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Food Stamp e consumi: aggiornamento

Scritto il alle 12:30 da mattacchiuz

Con larghissimo ritardo vi sto per mostrare l’aggiornamento uscito venerdì scorso in merito alla variazione nel numero di persone che negli Stati Uniti ricorrono ai “food stamp”, cioè al contributo governativo che viene versato ad ogni cittadino statunitense che non sia nelle condizioni migliori per poter soddisfare le proprie necessità nutrizionali, permettendogli in tal guisa di perseverare nel gettar denaro in gadget made in China.

Nel mese di ottobre 2010, il dipartimento dell’agricoltura ha comunicato che sono 43’200’878 le persone che hanno fatto ricorso alla generosità governativa, in aumento di circa 290 mila rispetto al mese precedente. Positivo, si fa per dire, il fatto che tra settembre e ottobre si sia registrato un incremento circa dimezzato rispetto ai mesi precedenti, pur se, dai dati degli ultimi anni, un simile comportamento sembra piuttosto stagionali.

Nessuna modifica seria invece ha interessato l’entità del sussidio, che si mantiene più o meno costante a 133.76 dollari mensili a persona. In ogni caso, visti i progressi descritti dagli uffici statistici governativi che ritraggono la fiorente situazione occupazionale, sarebbe pure lecito ora aspettarsi se non una netta inversione di tendenza, almeno una chiara stabilizzazione. Purtroppo i miglioramenti nel mondo del lavoro per ora sono solo visibili nella serie destagionalizzata, mentre quella non destagionalizzata mostra per il sesto mese consecutivo una diminuzione nel livello complessivo di lavoratori, eccezion fatta per ottobre che vede crescere di 34 mila unità tale livello rispetto a settembre. Dico questo perché i dati del dipartimento dell’agricoltura non sono destagionalizzati, ma che pretendete… sono contadini, non studiosi di statistica ( non intendo assolutamente offendere né i contadini né gli altri, è solo una battuta )! In ogni caso, è pur evidente che il numero di americani sfamati dallo stato non può certamente salire in eterno, quindi prima o poi lo vedremo necessariamente scendere. È comunque davvero singolare assistere a questa continua ed inesorabile cavalcata verso nuove vette. Come probabilmente saprete, in questa classe di sfortunati consumatori ci sono anche milioni di persone che un lavoro lo hanno. E ciò rende doppiamente sorprendete il fatto che coloro che fanno ricorso al food stamp non accennino a decrescere, nemmeno considerando gli stratosferici incrementi in busta paga che hanno mediamente interessato i salari dei lavoratori americani. Da luglio, dati non aggiustati, un impiegato è passato dal pigliare 766.42 dollari alla settimana a 781.70, non male se considerato in relazione alla debolezza persistente del mercato del lavoro. In realtà un’interpretazione soddisfacente ci sarebbe, e andrebbe a mio avviso ricercata nelle dinamiche demografiche del grande Paese. Concentrandoci ad esempio sui dati di luglio, risulta che nei tre mesi seguenti la popolazione statunitense sia aumentata di 751 mila individui; parallelamente, la forza lavoro ( non destagionalizzata ) ha visto evaporare ben 1 milione 618 mila potenziali lavoratori, mentre i livello complessivo di occupazione ha perso 385 mila impiegati. Se quindi da un lato il semplice ricorso ai dati non destagionalizzati potrebbe spiegare le ragioni di questo continuo incremento nei food stamp, dall’altro l’idea che mi sono fatto è che comunque questi “progressi” nel mondo del lavoro ( solo se considerati destagionalizzati ) non siano sufficienti in alcun modo a controbilanciare le spinte demografiche e i flussi migratori.

In base a quanto appena asserito, sebbene come detto sopra sarebbe lecito aspettarsi un miglioramento della situazione, per ora non ne vedo i presupposti. Ma sarò pronto a ricredermi.

