che l’Italia abbia grossi problemi con la disoccupazione giovanile… soprattutto perché è piuttosto evidente che gli uffici di collocamento non svolgano un lavoro comparabile a quello svolto in altre nazioni, come quelle citate nell’articolo. Non posso dire di più per motivi professionali.

Ma ci sono anche altri motivi per cui tale aspetto non è realizzabile facilmente in Italia (secondo me non considerati in quell’articolo):
– l’enorme debito pubblico che abbiamo, che difatto toglie un’enormità di risorse che dobbiamo corrispondere in interessi. Gli altri Paesi hanno quindi molta più disponibilità da dedicare alla famiglia e al welfare;
– il mercato immobiliare italiano, molto particolare, dove sembra che gli italiani quasi abbiano una componente genetica che li induce al dovere avere a tutti i costi la casa di proprietà (compresa la penitenza di un indebitamento a vita per ottenerla, qualunque prezzo abbia);
– le ripercussioni che una tale politica avrebbe sugli affitti, calmierandoli ed andando ad inficiare il mercato che citavo prima;
– il sistema “clientelare” (mi dispiace dirlo… credetemi) che spesso ruota attorno ai sussidi ai più bisognosi. Anche qui mi dispiace non poter approfondire per motivi professionali (pensate solo ai vari passaggi di tali finanziamenti);
– il ruolo della Chiesa che verrebbe di fatto privata, in tal modo, della motivazione principale con cui molte persone la finanziano, ovvero aiutare i più bisognosi tramite i vari canali che compongono la sua organizzazione (Caritas, Parrocchie, Acli, ecc.). Vi rendete conto, per dirla più esplicitamente, che essendoci un reddito minimo di cittadinanza, il suo ruolo sociale verrebbe ridotto enormemente e quindi perderebbe anche gran parte dei finanziamenti di cui gode (ad esempio il 5 per mille non sarebbe più giustificato).

Debbo dire che per certi versi, essendo partito a 16 anni praticamente da sottozero, non sono molto d’accordo sull’istituzione di un reddito minimo di cittadinanza in Italia, a meno che sia legato obbligatoriamente a dover svolgere per un certo numero di ore la settimana qualche lavoro socialmente utile o comunque essere impegnato in maniera attiva in attività che contribuiscano al bene della collettività. Ovvio che tale impegno dovrebbe essere più o meno gravoso in base ad eventuali altri impegni che si sono presi in tale particolare fase della vita, per cui si sta ricevendo tale sussidio.
Per esempio, se decido di licenziarmi da un lavoro che non mi aggrada e non mi piace (perché non mi da soddisfazione) e prendere quindi tale sussidio per studiare (frequentando alcuni corsi o autodidatta per esempio per partecipare a concorsi pubblici) e riqualificarmi (esperienza fatta personalmente), è ovvio che l’impegno sociale obbligatorio dovrebbe essere irrisorio o addirittura nullo.
Anche perché, conoscendo la mentalità italiana, abituata al “sussidio” (pensate solo all’uso distorto che spesso viene fatto della mobilità o cassa integrazione straordinaria) credo che non gioverebbe al miglioramento sociale, competizione professionale e nemmeno ad un aumento culturale.

Vedo tuttora molti giovani che siccome sono finanziati dallo stato sociale italiano più attivo, ovvero la famiglia, non hanno stimolo a crearsi o buttarsi in qualcosa e nemmeno a collaborare fra di loro per provare ad inventarsi un lavoro o semplicemente mettersi in gioco.

Quello che mi fa più paura, ma veramente paura, è la bomba sociale costituita dai cosidetti NEET che abbiamo in Italia, visto che siamo detentori di tale record. Si tratta, come ho spiegato più volte, delle persone (giovani generalmente) che non stanno ricevendo un’istruzione, non hanno un impiego o altre attività assimilabili (tirocini, lavori domestici, ecc.), e che non stanno cercando un’occupazione…. e aggiungo io, che cadranno probabilmente in depressione o in aggressività sociale (quando si sveglieranno… e si renderanno conto in quale gabbia sociale sono andati a finire).
Vi rendete conto di quello che potrebbe succedere se trovano un semplice leader che li rappresenti?

Brrr. Mi vengono i brividi solo a pensarci…

Per questi sono più che d’accordo per tale sussidio… sempre però con la variante suddetta.

