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PAESI EMERGENTI: continua la debacle!
E’ il turno del Sud Africa che finisce in recessione. Alla base di tutto ci sono però dei problemi strutturali che accomunano i paesi emergenti. Ma occorre fare delle distinzioni.
Dobbiamo aggiungere nel gruppo dei paesi emergenti in potenziale difficoltà anche un altro stato. Il Sud Africa.
Per gli amici che seguono TRENDS, credo si siano sentiti ripetere fino alla noia quanto era “poco interessante” proprio questa asset class. Per carità, non sto parificando la situazione del Sud Africa a quella di Argentina, Venezuela e Turchia. Ma di certo lo scenario economico di questo paese non è confortante.
Infatti proprio da ieri, il Sud Africa entra ufficialmente in recessione, la prima dal 2009. E il rand sudafricano, già sotto pressione per le tensioni in Argentina e Turchia, cala arrivando a perdere fino al 2,3% nei confronti del dollaro, scendendo ai minimi dal 2016.
Nel secondo trimestre l’economia sud africana si è contratta dello 0,7%, dopo il -2,6% dei primi tre mesi dell’anno.
Eccolo l’effetto contagio, e non solo. Paesi che hanno problemi di deficit, di riserve, di partite correnti eccetera. Un problema che accomuna molti altri paesi dell’area emergente, quelli che strutturalmente sono più deboli.
Volete un elenco? Eccovelo. La tabella è dell’ottimo Francesco Lenzi (che mi fa risparmiare un lavoro!) ed è completa di tutti i tasselli che ci servono per una valutazione oggettiva dello stato di salute di alcuni paesi emergenti.
In questa particolare classifica di rischio, basata soprattutto sul rapporto tra le riserve e il debito estero di breve termine, primeggia la Turchia (in crisi) seguita da Argentina, Malesia (che però è in surplus di partite correnti) e Sud Africa. Tre su quattro sono centrate.
Come mai i paesi emergenti sono finiti nell’occhio del ciclone?
Cosa ha sicuramente fatto la differenza? Ve lo ripeto per l’ennesima volta. Fino a qualche tempo fa, la situazione era decisamente più tranquilla, ma c’era una scure che pendeva sulla testa degli Emerging Markets.
La politica monetaria USA e l’inversione di tendenza sui tassi di interesse, che ha poi portato anche ad un rafforzamento della valuta US.
Taper tantrum e quello che ne consegue, ma non solo.
Ad aggiungere carne al fuoco ci ha pensato Donald Trump. In che modo? Politica fiscale e neo protezionismo. Infatti, dopo 7 rialzi dei tassi da parte della FED (ed altri in arrivo), con le imprese Usa che hanno riportato in patria la liquidità a seguito delle riforma fiscale, le cose si sono ulteriormente complicate.
Per i paesi strutturalmente più deboli, che sono riusciti a vivere magari un po’ “border line” e oltre le loro possibilità ma in modo abbastanza sereno per anni, è giunto il momento di fare i conti. Non basta svalutare il cambio, non è sufficiente alzare i tassi. Occorre innanzitutto fare delle riforma, e poi occorre avere valuta estera in riserva per finanziare il deflusso di denaro. E se non ci sono i soldi? Beh, non potendoli stampare loro, occorre trovare qualcuno che glieli presti.
Un nome a caso? Indiziato numero uno : FMI.
Questa è la storia. Magari con un pezzo di quello che potrebbe essere il futuro. Il resto lo scopriremo nei prossimi giorni
STAY TUNED!