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Capitalismo di Stato
La teoria del capitalismo di Stato è stata sviluppata da uno dei più illustri storici del nostro tempo, Eric Hobsbawm, da taluni considerato, addirittura , il massimo storico contemporaneo. Hobsbawn è morto di recente a Londra alla venerabile età di 95 anni.
In sintesi il capitalismo non dà cenni di morire, ma sta attraversando una profonda evoluzione, dove alla vecchia borghesia “illuminata, innovativa, anche se rapace” stanno subentrando sempre più le istituzioni dello Stato. Se quanto sopra è facilmente riscontrabile in Cina, lo è anche per il Giappone, dove ancora esiste una forte coesione nella pianificazione industriale ed economica fra aziende e stato (il vecchio e potente Miti non è sparito come ente, ma è stato inserito nel ministero dello sviluppo economico) e un forte senso dello stato da parte del popolo che favorisce l’acquisto di prodotti nazionali. Certo che è un paese con le sue peculiarità, forte nelle esportazioni, critico sull’età media e sul tasso di natalità, restio alle immigrazioni, debito esorbitante, abbandono del nucleare, etc.
Ma analoghe considerazioni sul capitalismo di stato, naturalmente ognuno con caratteristiche peculiari, si possono fare per Russia, per Norvegia e Svezia, per il Brasile e altri paesi sud-americani (Venezuela anziché Argentina), per la Turchia e l’India ma anche, in un contesto più limitato, per Australia e New-Zealand. Anche in Canada il legame fra governo e industria è molto stretto: simbolico il recente rifiuto del governo a fare entrare nel campo delle telecomunicazioni aziende est-asiatiche.
Un esempio su cui meditare è la Turchia, paese con un buon tasso di sviluppo industriale dove l’agricoltura è comunque ancora il 30% circa del Pil. Collocata in un centro nevralgico fra il mondo occidentale e il mondo mussulmano, sotto la gestione ferrea del governo Erdogan , oggi al terzo mandato, ha segnato negli ultimi anni significativi aumenti del Pil e del reddito pro-capite, anche se con un tasso di inflazione non trascurabile. In genere le attività industriali sono sempre state portate avanti da grandi gruppi finanziari, le cosidette “famiglie” ( diversi anni fa, nelle mie esperienze professionali, ho avuto occasioni di lavoro con la “famiglia” Koc) che sono presenti in tutti i campi attraverso joints con aziende estere che hanno ivi trasferito le tecnologie, sempre con il superiore beneplacito e supervisione del governo. Si pone molta attenzione alle importazioni nette di prodotti esteri, limitandole con vari artifici. I più importanti rapporti export-import sono con la Germania, dove, fra l’altro, lavorano decine di migliaia di cittadini turchi. Notevoli gli investimenti in apparati militari. Il welfare lascia a desiderare per la ferrea posizione assunta dal governo nei confronti del sindacato.
Una prima ovvia deduzione è che parliamo di stati sovrani ognuno con moneta propria. Per alcuni di questi possiamo dire che il processo di gestione statale è stato agevolato da una importante disponibilità di materie prime.
Dove le materie prime non sono determinanti, lo Stato è intervenuto limitando le importazioni, favorendo sia la localizzazione all’interno di industrie straniere sia l’esportazione di prodotti “made in house”. Il principio basilare è quello, molto semplice, di difendere e sviluppare i posti di lavoro localmente.
E’ la strategia che cercano di attuare anche piccole e povere nazioni per portare industrie nel proprio paese (Irlanda, Macedonia, Serbia, etc, ma anche Svizzera che tanto povera non è).
Anche gli USA, con la presidenza di Obama, ha cercato di realizzare un intervento da stato capitalista: l’introduzione del piano Medicare e i grossi contributi dati al sistema bancario e industriale sono azioni che rendono palese, quando necessario, la mano dello Stato.
La Francia difende certe sue attività industriali definendole strategiche e non si tira indietro per trovare il modo di aiutare la Peugeot in difficoltà, alla barba delle rimostranze della comunità europea (leggasi delle case automobilistiche tedesche).
In linea di principio, lo Stato ha tre esplicite funzioni:quella di sviluppare infrastrutture moderne ed efficienti e di effettuare le grandi opere; la seconda è il welfare. La terza e più importante è quella di intervenire in tutte le forme possibili per facilitare lo sviluppo industriale.
La carenza di pianificazione a difesa dell’industria nazionale sia da parte dell’Italia sia da parte di altre realtà del mondo occidentale, ha agevolato gli stati emergenti e la Cina in particolare, a scapito dell’economia dei primi, incapaci di difendersi di fronte alla strategia di quei paesi che operano sotto la forma del capitalismo di stato, utilizzando leve che l’establishement occidentale e i disuniti interessi dei paesi EU rifiutano di contrastare, prevalendo gli egoismi nazionali.
