Sarebbe bello se ogni tanto la nostra classe dirigente ci dicesse la verità. Logica imporrebbe, ad esempio, che o “abbiamo il sistema sanitario migliore del mondo”, oppure “abbiamo privato la sanità dei fondi necessari negli ultimi dieci anni”. Delle due l’una, e probabilmente è vera la seconda. Siamo davvero sicuri di essere stati un “esempio” per tutti gli altri paesi colpiti dalla pandemia, come ci veniva ripetuto in continuazione nel mese di marzo? È normale che, oltre ad essere il paese europeo con più decessi, siamo anche quello che prima ha chiuso tutte le attività produttive e saremo tra gli ultimi a riaprirle? Sono domande di sostanza, non di polemica. Necessarie, perchè in questo momento abbiamo bisogno di una grande operazione di verità, non di metterci il prosciutto sugli occhi e di procedere, quando la crisi si sarà placata, come se tutto fosse andato come doveva. Imparare dagli errori — non mentire a se stessi — è proprio di un grande paese, di una democrazia matura, i cui capisaldi sono istituzioni forti e responsabili. La domanda che dovremmo porci, in definitiva, è: come faremo, la prossima volta che capiterà una cosa simile, ad evitare un costo vitale e sociale così elevato ed una crisi economica così profonda?
Un punto di partenza è l’analisi degli esempi, quelli veri, che la pandemia ci ha consegnato: la Corea del Sud e la Germania.
Una analisi che verrà pubblicata prossimamente condotta dalla startup BuildNN e da Tortuga rileva il numero di tamponi eseguiti e il numero di casi rilevati in Corea del Sud e in Italia a partire dal giorno del centesimo caso ufficiale di Covid-19. La prontezza con la quale un paese come la Corea ha risposto all’emergenza sanitaria non è paragonabile alla nostra. Nel decimo giorno dal centesimo caso registrato, la Corea ha effettuato circa 65,000 tamponi, contro i nostri 4,000. L’andamento dei tamponi effettuati (tanti all’inizio e decrescenti nel corso del tempo in Corea, scarsi all’inizio e crescenti nel corso del tempo in Italia) mette in luce due tipi di strategie difensive, al cospetto della pandemia: quella coreana, la strategia della visione, e quella italiana, la strategia della rincorsa. I costi vitali e sociali della mancanza di visione sono ben misurati dalla differenza fra i nuovi casi, un gap nell’ordine di 4,000 casi al giorno fra il ventesimo e il cinquantesimo giorno, per un totale di 120,000 casi totali ufficialmente registrati. Occorre specificare, a onor del vero, che la strategia italiana della rincorsa contiene un’eccezione, rappresentata dalla regione Veneto.
Secondo i dati di Worldometers (https://www.worldometers.info/coronavirus/#countries), a oggi si sono registrati in Germania circa 4,400 decessi, contro i 22,800 italiani, 20,000 spagnoli e 18,000 francesi. Nello stesso continente, un paese con una popolazione del 25% superiore alla nostra ha registrato un quinto dei nostri decessi. Le virtù del modello tedesco sono ben riassunte da un recente articolo pubblicato sul New York Times (https://www.nytimes.com/2020/04/04/world/europe/germany-coronavirus-death-rate.html#click=https://t.co/ew6kJSJ5Q8). In breve, la capillarità della medicina di territorio, insieme alla solidità del sistema sanitario tedesco hanno reso la risposta all’emergenza molto pronta. Un medico primario di Bonn dichiara: “Testare e tracciare è la strategia che ha avuto successo in Corea del Sud e abbiamo tentato di imparare dalla loro esperienza”. Risulta plastica la differenza di approccio. E ancora: “La grande forza della Germania è la capacità decisionale razionale delle nostre classi dirigenti, combinata con la nostra fiducia nelle istituzioni”. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: i decessi sono stati limitati, l’attività produttiva e scolastica riprenderà in anticipo rispetto alla nostra. L’efficienza tedesca ha inoltre consentito loro di mettere in pratica un principio di solidarietà sostanziale, di cui tutti ci riempiamo la bocca in questi giorni, consentendo loro di accogliere pazienti da Italia, Spagna e Francia.