Prima di lasciarvi augurandovi una buona giornata, vi propongo l’ultimo aggiornamento dell’indice del Consumer Metrics Institute. Esso, se vi ricordate, misura su base giornaliera il volume di acquisti che il consumatore americano sostiene per entrare in possesso di un qualche bene durevole non indispensabile, come ad esempio un’unità per la rianimazione cardiaca ( scherzo… ) .

Normalmente questo indice è un eccezionale anticipatore delle tendenze dei consumi e del Pil americano. Tuttavia da quando è terminata la crisi, come tanti suoi colleghi prodotti da istituti di ricerca privati, anch’esso sembra tratteggiare la situazione economica di uno stato che non siano gli USA, bensì una qualche “repubblica” africana ( sempre con affetto parlando ). Da ormai più di 12 mesi l’indice si trova in territorio ampiamente negativo, lasciando intendere che sia in corso una recessione almeno pesante come quella vissuta nel 2008. Ma tanto per concludere questo post, vi lascio con il grafico sovrapposto del Daily Growth Index ( DGI ), delle vendite finali reali del BeA e della componente dei beni durevoli nelle spese per i consumi personali ( di cui ripeto il Consumer Metric Institute si occupa ) sempre del BeA.

Purtroppo questo è l’unico confronto che sono in grado di fare, per mancanza della serie di alcuni dati, tuttavia è lampante che per circa tre anni i vari indicatori sono andati a braccetto. Fate molta attenzione che questo grafico non è immediatamente leggibile. A sinistra ho riportato le spese per beni durevoli in miliardi di dollari, per tutti i beni durevoli, non solo quelli non di prima necessità. Nella figura all’interno del grafico sono invece riportate la variazioni. Quindi ciò che dovrebbe essere normale è vedere crescere o decrescere la curva rossa solo quando la curva blu abbia incrociato rispettivamente a rialzo o a ribasso l’asse dello 0. Ad esempio, circa nel dicembre del 2008, l’indice del Consumer Metrics Institute taglia a rialzo lo 0, innescando in questo modo la ripresa anche nelle spese personali per beni durevoli, andando esattamente a indicarne il minimo durante la fase recessiva. Allo stesso modo, se si esclude quell’anomalo picco nei beni durevoli tra luglio e agosto del 2009, tutta la fase di crescita fino al dicembre 2009 è stata accompagnata da in DGI in territorio positivo.  Da questo momento, avviene la completa scorrelazione, e mentre il GDI innesca un crollo toccando minimi inferiori rispetto al 2008, le spese per consumi personali di beni durevoli accelerano a rialzo, ignorando per quasi un anno le indicazioni provenienti dall’istituto privato.

Ora io non so quali siano le ragioni ( se ne possono trovare a decine ) di un tale comportamento, così come non posso a priori decidere di fidarmi dei dati di un istituto piuttosto che di un altro ente di ricerca. Ma questi sono i dati. Ognuno ha il diritto di scegliere i dati, la religioni, il governo che crede più opportuno, ma ciò che per tutti noi blogger è importante, è mostrare che ci sono anche “questi di dati”. Nel momento in cui vi proponessimo solo “alcuni dati”, provenienti da “alcuni istituti”, allora fidatevi, staremo lavorando per qualcuno.

Buon inizio settimana a tutti

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3 commenti Commenta
pecunia
Scritto il 10 Gennaio 2011 at 18:02

“….rianimazione cardiaca”.. ahahahaaa.
Grande articolo.

amensa
Scritto il 10 Gennaio 2011 at 20:52

bravo matta…. sempre alla ricerca di qualche bella notizia per rallegrarci , vero ?…comunque sei e resti bravo .
grazie.

mattacchiuz
Scritto il 10 Gennaio 2011 at 21:37

pecunia@finanza,

grazie grazie… almeno qualcuno l’ha letto e commentato 🙁

amensa@finanza,

beh notizie migliori di così non le puoi neanche frabbicare: la gente acquista beni durevoli ma senza comprarli, e spende più soldi di prima risparmiando pure! 🙂

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