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LA GUERRA DELLA VALUTE
La guerra una volta si faceva coi cannoni. Oggi la grande guerra nel mondo della finanza è taffa con i cambi. La guerra valutaria illustrata dall’amico lettore Paolo41 (GUEST POST)
PREMESSA
Subito dopo lo tsunami conseguente al fallimento di Lehman Brothers, quando la fiducia nel sistema bancario e in quello finanziario era sottoterra, si sono scatenate tutte le possibili opinioni di economisti e blogger e parecchi si sono avventurati in suggerimenti e/o soluzioni da adottare per uscire dall’empasse. Pochissimi, al momento, predissero che si sarebbe sviluppata una guerra sulle valute, come, invece, sta avvenendo.
Premetto che ritengo che una svalutazione della valuta NON sia foriera in maniera diretta di un miglioramento delle esportazioni e/o della bilancia commerciale; sono talmente tante le variabili in gioco quali la struttura economica del paese e la sua competitività generale, la sua collocazione logistica, l’elasticità della produzione così come l’elasticità della domanda dei paesi importatori, etc, che ci inducono ad affermare che non esiste una correlazione immediata fra svalutazione e incremento delle esportazioni e comunque qualsiasi variazione non è riscontrabile in tempi brevi. Ciononostante stiamo assistendo a iniziative dove ogni economia , grande o piccola che sia, sta cercando di migliorare il suo sistema economico anche attraverso il gioco delle valute.
USA
Bisogna dare atto che la reattività degli STATI UNITI D’AMERICA è stata, ancora una volta, superiore a quella di altri paesi. Il pragmatismo e la tenacia (ben tre QE) di Bernanke e Geithner, incuranti delle critiche, hanno saputo riportare il sistema bancario USA fuori dalla melma , favorendo nel frattempo una sostanziale ripresa dell’economia reale e ancor più degli indici delle Borse. C’è da dire che le grandi multinazionali americane (e anche diverse di medie dimensioni) affiancano attività finanziarie ai settori industriali (vedi GE, GM, Ford, Deere, IBM, Coca-Cola, etc); anch’esse subirono grossi problemi finanziari che col tempo e con l’aiuto della liquidità immessa dai QE sono riuscite a superare. E’ noto che, diversamente dal mondo europeo, le aziende USA difficilmente ricorrono al finanziamento bancario e preferiscono, a sostegno dei loro investimenti, emettere obbligazioni peraltro ben accettate dal mercato. Non bisogna dimenticare che, nello scenario post subprime un forte aiuto a tali aziende è venuto dall’economia dei PVS che praticamente non sono state toccati dallo tsunami finanziario ma hanno invece contribuito a tenerne a galla gli utili, in particolare per quelle imprese che avevano già localizzato la produzione sulle controllate estere. Caratteristica di tali controllate è quella di avere una elevata disponibilità di cassa a causa delle limitate fiscalità locali (le aziende americane generalmente consolidano un bilancio non ufficiale ma non fanno rientrare gli utili delle controllate sui quali pagherebbero le tasse).
I vari QE hanno avuto l’immediato effetto di rendere competitivo il dollaro nei confronti di altre valute e dell’euro in particolare; Cina e alcune economie del sud-est asiatico hanno costantemente mantenuto le loro valute allineate a quella americana; il PIL cinese girava sul 10% annuo quando scoppiò lo scandalo Lehman contro lo “scarno” 7% odierno e Corea e sud-est asiatico consuntivavano ogni anno positivi miglioramenti nelle loro economie. Giappone ed Europa gradualmente cominciarono a subire le conseguenze della svalutazione della moneta americana. In tale frangente alcuni economisti cominciarono a porre in enfasi che tale situazione avrebbe portato nel tempo ad una guerra delle valute, evento in cui le più importanti economie si stanno dibattendo in questo momento.
EUROPA
Quando si parla di EUROPA non si può evitare di evidenziare il forte condizionamento della politica tedesca (economica e geopolitica); alla Gran Bretagna si può ipotizzare che le è stato assegnato il ruolo di “sentinella” della scacchiera EU, mirato ad evitare eccessive deviazioni dalle guidelines ( ovviamente mai scritte !!!) del sistema Europa occidentale. Una delle suddette guidelines è stata ribadita di recente alla Germania:” non è gradito un eccessivo avvicinamento alla Russia”, quando si sono accorti che un ormai accertato flirt rischiava di diventare un forte legame !!!!! Avrete notato che la Merkel è passata, o meglio è dovuta passare, da una fase di marcate proteste alla decisione di introdurre sanzioni penalizzanti alla Russia ad una seconda fase di completo allineamento. Naturalmente si è progressivamente sviluppata la crisi militare e poi economica nei rapporti Russia-occidente, acuita infine dal drastico calo (voluto o non voluto) del prezzo del petrolio. In ambito europeo, la Francia ha cercato qualche velleità di inutile protagonismo quando era sulla scena il ballerino Sarkozy, poi è tornata al suo ruolo ormai naturale di un paese in pericolo di decadenza.
