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Parallelismo fra catastrofi: Fukushima e derivati
Negli occhi di tutti noi ci sono ancora le drammatiche immagini della centrale nucleare di Fukushima, dello tsunami e del terremoto in Giappone: una vera catastrofe.
Nell’economia globale ci sono ancora aperte le ferite create dalla più grande crisi finanziaria che la storia ricordi dopo il 1929 (non dimenticate che non possiamo ancora assolutamente mettere la parola FINE a questa crisi): una vera catastrofe di natura finanziaria, ma non per questo meno disastrosa, anche se si parla di due cose totalmente diverse.
Ho trovato un interessantissimo scritto di Mark Roe, un professore di Harvard che sul sito Project Syndacate ha brillantemente illustrato questo parallelismo. Ottimamente tradotto da Marzia Pecorari, ve ne consiglio vivamente la lettura. Il punto focale secondo me è questo: i tecnici hanno capito il problema e stanno facendo il possibile per arginare i danni a Fukushima. Invece, per i derivati, quasi si vogliono ignorare le possibili soluzioni.
Gli esperti finanziari hanno paragonato il terremoto, lo tsunami e la catastrofe nucleare del Giappone al ruolo dei derivati nel tracollo finanziario del 2008. Le somiglianze sono abbastanza evidenti, in quanto ogni attività presenta enormi benefici ma con un lieve margine di rischio esplosivo. Tuttavia il paragone tra le due tipologie di crisi viene meno rispetto al piano di prevenzione per contrastare un’eventuale ricomparsa dei disastri verificatisi.
Nel caso dell’impianto nucleare di Fukushima, un’inondazione che si verifica ogni 1000 anni e innocui difetti di progettazione routinari hanno causato la mancata circolazione dell’acqua di raffreddamento nei reattori, portando a serie perdite radioattive. Nei mercati finanziari, un collasso inaspettato dei titoli immobiliari ed errori di valutazione dei derivati e dei mercati repo hanno minato la capacità di rispettare gli obblighi di pagamento da parte dei principali istituti finanziari.
Se da un lato i rischi principali sono derivati, in entrambi i casi, da fattori esterni al sistema (lo tsunami nel caso di Fukushima e sovrainvestimenti nei mutui immobiliari nel caso degli istituti finanziari), una combinazione di errori di pianificazione e sfortuna hanno fatto sì che i sistemi non fossero in grado di contenere i danni. Negli Stati Uniti, l’AIG, la Bear Stearns e la Lehman Brothers, che hanno derivati e/o investimenti repo ingenti, sono fallite congelando in modo preoccupante i mercati del credito per diverse settimane.
Mentre ora comprendiamo bene i rischi ed i difetti di progettazione che hanno portato alla catastrofe di Fukushima, non abbiamo, invece, ancora capito i rischi legati ai derivati che hanno messo in pericolo l’economia globale. Nel caso di Fukushima, gli operatori del settore stanno coraggiosamente tentando di fermare la fuoriuscita delle radiazioni. Per contro, nel caso dei derivati, i tentativi di soluzione della crisi sono mal direzionati e non riusciranno a bloccare un eventuale prossimo crollo finanziario. Gli esperti del settore stanno infatti ricostruendo i derivati e le strutture finanziarie correlate con le stesse modalità e, conseguentemente, con lo stesso rischio di difetti.
Gli operatori del settore finanziario usano i derivati per trasferire i rischi. Può, ad esempio, succedere che un operatore decida di correre il rischio legato alla fluttuazione dell’euro, ma che non voglia assumersi lo stesso rischio per lo yen, e che un altro operatore decida di fare esattamente il contrario. Con queste operazioni il primo promette di restituire un profitto in euro entro il prossimo 1 giugno, mentre il secondo in yen. Se una delle due valute si trova in ribasso rispetto all’altra, chi perde si trova a pagare la differenza.