Due sono dunque le cause del nostro ritardo rispetto ai due esempi virtuosi di Germania e Corea del Sud, un ritardo sia di reazione alla pandemia sia di iniziativa nella riapertura.
La prima: l’arretratezza delle tecnologie e delle infrastrutture a supporto del nostro Sistema Sanitario Nazionale e della Protezione Civile. Mi riferisco in questo caso non solo alla ormai famosa tracciabilità degli spostamenti che consente di isolare in breve tempo i contagiati e di limitare la diffusione del virus, ma ad una più generale capacità di reggere all’urto, che dipende dalla disponibilità dei tamponi e dalla celerità con la quale si analizzano, dalle condizioni di sicurezza garantite agli operatori sanitari e dalla disponibilità immediata di tutti gli strumenti e strutture necessari al SSN per rispondere adeguatamente all’emergenza. Queste carenze sono frutto di una cultura dell’improvvisazione e del pensiero latente secondo cui in qualche modo ce la caviamo. Non è così: non ce la caviamo.
La seconda, probabilmente la più rilevante: l’incapacità di coordinamento e di lungimiranza delle nostre istituzioni. La mancanza di visione e la cultura dell’improvvisazione sono tipiche di paesi in cui le istituzioni sono arretrate e non sono in grado di convincere i cittadini che esistono benefici di lungo periodo che si ottengono solo con rinunce di breve periodo. In aggiunta, la confusione delle azioni istituzionali (fuga di notizie al momento della dichiarazione delle zone rosse, livelli decisionali poco chiari e spesso sovrapposti, sia fra stato centrale e regioni, sia fra varie task force e presidenza del consiglio), l’assenza di regole o compiti precisi e rodati e di meccanismi di coordinazione “soft” (norme, buone pratiche, capitale sociale) hanno contribuito a rafforzare l’idea (probabilmente corrispondente ad una triste verità) che non ci sia un vero piano di azione di risposta all’emergenza, ma una semplice reazione scomposta e poco coordinata. Si badi che non ha nulla a che vedere con il livello di democraticità della forma di governo o con il livello di libertà e di diritti personali: la Germania federale non è la Cina comunista, e i suoi cittadini sono oggi più liberi di circolare di quelli italiani. È puramente una questione di capacità tecniche.
Ecco, auspicherei che chi è chiamato a governarci, dai presidenti di regione al Ministro della Sanità, dal Presidente del Consiglio fino al Presidente della Repubblica, mettesse in luce queste problematiche e che non si limitasse a proclamare che il nostro personale sanitario è composto di eroi, o che siamo un grande paese. Perché è vero che da questa crisi usciremo, ma la cosa rilevante sarà constatare come. Prima del covid, il nostro paese ha subito decenni di declino, restando indietro su tecnologia e infrastrutture e sulla capacità delle istituzioni di essere autorevoli ed efficienti. Questi sono i due nodi che sono venuti al pettine allo scoppio della pandemia, costruendo le premesse per una reazione inadeguata. Per la nostra politica, questa crisi è un’occasione non per fare retorica e mettere bandierine, ma per fare un’esame di coscienza e guardare avanti, con l’ottimismo della volontà ma anche imparando dagli errori e assumendosi le proprie responsabilità. Sarebbe bello.
Impeccabili le affermazioni e le domande di Cerrato e Filippucci. Del resto qualcuno poteva veramente pensare che, con il duo Conte/Casalino su Facebook e Burioni in tv, avessimo qualche speranza di uscirne vincenti? Dove sono ora quelli che dicevano “la nostra reazione all’epidemia sara’ presa ad esempio e lodata quando tutto sara’ finito”? Forse alla fine di oltre 50 giorni di blocco e con un crollo del pil a due cifre qualcuno provera’ a riflettere, ma ne dubito. Quanto al tema dei “perpetual bonds” stiamo attenti perché c’e’ un certo Soros che ne va parlando bene.