La BCE ci illustra la giusta strada per la ripresa economica
Non vogliamo certo fare terrorismo ma semplicemente sbattere in faccia alla gente le cose come stanno.
Alla faccia di chi parla di inversione e di ripresa economica. L’ISTAT mi sembra fin troppo esplicita a questo proposito.
Dal 2007 al 2012 il numero di individui in poverta’ assoluta in Italia e’ raddoppiato, passando da 2,4 a 4,8 milioni. (…) Nel primo semestre del 2013, secondo l’Istat il 17% delle famiglie dichiara di aver diminuito la quantita’ di generi alimentari acquistati e di aver scelto prodotti di qualita’ inferiore, 1,6% in piu’ rispetto allo stesso periodo del 2012 e 4,9% in piu’ dei primi sei mesi del 2011. (Source)
E ancora…
Una famiglia italiana su cinque ‘galleggia’ ed e’ costretta a spendere tutto il proprio reddito, mentre quasi una su tre deve intaccare i propri risparmi per tirare avanti. Il dato emerge dalla ricerca curata da Ipsos per Acri in occasione dell’89esima Giornata mondiale del risparmio.
E questo significherebbe “fine della recessione”? Siamo in piena crisi e se arriva un imprevisto..
(…) Una famiglia su 5 (il 20%) dice che non riuscirebbe a far fronte a una spesa imprevista di 1.000 euro con risorse proprie e il 4% non lo sa. Se la spesa imprevista fosse maggiore, ipotizzando 10.000 euro (ossia un furto d’auto, una complessa operazione dentistica, la sistemazione di un tetto o una cartella esattoriale non attesa), meno di una famiglia su 3 (31%) potrebbe farvi fronte con le sole proprie forze.
Non so se vi rendete conto della gravità di questa analisi. Significa che la maggior parte delle famiglie italiane sono al limite della sussistenza e basta un imprevisto non preventivabile ovviamente, per far saltare il bilancio famigliare. Ma ormai la gente, in preda alla disperazione inizia a capire…
(…) A definire assai grave la crisi e’ il 91% degli italiani e per 3 su 4 ci vorranno almeno altri 3-4 per tornare a vedere la luce. Per uno su 3 ci vorranno addirittura tra i 5 e i 10 anni per ritrovare i livelli di benessere precedenti. (…) Intanto, piu’ si accumulano anni di crisi e piu’ famiglie vengono colpite: indirettamente le difficolta’ sono arrivate nel 40% delle case, in generale per la perdita del lavoro (20%) o per il peggioramento delle condizioni dello stesso (il 15% contro il 9% del 2012), ma c’e’ anche chi non viene pagato con regolarita’ (3%) e chi ha dovuto cambiare occupazione (4%). Le famiglie colpite direttamente, ossia nei percettori di reddito del nucleo familiare, sono invece il 30%, con un incremento di 4 punti percentuali rispetto al 2012 (erano il 26%).
Questi dati sono di per se molto significativi. Vuol dire che in un modo o nell’altro, 4 famiglie su 10 hanno cambiato qualcosa nella loro vita a causa della crisi. Quindi gli effetti a livello sociale sono per forza di cose enormi e da non sottovalutare
A fronte di oltre 40 milioni di italiani che registrano un peggioramento della propria situazione economica circa 1 milione di italiani sta meglio di prima. (…) Ma soprattutto sono i giovani (18-30 anni) a perdere la carica: tra loro gli ottimisti sono scesi in un anno dal 24% al 4%. Un vistoso ritorno di sfiducia riguarda il Paese nel suo insieme: meno di un italiano su 4 e’ fiducioso sul futuro dell’Italia (24%), 1 su 2 e’ sfiduciato (47%), il 24% ritiene che la situazione rimarra’ inalterata, il 5% non sa cosa pensare. Gli sfiduciati sopravanzano quindi di 23 punti percentuali i fiduciosi, contro gli appena cinque punti di gap del 2012. (Source)
Sono dati pensantissimi che devono farci capire che la situazione (sentiment a parte, che è ovviamente la proiezione futura della dura realtà attuale) è decisamente complessa nel presente e che, per riprendere la tendenza, occorre cambiare. Ma il cambiamento deve essere “epocale” e non mi va certo di rompervi le scatole con le solite storie con le quali ormai vi avrò annoiato. Però…cari lettori c’è un però.