La crescita frenetica della Cina, con lo spostamento di grosse masse di agricoltori sulle linee produttive è avvenuto senza curarsi del welfare dei lavoratori e questo potrebbe essere fonte di futuri problemi sociali. Per conto il mondo occidentale reagisce, per difendersi, agendo, in forma riduttiva, sul proprio più o meno elevato livello di welfare accumulato in anni di battaglie sociali. Anche questo può essere foriero di futuri scontri sociali.
Da non sottovalutare, infine, l’instabilità cruenta del nord-africa e del medio-oriente, caratterizzata indubbiamente anche da profonde e antiche divergenze religiose, ma inevitabilmente mossa da una volontà di riappropriarsi delle enormi fonti energetiche di cui tali territori dispongono con l’obiettivo (forse irrealistico) di creare uno Stato arabo unito. Le iniziative di nazionalizzare le risorse da parte dell’Iran o della Nigeria o di Chavez e Lula in sud-america e sul fronte bellico le azioni “terroristiche” di Al-Qaeda aiutano ad alimentare il suddetto obiettivo.
In questo scenario di assoluta instabilità si inserisce il quadro della comunità europea, dove gli squilibri fra i vari paesi hanno raggiunto valori molto probabilmente irreversibili. L’errore, è inutile negarlo, è stato fatto quando si è preteso di fare un’unità monetaria prima di fare un’unità politica e soprattutto economica. Fa ancora più rabbia che a spingere tale unione da parte dell’Italia siano stati personaggi come Prodi che, per parecchi anni, avevano gestito aziende italiane controllate dallo Stato (IRI) e che avrebbero, quindi, dovuto sapere quali sarebbero state le conseguenze derivanti, per l’industria nazionale, dall’entrare in una comunità monetaria europea (e ci avevano già picchiato il muso con l’esperienza SME).
Le conseguenze sono state semplicemente disastrose. Il sistema monetario unico, come gli eventi hanno dimostrato e continuano a dimostrare, hanno favorito alcuni paesi ad acquisire crescenti surplus commerciali, mentre altri hanno accumulato crescenti deficit. Ciò porta con sé due effetti indesiderati: trasmette pressioni inflazionistiche da alcuni membri ad altri e, in secondo luogo, pone i paesi in surplus nelle condizioni di fornire finanziamenti a tassi più elevati ai paesi in deficit in scala crescente.
Questa differenza di tassi rendono più efficienti gli investimenti delle aziende dei paesi più ricchi, amplificando, tutti i sacrosanti anni, la differenza di competitività con i paesi “periferici”, sia sul lato del costo del lavoro sia sul lato del costo globale dei prodotti.
Le aziende dei “periferici” sono costrette, nel tempo, a chiudere o a trasferirsi in paesi a costo del lavoro “agevolato”, con il drammatico risultato dell’estinzione del tessuto industriale locale.
L’Italia fra aziende private e aziende a partecipazione statale aveva un più che discreto e invidiabile tessuto industriale, corrotto, magari, e colluso con la classe politica, ma né più né meno come lo sono, attualmente, tutte le istituzioni dello Stato. Ma c’era lavoro e un operaio con 1,5 milioni di lire riusciva ad arrivare alla fine del mese; oggi con € 1200-1300 non riesce ad arrivare alla terza settimana.
Voglio dire, non c’era bisogno di entrare nell’euro, per risanare i conti dello Stato ed eliminare gli sperperi e i contributi ai politici. Con “mani pulite” ci siamo fermati all’inizio della strada, poi non c’è stato il coraggio o la volontà di percorrerla fino in fondo.
Con l’insana idea di ridurre il debito attraverso la vendita di assets, inclusi quelli produttivi, la maggior parte dell’industria italiana a controllo statale è stata privatizzata con risultati negativi; parte di essa è andata in mani estere che, con il tempo, hanno chiuso le attività italiane e trasferito la produzione in altri siti, mantenendo solo il mercato. La medesima situazione si è verificata per molte aziende private. Abbiamo perso centinaia di migliaia di posti di lavoro e continueremo a perderne.
Oggi ci troviamo ad essere uno stato satellite dell’economia teutonica, non dobbiamo avere timore a dire che abbiamo perso la nostra autonomia e la nostra sovranità, a dispetto di quello che ci propinano i professori del governo o gli zombie che ancora girano fra i partiti politici.
Non abbiamo più la possibilità di diventare anche noi uno Stato Capitalista, perché non c’è la volontà né il coraggio di uscire dall’euro. Ma peggio ancora professori e politici non hanno la minima idea di come rilanciare la ripresa economica (come troppo educatamente ha riferito anche il presidente di Confindustria ). In compenso sono ferrei esecutori dei diktat europei.
