GUEST POST: Cina e Exchange rate, la chiave di lettura

Scritto il alle 13:55 da Danilo DT

Qualche settimana fa, l’amico Gaolin mi aveva inviato un articolo che ho pubblicato con piacere,   (Ma quanto se ne sa veramente della Cina?)  sul fenomeno del momento, ovvero la Cina, la grande scommessa che ormai sta diventando una solida realtà.

Gaolin mi invia il post che lui stesso definisce “definitivo” dove esprime il punto di vista su questo paese e sulle motivazioni secondo le quali la Cina sarà sempre più protagonista.

Ringrazio l’amico gaolin per l’ottimo articolo.

 

STAY TUNED!

 

La Cina è molto attenta al suo EXCHANGE RATE. Chissà perché?

 

Non è facile, per chi non vive dentro la competizione internazionale globale, comprendere del tutto gli effetti di quel fattore decisivo per lo sviluppo di una nazione che è l’EXCHANGE
RATE, ovvero il tasso di cambio che regola le transazioni fra le valute dei diversi paesi.

Cominciamo con discorsi semplici.
Chi, durante le proprie esperienze imprenditoriali ha avuto modo di affrontare la concorrenza internazionale, ha sempre considerato il fattore cambio fra le diverse valute o come una iattura per la propria azienda da dover subire, oppure come una gradita opportunità da sfruttare, per espanderne il proprio business.
Per dirla altrimenti, chi produce in paesi a costo più basso è senz’altro molto favorito, sul piano della concorrenza, rispetto a chi invece si trova in uno a costo più elevato nel suo complesso.
Niente di nuovo, questo lo sanno tutti, o quasi.

Normalmente e teoricamente il vantaggio competitivo, dovuto al solo cambio favorevole, non dovrebbe durare in eterno se altri meccanismi regolatori adeguano nel tempo a un valore più realistico le parità monetarie. Questi meccanismi, legati ai movimenti finanziari, sono sempre intervenuti in ambo i sensi, facendo deprezzare o rivalutare una valuta rispetto a un’altra.
Se tutto funzionasse secondo questa semplice regola, il villaggio globale crescerebbe in modo tutto sommato giusto e abbastanza armoniosamente, valorizzando il lavoro dei popoli che, per varie ragioni storiche e culturali, hanno una propensione all’impegno nel lavoro più e meglio sviluppata di altri.

Questa premessa per fare una breve analisi di come si è evoluta la competitività dei vari paesi negli ultimi 60 anni, dopo la seconda guerra mondiale, in cui il progresso economico e industriale ha avuto un ritmo di sviluppo mai prima sperimentato nella storia umana.
Negli anni 50 hanno economicamente imperato i paesi occidentali, usciti dalla guerra alcuni con le ossa rotte, altri più o meno incolumi, ma tutti con una gran voglia di darsi da fare per rinascere dalle macerie o continuare a svilupparsi. La sufficiente liberalizzazione dei commerci di allora consentì a tutti coloro, che avevano voglia e capacità di intraprendere, di trovare nuovi e più ampi mercati, proponendo e migliorando continuamente prodotti e tecnologie.
L’entusiasmo e il fervore dei vari popoli hanno dato luogo ai vari miracoli economici, tedesco, italiano, USA e via dicendo. In quei tempi la finanza internazionale non aveva il ruolo e la capacità di alterare le parità monetarie che ha adesso. Insomma il valore dell’exchange rate dipendeva in larga misura dalla potenza industriale di un paese, costituito da produttività del suo sistema industriale, organizzazione dei servizi, infrastrutture, capacità politica di programmare, ecc.

Situazione che è stata profondamente modificata dal 1971 quando gli USA hanno unilateralmente svincolato la propria valuta dal valore dell’oro e dichiarata non più convertibile. In questo contesto, negli anni dal 1970 circa in poi, i paesi asiatici in particolare Giapppone e successivamente le altre così dette tigri Corea e Taiwan hanno individuato nella gestione del fattore cambio e della contemporanea possibilità di esportare liberamente i loro prodotti, la leva per poter sviluppare il loro sistema industriale che, altrimenti, sarebbe stato poco spinto dai consumi interni, causa il sobrio stile di vita che questi popoli hanno come caratteristica comune.
Questi paesi hanno sempre mantenuto una bilancia commerciale in forte attivo, grazie a costanti interventi delle rispettive banche centrali per mantenere basso il tasso di cambio. Questi hanno conseguentemente accumulato riserve valutarie imponenti, in particolare di quelle valute dei paesi che hanno individuato nella valuta forte il modo per vivere al di sopra delle loro possibilità. Non serve dire di chi si parla.

Questa breve descrizione dello sviluppo economico industriale mondiale recente, pur nella sua semplicità, sarebbe la premessa per comprendere meglio come la Cina, attraverso il suo governo che ne gestisce l’economia con criteri imprenditoriali, sta intervenendo nel contesto economico globale in modo così dirompente e devastante per le economie di tutti gli altri paesi, con alcune esclusioni.
Le esclusioni sono rappresentate dai paesi che sono perfettamente complementari allo sviluppo dell’economia cinese, ovvero quelli che posseggono le materie prime naturali nel loro sottosuolo.
Tutti gli altri, ovvero la maggior parte, si trovano a dover rivaleggiare con un paese, la Cina, che:

o come detto è governato e gestito con criteri prettamente aziendali e imprenditoriali;
o è costituito da oltre 1.300.000 000 di persone, con un grande orgoglio nazionale e abituati a sottostare ai comandi;
o è costituito da oltre 1.300.000 000 di persone, normalmente molto operose, con spiccate
attitudini imprenditoriali, capaci di imparare molto in fretta e poi di innovare;
o è costituito da oltre 1.300.000 000 di persone che hanno complessivamente uno stile di vita non da consumista;
o è costituito da oltre 1.300.000 000 di persone che per cultura sono risparmiatori a
prescindere, anche a causa della mancanza di protezioni sociali come invece esistono nei
paesi occidentali;
o è costituito da un popolo di oltre 1.300.000 000 di persone, numero che di per sé esprime
tutta la sua forza ma che è anche capace di marciare tutto sommato compatto verso gli
obiettivi che il governo gli indica.