Per fortuna che qualcuno sopra di noi la sa lunga e ci disegna la strada per uscire dalla crisi. E quel qualcuno non è Iddio, per carità, fosse lui, ma la BCE nella persona di Allen Mattich che sul WSJ Moneybeat scrive:
“Nessun altro Paese dell’eurozona meglio dell’Italia mette in evidenza le difficoltà che affronta la Bce, la debole domanda interna rimane un freno per il resto dell’Italia imprenditoriale. Per di più, una brutta demografia e una politica “tossica” rendono difficile rafforzare l’economia italiana. (…) Ma l’economia italiana si dibatte in un problema ancora più fondamentale: la popolazione del Paese invecchia sempre più. L’Italia è seconda solo al Giappone per l’età media della propria popolazione. Secondo alcuni economisti la demografia del Giappone è sostanzialmente il motivo dietro alla sua lotta ventennale con la deflazione e la bassa crescita economica. Se ciò è corretto allora la Bce affronta una simile battaglia perdente in Italia, a meno che non possa in qualche modo incoraggiare gli italiani ad aumentare l’immigrazione nel breve termine e a fare più bambini nel lungo termine”. (Source)
Ecco quindi la soluzione! La demografia! Aumentiamo l’arrivo di profughi a Lampedusa o magari facciamoci proprio un’autostrada dalla Tunisia! E poi…via! Viagra come piovesse!
Ora, scherzi a parte, vi sembra che così risolviamo i probliemi dell’Italia? La Natalità è una problematica da affrontare, ma nel breve credo ci siano criticità ben più urgenti e determinanti.
Per farla breve, occorre mettere urgentemente in atto delle riforme strutturali invasive ma necessarie. O rianimiamo il paziente prima che sia veramente troppo tardi o lo perdiamo. Altro che fargli fare figli….
STAY TUNED!
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Sono d’accordo. Putroppo è giunto il momento dove piangere sul latte versato (e se n’è versato una quantita inimmaginabile) è assolutamente inutile.
Bisogna fare un salto di mentalità, prendere atto della difficoltà del momento, lasciar perdere il passato, focalizzarsi sulle criticità e capire come e dove mettere le basi per poi ripartire.
La demografia è un aspetto fondamentale. Ma, immigrazione a parte, comporta a livello di incentivi esborsi che lo stato oggi non può permettersi.
Prima interveniamo sulla struttura, e poi anche sulla demografia
” A definire assai grave la crisi e’ il 91% degli italiani e per 3 su 4 ci vorranno almeno altri 3-4 per tornare a vedere la luce. Per uno su 3 ci vorranno addirittura tra i 5 e i 10 anni per ritrovare i livelli di benessere precedenti.”—- Forse interpreto male nel senso che chi lavora nella pubblica amministrazione come stipendio non se la passa male e non dovrebbero essere solo il restante 9% e pensare di ritrovare i livelli di benessere precedenti dobbiamo renderci conto che è un’ ILLUSIONE.
Il più grande e grave problema che ha il paese Italia attualmente è la sua competitività come sistema.
La grandissima parte delle imprese allocate in Italia, soggette alla competizione internazionale, non ce la fa, oppure per ben che vada fa sempre più fatica a sostenere la concorrenza in ogni settore.
La conseguenza è il ridimensionamento o la moria inarrestabile di imprese piccole, medie e grandi con il loro know-how fatto di risorse umane, la loro storia e il loro mercato più o meno vasto.
In cambio di tutto ciò nascono nuove imprese che, per ben che vada, possono avere ottime idee e belle speranze e magari anche qualche timido sostegno economico ma che di solito sono di modestissime dimensioni e certamente non tali da costituire un vero ricambio generazionale di quelle che, IMPUNEMENTE, si dice non sono state capaci di innovarsi e di investire.
Nel frattempo si insiste a dire che la spesa pubblica italiana praticamente non è possibile ridurla, o meglio si ammette che nessuna forza politica è in grado di incidere in modo significativo su di essa.
Per farla breve, vista la situazione, anche eventuali riforme strutturali draconiane, tali da sovvertire completamente la nostra Italia, ormai non hanno più il tempo per ridare competitività al sistema paese nel suo complesso.
Eh già.
Anche negli altri paesi, già adesso competitivi, non si sta certo con le mani in mano. In questi si parla tanto, si discute ma anche si decide e si fa, nel mentre il loro vantaggio competitivo aumenta ancora di più.