Anche perché sono i contatti e l’interscambio culturale che creano le occasioni (lavorative e non).

perplessa
Scritto il 10 Maggio 2012 at 23:27

sono sincera,ho dato solo una scorsa all’articolo perchè è troppo lungo, ma il senso l’ho inteso credo comunque. anch’io faccio parte di quelli che “guarda continuamente l’orologio”. forse è sfuggito che la gente guarda l’orologio,perchè magari voleva fare un’altra attività, ma i genitori non avevano i soldi da pagargli da mangiare e da bere in un’altra città per studiare, e si sono adattati pertanto a fare un’altra cosa?inoltre, se è frustrante per i cittadini subire la cattiva amministrazione, i pessimi servizi, mi riferisco genericamente a tutti, pubblici e privati, a iniziare dalle imposte, poi andare all’elettricità, alle telecom, ai servizi bancari,alle auto di pessima qualità, ecc, figuriamoci il gaudio di chi ci lavora, che non decide lui come sono organizzate le attività, ma ne subisce le conseguenze come tutti gli altri cittadini, oltre a subirsi le invettive immotivate degli utenti o/e dei clienti

lampo
Scritto il 10 Maggio 2012 at 23:39

perplessa@finanza,

Quanto ti capisco (molto di più di quello che ti puoi immaginare!) cara lettrice (se posso permettermi)! 😉
E pensare che siamo anche obbligati a non poter dire nulla. Che ingiustizia!

Se poi aggiungo che ho affrontato 36 esami (molti a porte chiuse!!!) in un anno e mezzo per entrare (per merito), pur essendo in una montagna di elenchi… immagina te!

Però ti posso dire che non guardo mai l’orologio e mi piace collaborare con chi non sa… ma vuole imparare. Almeno circola un po’ di conoscenza e migliora l’ambiente… essendo più uniti. Ma sapessi che fatica… 😥

andrea.mensa
Scritto il 11 Maggio 2012 at 04:29

lampo,

caro Lampo
su alcuni temi mi trovi molto “in linea con quanto scrivi, ad esempio io il televisore proprio non l’ho più da parecchio tempo.
tornando al lavoro, esiste una “regola” non discutibile.
la ricchezza è costituita da beni reali e non solo finanziari.
i beni reali hanno tutti una “vita” si creano, si usano, si distruggono.
un ceppo di lattuga durerà pochi giorni, un immobile secoli, ma è la loro presenza complessiva a costituire la ricchezza.
più se ne crea, più la ricchezza aumenta.
questo se tale ricchezza resta disponibile al gruppo, alla comunità, o anche alla nazione ….. la dimensione del gruppo non è influente, secondo questa visione, e nell’ambito di essa il tuo criterio opererebbe benissimo.
cos’è che non la fa funzionare ?
puoi capirlo molto bene se immagini l’insieme ridotto ad una famiglia …… all’interno di essa è facile che operi il criterio “a ognuno secondo necessità, da ognuno secondo possibilità” che non richiede alcuna altra regola.
ma supponi che all’interno di essa , un componente cominci a sequestrare tutti i beni prodotti …. ecco che comparireanno regole, e poi chi sarà delegato a farle rispettare, e chi punirà chi le viola, ecc…… e si arriverà alla società moderna.
ecco, ora prova ad immaginare quale dovrebbe essere il “percorso” inverso, quello da effettuare per tornare all’origine, e soprattutto quale cambiamento sarebbe necessario ….. ti aspetto !

andrea.mensa
Scritto il 11 Maggio 2012 at 04:49

lampo,

allora, in un mondo o in una società, dove operi il criterio espresso, non ci sarebbe limite al lavoro svolto, anche perchè poi chiamarlo “lavoro” con le implicazioni che ormai abbiamo dato a tale parola, sarebbe improprio.
ben più adatto sarebbe chiamarlo “hobby”. (tra l’altro , io sono un fortunato che per buona parte della propria esistenza lavorativa, ha svolto un lavoro che piaceva al punto da considerarlo proprio un hobby), ma come vedi, il limite sta nella paura di chi comincia a pensare di non avere sufficienti risorse nel proprio futuro, per cui tende all’appropriazione ed all’accumulo, con tutto quanto consegue per quanto riguarda gli altri, che ovviamente devono difendersi da esso.
ma che facciamo ? aboliamo la paura ? o aboliamo l’accumulo ? com’è che si può tornare allo spirito “sociale” dopo che esso è degenerato nell’attuale società ? pensi proprio che bastino alcuni individui di buona volontà ad operare il cambiamento ? perchè le “comuni” sono fallite ?
troppe domande, vero ?

