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USA: sempre e comunque una crescita economica senza basi solide
E in Spagna il tasso disoccupazione raggiunge picchi impressionanti. 27.2%. E la disoccupazione giovanile? Al 57.2%
Ieri vi abbiamo ampiamente illustrato di come ci sia una chiara divergenza tra economia e finanza, tra i dati macro usciti e l’andamento dei mercati. I fatti illustrati nel post di ieri parlano da soli. Oggi si continua sulle stesse coordinate. Il dato sulla disoccupazione spagnola è un qualcosa di…terribile.
TASSO DISOCCUPAZIONE SPAGNA: Nuovo record della disoccupazione in Spagna: nel primo trimestre il tasso si disoccupazione è salito al 27,2% più del 26,5% atteso dal mercato (dopo il 26,02% del trimestre precedente). Il numero dei senza lavoro ha superato per la prima volta i sei milioni di persone. Sono i dati diffusi dall’Istituto nazionale di statistica. In particolare alla fine di marzo, la Spagna, sottoposta a una misure di austerità senza precedenti, ha registrato 6.202.700 i disoccupati, 237.400 in più rispetto al trimestre precedente. (Source)
Grafico Disoccupazione Spagna
E se poi a questo dati ci attacchiamo anche quello sulla disoccupazione giovanile (sempre in Spagna). 57.2%… cose mai viste.
Rosenberg: 12 motivi per essere preoccupati
Sappiamo benissimo che la finanza è una cosa e che l’economia è un’altra. Come sappiamo che tra questi due mondi non c’è correlazione perfetta, soprattutto oggi.
David Rosenberg, in una sua analisi, ci ricorda (per quello che può valere oggi, visto che i mercati sono RISK ON) 12 buoni motivi per essere preoccupati quantomeno per l’economia USA che al momento continua ad essere
12 buoni motivi che, in altri tempi e con una politica monetaria NON così accomodante, avrebbero potuto far affondare qualsiasi mercato.
• Household employment (-206k in March, the steepest decline in well over a year).
• Real retail sales (-0.3% in March, down for the second time in three months).
• Manufacturing production (-0.1% and also down in two of the past three months).
• Core capex orders (-3.2% in February, and again, down in two of the past three months).
• Single-family housing starts (-4.8% in March and negative for two of the past three months as well.
• New home sales (-4.6% in February).
• Philly Fed for April down to 1.3 from 2.0.
• NY Fed Empire manufacturing index down to 3.05 from 9.24.
• NAHB Housing Market index down to a six-month low of 42 in April from 44.
• Conference Board consumer confidence index down to 59.7 in March from 68.
• University of Michigan consumer sentiment down to 72.3 for April from 78.6, the lowest in over a year.
• Conference Board leading indicators down 0.1% in March, first decline in seven months.
Questo post non dirà nulla di nuovo, ma almeno ha arricchito la vostra cultura finanziaria, nella consapevolezza che la crescita economica USA continua ad essere un gigante coi piedi d’argilla. E nel resto del mondo? Non va di certo meglio.
STAY TUNED!
DT
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Doug Short è uno tra i migliori, affidabili e sinceri analisti americani. Il suo sito è un prezioso contenitore di informazioni prive di condizionamenti. Short è un “data miner”, non trae conclusioni, si limita a esaurienti analisi delle basi dati pluridecennali. Questo suo ultimo post dimostra che il reddito mediano reale (tenendo conto dell’inflazione) in USA è rimasto pressoché costante dal 2000 al 2008 per poi precipitare del 9,7% e quindi recuperare in questi 5 anni un misero 1,5%. Il cittadino mediano ha quindi un reddito che a -8,2% rispetto 13 anni fa.
Nel corso degli ultimi 3 anni diversi studi supportano l’evidenza che la produzione petrolifera ha raggiunto il picco tra il 2008 e il 2012; questo è confermato dai dati ufficiali sulla produzione di olio delle principali società petrolifere che ha raggiunto il picco nel 2004 ed è calato del 20% da allora. I paesi OPEC hanno raggiunto il picco attorno al 2008, quelli non OPEC sono ancora in moderata crescita guidati dalla produzione di olio denso in USA e Canada, con un costo marginale attorno a 90$ e riserve che è opinione degli specialisti essere ampiamente sovra dimensionate oppure non producibili a costi compatibili con la crescita economica aggregata.
Un recente studio di ricercatori principalmente tedeschi avanza la tesi, documentata in 170 pagine di numeri, che la produzione di petrolio nel 2030 non sarà superiore a 60 milioni di barili equivalenti al giorno (oggi sono 85) e che non il petrolio è in picco, ma anche il gas naturale lo sarà attorno al 2025, il carbone entro il 2030 e l’uranio nello stesso periodo. Ovvero siamo prossimi al PEAK EVERYTHING.
Quelli che si oppongono a questi studi, sostanzialmente avanzano solo una tesi: che la ricerca e l’ingegno umano risolveranno tutto. A questi signori andrebbe evidenziata l’evoluzione del progetto petrolifero del Mar Caspio. Il mondo richiede mega giacimenti di petrolio e non medi e piccoli e negli ultimi 15 anni ne sono stati scoperti solo 2: quello menzionato e quello al largo delle coste brasiliane. Il progetto in Kazachistan, che vede coinvolta ENI, è in ritardo di 5 anni, i costi sono triplicati rispetto le previsioni e non c’è una data certa della messa in produzione. Il giacimento in Brasile è sotto 4 km di acqua e 2 km di sale. La tecnologia per estrarlo ancora non esiste. Petrobras che è capo progetto ha recentemente realizzato un mega aumento di capitale da 90 miliardi, ma le previsioni sono per costi attorno ai 600 miliardi e produzione non prima del 2025.
Mai come ora esiste una discrepanza tra brevissimo periodo e lungo periodo con una enorme differenza rispetto il passato. Senza un piano alternativo, la civiltà come la conosciamo oggi andrà incontro a un collasso completo entro la prossima generazione.
Per ciò che riguarda il nostro paese, i consumi petroliferi sono già ora al livello del 1998, un dato recentissimo mostra un calo dei km percorsi in autostrada del 30%. Dove vada questo paese è ovvio, gli altri seguiranno con l’esclusione di coloro che riusciranno a impossessarsi delle residue risorse, guerra peraltro già in atto dal 2002, invasione dell’Iraq (seconde riserve al mondo di olio leggero) e la successiva invasione dell’Afghganistan necessaria x evitare la costruzione di oleodotti dall’Iran verso la Cina. Le prossime puntate a breve.
Grazie, Dream…e sempre in quest’ambito…perché stanno crescendo di brutto i titoli automobilistici? Ha senso?