L’Europa non ha saputo reagire con immediatezza all’iniziative USA, o meglio non ha voluto reagire perché ogni decisione in tal senso doveva essere avallata dalla Germania. Lo strano contesto della “fortezza Europa” è caratterizzato dal fatto che, con l’entrata dell’euro, l’economia tedesca si è trovata ad operare con un “marco virtuale”(leggasi euro) svalutato del 25/30% rispetto al marco pre-euro, il che gli ha permesso di sviluppare una bilancia commerciale enormemente positiva (€ 200 miliardi nel 2013 e con previsioni in aumento nei primi mesi del 2014) , decisamente superiore ai limiti che la EU aveva fissato in rapporto al Pil (6%), ma che la EU stessa non ha mai avuto il coraggio di contestare al governo tedesco. Il 57% delle esportazioni tedesche è nell’area EU (dati 2013 ma la % è aumentata nei primi mesi 2014), il 12% nell’area Europa extra euro (incluse Russia e Turchia), il 16% in Asia dove la Cina fa la parte del leone, 12% in USA (BMW, Audi e Mercedes in particolare), 2% in Africa , 1% in Australia/Oceania (le ultime tre ormai terra di conquista della Cina). Se andiamo ad approfondire i segmenti di prodotto più importanti nel portafoglio esportazioni tedesco troviamo naturalmente automobili e poi macchinari e meccanica, chimica, prodotti elettronici, prodotti del “bianco”,etc. Con questo non è assolutamente da sottovalutare che i prodotti tedeschi sono di buona qualità e hanno una eccellente immagine. Ma la storia insegna che non si può vivere di sola immagine e non ci si può sedere sugli allori !!!! L’Europa sta allontanandosi dalla ricerca ed è sempre meno innovativa, mentre USA e a ruota il Giappone (quest’ultimo per necessità di sopravvivenza) rimangono all’avanguardia in ogni settore in sviluppo (biomedica ebiotech , robotica, diagnostica medica, vettura elettrica e driverless, electronics e information thecnology, etc) e proprio quest’ultima negli anni dovrebbe teoricamente ridurre la necessità di mobilità degli individui. Una menzione a parte nel campo della ricerca la merita la Corea.
Viene subito evidente il fatto che i tedeschi, con il 70% delle loro esportazioni in Europa, non hanno nessuna intenzione a cambiare la situazione all’interno della “fortezza” che qualche sprovveduto, per la paura che ancora suscita una Germania unita, gli ha creato intorno con la formazione dell’EU e l’introduzione dell’euro. Ma gli sprovveduti non sono solo quelli che allora vollero l’euro senza emettere anche le regole fiscali, commerciali e sociali; anche oggi, senza far nomi, c’è una sfilza di francesi, portoghesi, finlandesi, lussemburghesi , italiani, etc (non me ne vogliate se ho dimenticato qualcuno) che hanno fatto a gara negli ultimi anni (e anche di recente) a chi era più sprovveduto. La significativa svalutazione dell’euro nei confronti del “marco pre-euro”ha permesso alla Germania di essere competitiva sullo scenario internazionale, inclusa la Cina, forte anche dell’immagine di alcuni suoi prodotti spesso a scapito di altrettanti validi prodotti di matrice giapponese o coreana .In aggiunta è stata adottata in ambito EU una politica di austerity che non ha fatto altro che favorire il divario economico e delle bilance commerciali fra i paesi appartenenti alla EU stessa. Ma ciò che è importante far notare è che nella classifica dei paesi esportatori mondiali (al netto dei prodotti energetici) l’Europa ha due campioni, la Germania ( al secondo posto dietro la Cina) e l’Italia ( al quinto posto dietro Corea e Giappone e prima del Brasile) e, in secondo luogo che la politica dell’austerity ha annichilito la domanda interna dei paesi periferici , domanda che hanno difficoltà a rivitalizzare per il già forte indebitamento. Il paradosso è quindi quello che in pratica non ci sarebbe bisogno di svalutare l’euro nei confronti del $ e delle altre valute per agevolare l’esportazione (tutto poi da dimostrare come ho già accennato) ma basterebbe un maggiore equilibrio negli scambi commerciali all’interno dell’area EU e la Germania dovrebbe essere la prima a trainare una ripresa dei consumi interni. E’ ovvio che un euro forte teoricamente ostacola le esportazioni degli altri 27 paesi europei, tiene bassa l’inflazione e tende ad aumentare il valore reale dei debiti pubblici. In compenso un euro forte agevola l’importazione dei prodotti energetici e delle materie prime prezzate in dollari. Trincerandosi dietro la politica dell’austerity i teutonici continuano a soffocare le economie dei paesi più indebitati dell’area euro, amplificandone i problemi e creando nuova disoccupazione. Solo recentemente si sono resi conto che con il calo dei redditi dei paesi periferici stanno calando anche le loro esportazioni , ma la loro radicata paura di innalzare l’inflazione li porta a contrastare qualsiasi iniziativa potenzialmente inflattiva.