Se l’obiettivo della Germania è quello di fare, nei prossimi anni, dell’Europa unita un nuovo Stato Capitalista, prepariamoci a subire altri sacrifici perché nel processo di unificazione è indubbio che prevarranno sempre gli egoismi nazionali dei più forti.
Personalmente sono demoralizzato e, data l’età, incapace di reagire, ma, sono ancora più scoraggiato dall’atteggiamento dei giovani, succubi di questo degrado che accettano più o meno inconsapevolmente.
Le recenti elezioni in Sicilia hanno dimostrato che il paese non crede più alla classe politica e i voti al M5S indicherebbero che c’è voglia di cambiamento …. Possiamo dire che sta passando l’ultimo treno; se i giovani non sono capaci di prenderlo al volo ci ritroveremo, nei prossimi anni, ad affrontare un più che probabile default.
Paolo41
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L’analisi di Paolo 41 è inconfutabile.
Non si riesce a capire perchè i nostri governanti non vogliano prendere atto della sua nefasta drammaticità.
Eppure ormai i segnali che arrivano da tutte le parti sono forti. La produzione industriale in calo da molti anni ora è in contrazione drammatica. Le aziende che falliscono, o che sono sull’orlo del fallimento aumentano di giorno in giorno e con esse spariscono ricchezze e competenze create da tanti imprenditori e maestranze in decenni di lavoro e impegno.
Eppure tutti dovrebbero sapere che in Italia ma non solo, sono queste le attività che hanno sostanzialmente mantenuto tutte le altre.
Possibile che del problema gravissimo della ormai perduta competitività in questo paese nessuno ne voglia parlare?
Come sarà possibile avere una ripresa economica nelle condizioni in cui l’Italia è?
Situazione che è ben sintetizzata nel grafico che ognuno può andare a guardare sul sito:
La mia impressione è che ormai prevalga il detto ” mal comune mezzo gaudio ” e che noi pur prendendo mazzate a destra e a sinistra ora della fine saremo quelli messi meglio. Gli altri di noi sanno la verità, noi degli altri non sappiamo quante bugie ci stanno raccontando.
E intanto http://www.vincitorievinti.com/2012/10/il-mes-sta-finanziando-la-germania.html
Aggiungerei che gli squilibri nell’area mediterranea sono peggio di quelli qui delineati in quanto qui sono stati presi in esame sono finanza ed economia. Se si allargasse lo sguardo con una disciplina come la geografia della popolazione ricorrendo al concetto di transizione demografica che mette in relazione industrializzazione, demografia e altri fattori, ci accorgeremmo quanto la situazione sia peggiore e pericolosa. In europa tassi di natalita’ del 1,1% sono la regola ormai mentre paesi connotati da forte espansione demografica sulla via dell’industrializzazione, seppure agli inizi, hanno tassi di natalita’ superiori a 3, vuol dire che la pressione demografica si fa sentire e si fara’ maggiormente sentire in futuro e noi saremo sulla via della riduzione demografica in piena crisi economica e sociale. Quadro altresi gravato dal fatto che il patto generazionale pensionistico, cosi’ com’e’ non potra’ lo stesso durare…anche l’alfabetizzazione, la religione ed altri aspetti hanno da mettere il loro conteibuto in questo quadretto dalle tinte fosche… Speriamo in bene MA prepariamoci al peggio
Purtroppo hai delineato bene gli altri fattori critici, da aggiungere al post di Paolo (a cui faccio i complimenti… perché non è mai piacevole parlare di queste cose… immaginiamo scrivere un post).
Eppure basterebbe che qualcuno faccia una unica trasmissione, alla radio o alla televisione, che spieghi agli italiani che i sacrifici che stiamo facendo (aumento della tassazione, ecc.) servono in pratica esclusivamente per pagare gli interessi sul debito pubblico… e non bastano neanche (!), visto che contemporaneamente le entrate non aumentano in proporzione all’aumento della tassazione.
C’è qualche volontario?
Dopo un evento del genere, credo che ogni italiano, prima di votare alle prossime elezioni un individuo che gli ha raccontato la solita frigna di programma (sempre che ne avesse uno… perché oramai anche quello è diventato superfluo, un proforma) e promesso le solite mirabolanti ed impossibili cose da attuare (mai), ci penserebbe due volte.
Allora sì ci sarebbe la svolta… e forse anche più unione all’interno del Paese (collaborazione fra le diverse classi sociali per risollevare le sorti di questo paese… oltre a maggiore senso civico).