I repo sono transazioni finanziarie. Le società finanziarie vendono beni (tra cui obbligazioni del Tesoro o titoli immobiliari) in cambio di contanti, con la promessa di riacquistare i beni (o, in sintesi, di fare un repo) generalmente il giorno successivo. Ma le operazioni di compensazione di gran parte del bilancio delle società finanziarie tramite i contanti derivanti dai repo a breve termine mettono a serio rischio di crollo i mercati finanziari con un possibile esaurimento temporaneo dei fondi repo, proprio come è successo nel 2008. E’ stato proprio questo contesto a portare la Bear Stearns, tra le altre, al fallimento nello stesso anno.
I derivati individuali e le transazioni repo sono tutt’altro che nefandi. Presi singolarmente hanno infatti la funzione di trasferire in modo legittimo il rischio ai soggetti più in grado di gestirlo, o di sostenere le holding finanziarie. Ma quando vengono sovrautilizzati in modo sistemico dai principali istituti finanziari, possono portare al crollo del sistema proprio a causa di errori di pianificazione. Persino oggi, il 70% dei debiti delle principali società finanziarie statunitensi comportano prestiti a breve termine, proprio come i repo overnight.
Negli USA, i principali difetti di pianificazione si riscontrano nella legislazione relativa alla bancarotta, che esonera i derivati ed i repo dalle restrizioni imposte sulla bancarotta stessa. Ad esempio, gli investitori che hanno derivati o contratti repo con un istituto finanziario debole hanno prelazione sui beni prima, e alle spese, dei creditori segnando in tal modo il destino dell’istituto che potrebbe invece, con un po’ più di tempo, uscire indenne dalla crisi. Queste corse ai beni sono state la rovina della AIG, della Bear Sterns e di altre aziende durante la crisi finanziaria.
In realtà la situazione è addirittura peggiore, in quanto data la facilità e le diverse modalità con cui gli investitori di derivati e di repo arrivano in cima alla fila dei creditori, è evidente che non hanno alcun incentivo a sostenere l’istituzione di una disciplina del mercato riuscendo infatti a monitorare da vicino le insolvenze dei propri omologhi e dosando con attenzione la propria esposizione alle singole controparti. Riescono, infatti, sempre e comunque, ad essere ripagati.
E’ pur vero che qualcuno deve pur essere il primo in lista. Alcuni operatori finanziari corrono dei rischi maggiori in quanto sono le stesse esenzioni da un’eventuale bancarotta degli operatori dei derivati e dei repo a metterli al primo posto. Di solito, ci si aspetterebbe una spinta per una maggior disciplina del mercato da parte degli altri operatori, ma troppo spesso è il governo statunitense a trovarsi al secondo posto, quale garante degli istituti troppo grandi per fallire, e non detiene quindi la posizione adatta per regolamentare questi mercati su base quotidiana. Non ha, inoltre, una competenza specifica da un punto di vista finanziario, viene spesso incastrato dagli operatori che devono sottostare alle regolamentazioni, e, nelle fasi di trend economico positivo, nessun funzionario è pronto a danneggiare il suo partito.
Il Congresso statunitense ha avuto la possibilità di correggere gli errori di pianificazione durante il processo di revisione finanziaria dell’estate scorsa con la legge Dodd-Frank. Ma non l’ha fatto.
Se gli investitori dei derivati, dei repo e dei credit default swap non godessero di un trattamento di favore, si comporterebbero in maniera diversa. Insisterebbero innanzitutto per una maggior capitalizzazione delle loro controparti dato che l’accettazione del rischio implicito legato a capitalizzazioni ridotte è sempre dipeso dal fatto che il denaro in gioco fosse del governo statunitense. Qualora si trattasse del denaro degli stessi investitori sarebbero infatti molto più riluttanti a correre tale rischio.
L’opinione pubblica percepisce in modo diverso i rischi legati a Fukushima e quelli legati ai derivati. Molti temono i rischi nucleari che, oltre ad essere più che evidenti, implicano serie preoccupazioni per la sicurezza e potrebbero condurre ad un rallentamento dello sviluppo industriale. Ma i rischi legati ai derivati ed ai mercati repo sono difficili da comprendere per l’opinione pubblica, complicati da comunicare da parte dei media e ardui da dibattere e risolvere da parte dei politici. Durante il corso di una crisi, questi mercati attraggono l’attenzione dell’opinione pubblica che si lascia andare a critiche dure, ma non appena l’economia riprende il suo trend positivo, l’opinione pubblica è la prima a perdere interesse lasciando che l’industria finanziaria controlli il suo destino interagendo con la legislatura.