kry
Scritto il 11 Maggio 2012 at 07:17

lampo,

Scusa Lampo,ma tu non sei normale sei un fenomeno. In tre ore e mezza ti sei letto tutto e mi hai risposto con mezzo poste in cui per leggerlo mi ci sono voluti 20 minuti(l’avessi scritto io avrei impiegato 1 ora).Hai fatto anche una torta? Nell’intervista che ti dicevo era ben espresso il concetto di differenza da reddito e contributo sociale(assistenziale)al punto che nonostante i miei dubbi ritengo che con il tempo possa funzionare anche in italia. In italia partiamo con ottime idee e ci perdiamo dopo 10 minuti.Comunque premiamo la tua curiosità mi è stato segnalato http://www.roberto.info/2012/04/25/demolizione-classe-media/ buona lettura ho letto solo l’inizio in giornata vedrò di finirlo. Ciao.

gainhunter
Scritto il 11 Maggio 2012 at 08:04

Molto sinteticamente:
– pura fantascienza, ma veramente: nella saga di Star Trek sul pianeta Terra la moneta non esiste da tempo, e la gente lavora esclusivamente per l’appagamento personale e per il fatto di essere un membro della società; ma loro hanno i robot per i lavori poco appaganti 🙂
– penso che qualsiasi lavoro si faccia, anche se piacevole e appagante, farlo per 8 ore al giorno o più, per tutti i giorni dell’anno o quasi, alla fine stanchi e si senta il desiderio di cambiare, anche semplicemente perchè si è “obbligati” a farlo
– secondo me l’ideale sarebbe avere due lavori part-time: uno mentale e uno fisico; la combinazione giova alla salute
– per arrivare alla concezione del lavoro che descrivi, specialmente in Italia, bisogna cambiare la mentalità in particolare di molti datori di lavoro:
– il lavoratore oggi spesso è una “risorsa da utilizzare”
– a che punto è il telelavoro in Italia?
– frase di un imprenditore, davanti alla prospettiva di sostituire un fax tradizionale con un gestore fax software, che avrebbe fatto risparmiare tempo all’impiegata (aumentando la produttività): per risparmiare il costo del software , “tanto pago già lo stipendio all’impiegata, almeno ha qualcosa da fare”
– e anche il livello di fiducia e rispetto sia da parte dell’imprenditore sia da parte del lavoratore: pensa ai software di controllo della navigazione internet adottati dalle imprese, come conseguenza dell’abuso da parte di alcuni dipendenti
Ci sarebbe da discutere per ore, ma ora *devo* andare al lavoro 🙂

lampo
Scritto il 11 Maggio 2012 at 08:16

andrea.mensa@finanza,

Sì, hai centrato perfettamente il tallone d’achille. Infatti bisognerebbe, come dici tu, cambiare prima le teste per ridurre la paura e l’esigenza dell’accumulo.
Guarda il consiglio che citavo nel post per i giovani, l’ho seguito personalmente, ma credimi a tal punto che quando un lavoro non mi divertiva più o non mi permetteva più di acquisire nuova conoscenza e soddisfazione, cambiavo, dopo aver tramandato l’esperienza acquisita ad un altra persona in maniera da non penalizzare il datore di lavoro e l’azienda.
Quindi mi ritengo molto fortunato anche io… che sono arrivato a tale livello. Ma come vedi quindi è un qualcosa che viene dall’interno… dopo un certo livello di esperienza e sensibilità.
Sei proprio sicuro che non ci siano oggi sufficienti persone per poter iniziare a fare tale passo? E sei proprio sicuro che tali persone si spaventerebbero delle difficoltà che incontrerebbero, soprattutto da parte di poteri forti che non vogliono assolutamente tale processo?
Secondo me siamo in un momento culturale adatto… e la crisi in corso può solo che aiutare in tale processo e portarlo avanti.
Poi ricordati che abbiamo uno strumento che prima non esisteva e permette la socializzazione delle esperienze e conoscenze: internet.
Forse questo è il vero motivo per cui vogliono crearne una nuova parallela… hanno compreso il potere che potrebbe avere (a livello democratico).