Nei paesi occidentali, parlando della Cina, ci si sofferma sulle situazioni che, secondo i nostri criteri e pregiudizi, lì non vanno, sulle piccole e grandi tragedie che colpiscono questa immenso popolo e nazione, sulle loro, per noi, stranezze e via dicendo. Poco o niente si dice di quale raffinata strategia sia in corso da parte della Cina per diventare la prima nazione del mondo in tutti i campi e in tempi molto brevi, se tutto procederà come in questi ultimi 2 decenni.
Ogni tanto ci svegliamo e scopriamo distrattamente, quasi con fastidio, che in Cina si realizzano con continuità opere infrastrutturali modernissime e colossali, programmate e realizzate in tempi certi, con costi immensamente inferiori ai nostri, a un ritmo incredibile e inimmaginabile per un normale occidentale, di qualunque paese egli sia.
Accanto a ciò, l’industria manifatturiera, l’export, l’edilizia e un po’ tutti i servizi si espandono in Cina con percentuali di crescita annua che, se non si constatano di persona, non è possibile lontanamente immaginare per un occidentale.

La crescita del PIL cinese che tanto ci fa strabuzzare gli occhi è un valore che non dà bene l’idea di come e quanto le aziende crescano in Cina. Una crescita del fatturato del 20-25% annuo è normalissimo ma spesso è di più.
Vero è che non è tutto oro quello che luccica ma delle cose che non luccicano in Cina già se ne parla dalle nostre parti molto più del dovuto e con un malcelato compiacimento, tanto stupido quanto autolesionista.

A questo punto, più che dilungarsi su particolari più o meno significativi riguardanti la Cina, è il momento di ritornare al titolo di questo articolo con una domanda:

Quale fattore, in un contesto di mercato mondiale regolato dagli accordi stabiliti dal WTO, diventa decisivo per la crescita economica di un paese più o meno sviluppato che sia?

Fra i tanti, il valore dell’exchange rate è certamente il più importante.
Con un cambio basso/debole un paese può sviluppare la sua industria in particolare e la sua
economia in generale molto più rapidamente di quello che invece ha un cambio forte, come si dice. Se poi questa disparità è enorme il paese che ha il cambio debole uccide prima o poi il sistema industriale di quello che ha il cambio forte.



 

Tutto ciò è ben noto ai governanti cinesi, che sono nel loro complesso dei tecnocrati molto capaci e competenti. Di queste problematiche in Cina se ne parla e se ne scrive molto e abbastanza apertamente, anche se alla cinese. Ovvero che in ogni caso le discussioni interne alla Cina devono giungere alla conclusione che gli interessi dei cinesi dipendono da una valuta che il governo deve fare in modo sia mantenuta debole. Loro hanno la raffinatezza di definirla stabile e agganciata al dollaro ai valori attuali e gradiscono che sull’argomento si faccia meno chiasso possibile, anzi che proprio non se ne parli, altrimenti fanno finta di arrabbiarsi.

La finanza occidentale invece, attraverso i suoi oligarchi avidi e impenitenti e la politica, attraverso i suoi esponenti spesso inconsapevoli incompetenti, contribuiscono non poco ad assecondare il fermo proposito degli astuti tecnocrati cinesi di continuare ad andare avanti così, con la loro valuta tenuta artificiosamente debolissima.
In occidente, accanto ai citati guru e operatori dell’alta finanza speculativa possiamo
quotidianamente constatare il sommo gaudio delle multinazionali della distribuzione e delle società di trading, che da tempo hanno individuato nella Cina il fornitore di prodotti a basso costo, da vendere con enormi margini nei centri commerciali sparsi in tutto il mondo e nei mercatini rionali dei vari paesi opulenti e no.
Insomma si viene a constatare che l’abile governo cinese ha come alleati nientepopodimenoche i poteri forti dell’occidente.

Di questo non pare che ci si accorga più di tanto. Peccato che questo comporti la rapida e per il momento inesorabile decadenza dell’industria occidentale, impossibilitata a competere ad armi pari in questo contesto economico internazionale.

Poco male sarebbe, se ciò non avesse come conseguenza la gravissima perdita definitiva di posti di lavoro in tutto l’occidente. Tragedia a cui stiamo assistendo quasi inermi e praticamente inerti, unitamente alla sparizione di interi settori industriali, con le loro preziose competenze, frutto di decenni di operoso impegno di tanti lavoratori e imprenditori.

A qualcuno verrà voglia di dire che noi occidentali dobbiamo competere sul terreno dell’innovazione di prodotto, sulle alte tecnologie e via discorrendo. Questi non sanno che i cinesi stanno lavorando per essere, in un futuro ormai prossimo, leader anche nei settori High Tech. Come? Con i soldi che guadagnano vendendoci le loro merci con margini operativi/utili elevatissimi, che in buona parte sono destinati agli investimenti, alla ricerca e allo sviluppo di nuovi prodotti.
Ormai la Cina dispone anche di qualificate risorse umane e in gran quantità. Queste hanno
mediamente una elevatissima propensione all’impegno nel lavoro, valore che in occidente
è stato in buona parte perso, salvo le eccezioni che fortunatamente ancora ci sono qua e là.

Gaolin

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