In relazione a rischi simili a quelli causati dalla tragedia di Fukushima, gli studiosi stanno già discutendo nuove modalità di progettazione e costruzione degli impianti nucleari per contenere i danni di eventuali terremoti o tsunami tramite processi di raffreddamento passivo. Sembra infatti sia possibile progettare e costruire degli impianti nucleari che possano mantenere fredde le barre del combustibile anche senza alimentazione.
Ma non è stato fatto ancora niente di importante per prevenire gli eventuali danni che le priorità vigenti legate ad un’eventuale bancarotta dei repo e dei derivati potrebbero comportare in un nuovo crollo del sistema finanziario. Al momento sono in fase di sviluppo nuove regolamentazioni che richiedono al fruitore finale di fornire maggiori garanzie collaterali (tra cui le aziende petrolifere che utilizzano i derivati per ripararsi da eventuali cambi improvvisi del prezzo del petrolio). Tuttavia, queste regole non toccano il problema principale, ovvero l’indebolimento dell’incentivazione da parte dei principali istituti finanziari a promuovere una maggior disciplina del mercato. E’ come se avessimo reagito alla crisi di Fukushima con una gestione migliore delle emissioni di gas nei progetti condivisi sul petrolio.
Mentre dovremmo studiare il modo di far assumere tutti i rischi delle proprie decisioni agli investitori dei derivati e dei repo quando si trovano ad avere a che fare con i principali istituti finanziari, dopo essere sopravvissuti allo tsunami finanziario del 2008 stiamo invece ristabilendo gli stessi principi finanziari carenti sulla base della stessa teoria difettosa.
Beh, credo che sia uno scritto che mette in evidenza le grandi carenze normative del mercato dei derivati. il dolo però è assolutamente inequivocabile. chi è causa del sul mal, pianga se stesso. Peccato che poi alla fine saremo noi a pagare…
Magari è il caso di far girare la voce su questo rischio che stiamo correndo? O credete che si tratti di mero catastrofismo? E se si tratta di catastrofismo, però, aspetto commenti che difendano questa tesi, in quanto non sta in piedi. Secondo me, ovvio…
STAY TUNED!
DT
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credo sia cosi:
Le sofferenze sono tutti i prestiti,mutui,fidi fatti alla clientela e che sono di fatto irrecuperabili, importi dove magari si va a transare per prendere tot% del credito oppure addirittura nulla,ed in questo caso va a perdite secco. Non so esista anche una statistica relativa alle partite “incagliate” cioè quelle che ancora non sono passate a sofferenze .
Credo che la domanda di Hironibiki fosse non proprio seriosa, nel senso che secondo me lo sa fin torppo bene cosa sono le sofferenze, ma non capisce da dove saltano fuori, visto che siamo in creascita economica e siamo usciti dalla crisi… O mi sbaglio? 😀
DT entrambe le cose.. Sofferenze non mi era chiaro il senso, una banca può avere delle sofferenze? Cioè? Ora ho capito (grazie MAurobus) però anche la domanda che dici tu nasce spontanea. Effettivamente com’è possibile?
So di fare domande che magari vi sembrano sciocche a volte ma abbiate venia
Da questo forum sto imparando molto e vi ringrazio
Domandina da perfetto ignorante:
Leggevo “Abi: sofferenze bancarie raddoppiate a 92,2 miliardi”
Roma – Nel febbraio del 2011 le sofferenze lorde sono risultate pari a circa 92,2 mld euro, oltre 1,1 mld in piu’ rispetto a gennaio 2011; la continua crescita degli ultimi due anni ha portato il numero a essere quasi raddoppiato rispetto a febbraio 2009 (quando ammontavano a 43,4 miliardi). …
Cosa sarebbero “le sofferenze bancarie”? In due parole così che possa anche io capire