kry@finanza,
Grazie… sì nel frattempo ho sfornato il pane arabo 😉

gainhunter,
Quante volte ho sentito quella della “risorsa da utilizzare”. Sai quante volte hanno tentato di tenermi il più possibile al lavoro e non permettermi di avere tempo da dedicarmi ad altro al fine di sfruttare il più possibile le mie capacità e conoscenza. E io rispondevo sempre: “Ma è proprio il fatto di non stare qui tutto il giorno che mi permette di avere tale conoscenza, capacità e produttività!”
Alcuni datori di lavoro l’hanno capita (erano quelli che quando dovevano citare i dipendenti nei confronti degli esterni usavano il termine “collaboratori”)… altri, purtroppo per loro, no! Buon lavoro…

Grazie a tutti per lo scambio.

hironibiki
Scritto il 11 Maggio 2012 at 10:03

lampo,
Io invece mi trovo in una situazione strana, dopo 11 anni e mezzo di lavoro presso l’azienda, mi sta dando il “ben servito” semplicemente perchè “costo troppo” (come se 1200 euro al mese fossero equiparabili a quello che incassa l’amministratore delegato).
Ma tornando al punto non è che io sia preoccupato perchè il fatto di cambiare sarà per me motivo di slancio. Se non ho mai fatto questo passo era semplicemente perchè c’era il “timore” di lasciare il vecchio (un contratto commercio a tempo indeterminato) con un nuovo (chissà quale).
Ora però la vita assume un sapore diverso, avrò più tempo (da disoccupato) per cercare un nuovo impiego stavolta magari part-time per poter dare più risalto alla mia famiglia, stare con mia moglie e chissà se dovessi avere dei figli stare di più con loro al posto di consumare 11 e passa ore al giorno da lunedì a venerdì sul lavoro. Forse non tutti i mali vengono per nuocere.. Anche se al momento rimango con la stessa identica responsabilità per gestione laboratorio, magazzino ecc come se nulla fosse.. Assurdo questo comportamento.
Però quello che voglio dire è che le persone hanno veramente bisogno di capire che non è questa la vera vita, quando sono sul treno (e non mi addormento per la stanchezza) vedo i volti accanto a me e nessuno è felice. Forse i laureandi che pensano di trovare chissà quali meravigliosi lavori e poi magari gli stessi li ritrovo presso il cliente per il quale lavoro come stagisti sottopagati.
La vera vita è stare con la famiglia e cercare, come dici tu, di fare ciò che piace. Il lavoro deve essere visto solo come qualcosa che ti permette di vivere e basta. Al bando tutte le cose inutili che rendono schiavi di questo sistema 🙂

lampo
Scritto il 11 Maggio 2012 at 11:44

hironibiki@finanza,

In bocca al lupo… sfrutta tutte le tue capacità e sii abile nel vendere la tua professionalità, autostima, capacità di collaborazione, umiltà sul lavoro (che non vuol dire assolutamente piegarsi a 90°, ricordiamoci quanto dicevo sulla dignità), capacità di comunicazione e valorizzazione della tua personalità.
Insomma quando andrai a fare dei colloqui devi mostrare tutta la tua capacità di imprenditore di te stesso, che non vuol dire dichiarare il falso dicendo di essere più competenti di quello che si è, anzi… convincere l’interlocutore che siete la persona giusta, con la quale se ci sono problemi è facile mettersi d’accordo e trovare una soluzione, ed infine che potete portare valore aggiunto all’impresa, grazie alla vostra passione per quello a cui vi dedicate.
Spero di essere stato esauriente.
Se dovete solo spedire un curriculum senza poi presentarvi di persona in quell’azienda e tentare di avere comunque una chiacchierata… state sicuri al 99,9% che tale curriculum è andato nel cestino, oppure richiuso in un dox nell’armadio… assieme a mille altri, pronto per il macero o per essere visto quando non avete più bisogno di cercare un lavoro.
Scusate la freddezza, ma ne ho visti tanti fare quella fine.

andrea.mensa
Scritto il 11 Maggio 2012 at 16:00

lampo,

sei una persona estremamente interessante….. vorrei poterti scrivere direttamente.
il mio indirizzo è andrea.mensa@gmail.com.
come vedi, non uso mai nick names……
una maggiore conoscenza potrebbe forse arricchire entrambi.
ciao

lampo
Scritto il 11 Maggio 2012 at 16:15

andrea.mensa@finanza,

Risposto in privato

I sondaggi di I&M

Come vorresti I&M?

View Results

Loading ... Loading ...