Per farla ancora più breve, prima del disastro finale, si salvi chi può e auguri.
” Per farla ancora più breve, prima del disastro finale, si salvi chi può e auguri.” Giusto ieri parlando con un rappresentante mi spiegava che l’azienda per cui lavora ha creato due linee per lo stesso prodotto. La nuova linea di prodotto e stata ” delocalizzata ” sempre in italia a 40/50 KM di distanza perchè la linea vecchia viene fornita a negozi a forte rischio chiusura. Non vorrei trovarmi nei panni di quei dipendenti ma il loro destino è già segnato e ringraziamo la burocrazia.
mettere urgentemente in atto delle riforme strutturali invasive ma necessarie.
COSA INTENDI PER INVASIVE ?
Che si dovrebbe invadere tutta la giungla di privilegi, commistioni, diritti acquisiti, compensi di manager poco facenti e nulla rischianti di cui l’amministrazione pubblica è stracolma, ecc ecc.
Mission però impossible.
Il si salvi chi può vale per coloro che mantengono ancora tutto questo
trasferire degli operai nella nuova fabbrica che dista 40/50 Km non sarebbe un grosso problema se il nuovo prodotto ha mercato. Il vero problema che ha avuto il coraggio o la sventura (mi auguro il contrario) di fare un nuovo investimento in Italia anziché in paesi più organizzati e più competitivi…. comunque fornire, in questo momento, a clienti che hanno la potenzialità di non pagare è da prendere con le molle….
Mi sono spiegato male. Da quello che ho capito non si tratta di trasferire ( tutti ) i dipendenti ma di lasciarne a casa. Il prodotto è uguale, gli si è cambiato nome e azienda di riferimento con relativo magazzino di stoccaggio. I prodotti della linea ” nuova ” viene offerta su scala maggiore mentre la linea “vecchia” e più conosciuta è riservata ai negozi specifici che sono per la loro tipologia a rischio chiusura. Il tutto sembra non aver senso è che bisognerebbe capire quanto sia sovradimensionata la struttura precedente ed eventualmente la situazione finanziaria ( sicuramente deteriorata ).
a che servirebbe far figli se poi questi ultimi rimangono senza lavoro e senza fonti di reddito? l’invecchiamento della popolazione in Italia è un effetto del problema non la causa…così come le statistiche sui laureati Italiani sempre troppo pochi numericamente…ma perchè la laurea in Italia non serve a nulla…non è la mancanza di laureati a creare disoccupazione, è l’assenza di lavoro a rendere inutili scuole e università…è non è un problema di crisi guardate: è che al denaro non piacciono gli stupidi e presto o tardi trova sempre un modo per allontanarsi da loro, come recita un famoso adagio…e gli italiani, visto che dobbiamo sbattere le cose in faccia, sono un popolo di stupidi, stupidi e ignoranti! Basta vedere come votano, chi siede in parlamento…le famiglie non possono far fronte agli imprevisti? ovvio, se butti i soldi per viaggi, feste nuziali inutili, macchine, cellulari (i miei amici ne cambiano 3-4 all’anno, non sto scherzando), vestiti supercostosi, arredamenti inutili e poi se ti accolli il mutuo pari al 70% delle tue entrate (magari anche a tasso variabile), come fai a fronteggiare imprevisti? molte imprese chiudono? beh se hai imprese che sopravvivono solo grazie alle linee di credito è ovvio che quando le banche chiudono i rubinetti le imprese sono virtualmente morte…lo so sono cose banali, ma la realtà a volte è banale, anzi spesso…
Certo che nel breve le criticità sono altre, ma anche il benaltrismo in questo Paese ha fatto parecchi danni. Avessimo seguito le politiche demografiche adottate in Francia, oggi avremmo qualche ventenne in più e meno problemi nel pagare le pensioni.
Se invece di ripetere che ci vogliono oltre 10 anni per costruire una centrale nucleare, le avessimo costruite a suo tempo, guarda caso come la Francia, forse Alcoa non avrebbe abbandonato il nostro Paese, e potrei continuare con altri esempi.
Quindi concordo con te che ci vorrebbero delle operazioni shock nel breve (tagliare la spesa?), ma uscendo dalla politica dell’emergenza, il cacciavite, e guardare anche al di là della punta del nostro naso.