Ma ovviamente il mio pensiero è puramente utopico e un tale candidato… non ci sarà mai (perché raccontando una cosa del genere avrebbe paura di perdere voti… e non guadagnarli).
Non mi è facile rispondere alla tua domanda, prima di tutto perché non so in quale attività è impegnata la tua impresa, se nel campo del manifatturiero o dei servizi o del turismo o dell’agricoltura, etc. E’ altrettanto importante sapere se è orientata all’esportazione o solo al mercato locale, se è impostata su una tecnologia avanzata e riesce a difendersi dalla concorrenza, oppure se le barriere tecnologiche non sono elevate.
Resta il fatto che la stragrande maggioranza delle aziende italiane, dopo l’entrata nell’euro, ha perso competitività.
Ciò non toglie che esistano campioni anche nel nostro paese e credo che potremmo facilmente elencarne diverse; se però andiamo ad analizzarle a fondo troviamo che, pur rimanendo con una base italiana ( R&S e locazione produttiva), si sono internazionalizzate trasferendo, giustamente, altri siti produttivi nei mercati più importanti. A tale riguardo le esperienze pratiche di Gaolin e quanto dallo stesso riportato nei suoi articoli sono convinto che potrebbe esserti di valido aiuto.
Nel blog siamo, ormai, parecchi a credere che solo l’uscita dall’euro può risolvere il problema del recupero industriale italiano; gli assertori di tale tesi nel nostro blog non sono più mosche bianche, anche se forse siamo stati fra i primi, alcuni anni fa, a riportare il nostro pensiero. Sta di fatto che anche altri siti web ribadiscono lo stesso concetto e, recentemente si sono creati dei movimenti, come quello che indico qui sotto, che stanno cercando di sensibilizzare l’opinione pubblica.
http://www.investireoggi.it/economia/conferenza-mmt-paolo-barnard-i-padroni-delleuropa-temono-di-essere-spazzati-via/
Ma, come ho detto prima, non è sufficiente uscire dall’euro, ma occorre avere una visione più internazionale del businnes. Le attività di nicchia di prodotto e di mercato, nel tempo, sono difficilmente difendibili.
Mi chiedi quali potrebbero essere le strade per poter uscire da questa situazione?? Tempo fa, poco prima dell’inizio del governo Monti, insieme a Guinhunter, si presentò un post un po’ ambizioso che Dream pomposamente volle definire “manifesto” della ripresa economica: c’erano degli spunti che ritengo ancora validi come altrettanto validi furono le aggiunte e i commenti che fecero i partecipanti a questo blog. Chiedi a Dream di procurartelo: può essere una interessante lettura.
Concludo proponendoti di farti dare la mia e-mail da Dream e se posso esserti di aiuto attraverso analisi più specifiche, sono a tua disposizione.
Tempo fa, poco prima dell’inizio del governo Monti, insieme a Gainhunter, si presentò un post un po’ ambizioso che Dream pomposamente volle definire “manifesto” della ripresa economica:
Bellissimo “post” ma non ci si deve scoraggiare esiste una fortissima vitalità potenziale in un processo di crisi. Semi nuovi trovano terreni fertili. Tutto viene messo in discussione e ci avviamo verso un mondo nuovo che non necessariamente sarà negativo. Dipende tutto dal fatto se continueremo a lasciare a questi le leve di un comando sempre più fuori anche dalle forme di una democrazia.
Questa, ad es., è una critica di un Repubblicano US al loro “capitalismo di stato” garante del rischio e dei profitti dei capitalisti finanziari di stato globali a spese dei cittadini US.
paolo41:
raffaele9@finanzaonline,Non mi è facile rispondere alla tua domanda, prima di tutto perché non so in quale attività è impegnata la tua impresa, se nel campo del (…)
Grazie a tutti … i vostri interventi sono davvero incoraggiati e la disponibilita’di Paolo merita un applauso virtuale
Non so come richiedere la mail a D.T che approfitto per ringraziare
Buona Giornata
Buongiorno Paolo 41 il suo articolo mette i brividi .
“Personalmente sono demoralizzato e, data l’età, incapace di reagire, ma, sono ancora più scoraggiato dall’atteggiamento dei giovani, succubi di questo degrado che accettano più o meno inconsapevolmente.””
Da’ imprenditore sto reagendo con tutte le mie forze ma leggendo quest articolo e pesando la classe politica italiana ,il futuro dei miei figli mi preoccupa.
Sarebbe interessante leggere un Suo articolo che suggerisse ,sfruttando la Sua notevole esperienza ,la strada per poter reagire ….oppure valutare il trasferimento in un altro paese dove sarebbe possibile sognare un futuro per i figli
La ringrazio e attendo i Suoi consigli
Raffaele 69