Forte nel suo castello, la Germania, come sopra detto, ha realizzato interessanti risultati esportando sempre più nei mercati asiatici mettendosi in concorrenza in particolare con Giappone, Corea e altri paesi del sud-est asiatico dove è anche significativa la presenza delle multinazionali americane.
GIAPPONE
Il GIAPPONE in particolare ha gli stessi prodotti esportati dai tedeschi, ottima tecnologia e qualità e dopo anni di inedia e con un terremoto/tsunami sulle spalle che ha causata un’esplosione dell’importazione di prodotti energetici per compensare la chiusura delle fonti nucleari, prima di morire del tutto, ha lanciato il piano Abenomics per favorire le esportazioni delle proprie industrie svalutando lo Yen e creare, se ci riesce, un po’ di inflazione. Ma il vero problema del Giappone è la Cina che forte di un renminbi sottovalutato, di un basso costo del lavoro e un dumping praticamente incontrollabile, ha mire di dominio in tutto il sud-est asiatico, come commenterò più tardi. La sua unica difesa era quella di svalutare lo Yen e di aiutare il suo sistema bancario e industriale verso l’esportazione di beni cercando nel frattempo di svegliare un po’ la domanda interna condizionata peraltro da un continuo invecchiamento della popolazione. Nei programmi del Sol Levante figurano anche maggiori investimenti nella difesa, naturalmente con l’accordo USA che condivide la preoccupazione dell’espansione cinese.
LA YELLEN
Anche la YELLEN, dal canto suo, ha bisogno da una parte di portare un po’ di inflazione in casa per ammorbidire il debito americano ( mossa ad alto rischio con un’economia che dà senz’altro segni di ripresa ma che non convince del tutto, essendo ancora instabile il mondo del lavoro e il comparto immobiliare); dall’altra non può accettare una eccessiva rivalutazione del dollaro. Un altro segnale di instabilità viene dal fatto che in USA sono tornati i mutui facili sia sull’acquisto di case e di automobili (per non parlare dell’elevato credito concesso agli studenti) cosi come nell’innalzamento dei plafond nel credito. D’altra parte anche i continui segnali OCSE sul rallentamento dell’economia globale non possono passare inosservati. A margine occorre segnalare che con l’utilizzo dello shale oil gli USA sono passati di recente al primo posto come produttori di petrolio ( tralascio in questo momento di avventurarmi in discussioni sui costi di produzione/estrazione). Come giustamente ha detto la Yellen in occasione dell’ultimo FOMC, occorre avere pazienza ed avere una chiara visione dello scenario mondiale prima di prendere la decisione di aumentare i tassi.
DRAGHI
Germania o non Germania, DRAGHI, dopo molte dichiarazioni in proposito, ha deciso di intervenire per rendere più competitivo l’euro e facilitare le esportazioni dei paesi più critici dell’area euro (tutto da dimostrare!!); ha in questo momento la fortuna di non subire penalità sull’acquisto dei prodotti energetici con prezzi in forte calo sia per la diatriba Russia/Occidente per l’Ucraina sia per motivi impliciti al calo dell’economia globale e, non so fino a che punto ma comunque anch’esso determinante, dall’introduzione dello shale oil. Proviamo a immaginarci la rabbia e le contestazioni dei teutonici verso Draghi , se, con la diminuzione del rapporto €/$, il prezzo del petrolio fosse rimasto a $ 90/100 al barile!!!!!
Teoricamente, data la parità dell’euro, non dovrebbe cambiare niente nei rapporti commerciali all’interno dell’area euro; in realtà un eventuale graduale aumento dei margini delle aziende dei paesi periferici EU potrebbe, nel tempo, dare un minimo di fiato alle esportazioni nei paesi legati al dollaro e in quelli extra-euro; un ipotetico e sperabile aumento dei volumi produttivi potrebbe creare una spirale virtuosa di progressiva maggiore competitività (ma per me siamo nel campo delle sottigliezze !!). Per quanto riguarda il nostro paese ( che ha subito benefici ma anche disgrazie dall’introduzione dell’euro ) non illudiamoci di prevedere sensibili miglioramenti , specialmente nel breve termine, mentre è auspicabile che Renzi, nel frattempo, sia veramente capace, caparbio e cattivo nel portare avanti le riforme annunciate. Il male del nostro paese è all’interno e lo sappiamo bene; per noi italiani non c’è svalutazione che tenga e non speriamo che il tanto famigerato QE all’europea abbia sensibili effetti sull’economia reale !!!!!
CINA
La CINA non è stata a guardare; ferma restando la più o meno stretta coniugazione dello Yuan con il dollaro, ha ridotto i tassi del credito immettendo sul mercato abbondanza di cassa per un sistema bancario (incluse le shadow banks) che annovera ormai un’alta percentuale di incagli e sofferenze sui crediti a bilancio. La bilancia commerciale cinese continua ad essere decisamente positiva, anche se dobbiamo considerare che una buona parte delle esportazioni sono prodotti che le multinazionali USA hanno localizzato in Cina per contenere i costi e che vengono poi assorbite nel mercato statunitense. Ma ciò che è importante notare nella strategia cinese è la volontà di affermare la valuta locale (renminbi) come alternativa al $ nelle transazioni commerciali e finanziarie; si sta concentrando in questo momento nel sud-est asiatico e in Russia e in tali aree sta impostando un ambizioso piano di infrastrutture logistiche per facilitare il commercio e la mobilità (la via della seta). Non ha più interesse a prendere due spiccioli dalle cedole dei titoli USA, ha possibilità di un ritorno degli investimenti ben più alto creando un’area asiatica di enormi dimensioni praticamente sotto il proprio controllo commerciale, facendosi forte di una capacità produttiva decisamente sovra dimensionata in ogni campo, dall’immobiliare alla costruzione di infrastrutture per non parlare della parte industriale. Importante aggiungere che in tutti questi anni di connubio con le aziende occidentali , giapponesi e coreane, le controparti cinesi hanno assimilato tecnologie sia di prodotto che di processo e cominciano ad avere una certa indipendenza per affrontare i mercati in chiave autonoma.
PVS E COREA
I PVS hanno avuto una fase critica quando, con l’annuncio del tapering e di un aumento dei tassi di interesse da parte della FED, si generò un forte deflusso dei capitali in previsione di un aumento del dollaro e quindi svalutazione delle valute locali che, come politica monetaria, tendevano a seguire il dollaro stesso. Per il momento il problema sembra rientrato, qualcuno ha aumentato i tassi sulle obbligazioni e la situazione sembrerebbe normalizzata, ma il pericolo di ulteriori svalutazioni non è affatto scongiurato. Nell’ambito delle valute orientali, la valuta australiana gioca un ruolo a parte, essendo molto dipendente dall’umore dell’economia cinese. Forte invece la valuta coreana che rispecchia l’economia di un paese in continua ascesa , con parametri finanziari invidiabili e con campioni industriali di prima qualità come Samsung , LG e Hyundai/Kia ( secondo produttore mondiale di auto dopo Toyota). Quanto al renminbi continua il suo saliscendi con il $ oscillando fra 6 e 6,2 (ultimamente dopo l’annuncio del futuro aumento dei tassi da parte della Yellen sta tornando vero i valori più alti), ma sono, secondo me, considerazioni che lasciano il tempo che trovano, data la presso che assoluta autonomia di agire in dumping da parte dei cinesi.
CONCLUSIONI
In conclusione ognuno si è mosso. Rimane fuori per il momento la RUSSIA che sta attraversando una congiuntura tutta particolare: con la svalutazione del rublo rispetto al dollaro vede teoricamente aumentare il valore delle sue riserve, anche se parte delle stesse è impiegata per sostenere il rublo ,ma questo fa parte di un altro discorso. Rimane il fatto che l’Europa ha dannatamente bisogno della Russia come la Russia dell’Europa.
Dato che nessuno, a livello globale, vorrà mollare l’osso, penso che fino a che i vari attori non troveranno un minimo di accordo (e in questo gioco sta assumendo sempre più importanza anche il ruolo del prezzo del petrolio), continueremo a vedere sensibili iniziative a difesa delle singole valute con conseguenti oscillazioni delle stesse.
D’altra parte se emergesse una concreta ripresa dell’economia globale, solo in tal caso nel prossimo futuro potremo rivedere una fase di stabilizzazione con fasce di oscillazione delle valute più contenute.
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Paolo 41