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Italia: crescita zero in tempi di austerity
In un momento di profonda difficoltà per l’Europa, per l’Euro e per i paesi membri dell’Unione Europea, occorre fare i conti anche con una latente crescita economica che colpisce l’economia non solo Europea.
E purtroppo questa cosa, la crescita economica, ormai non è più di casa qui da noi, in Italia.
Il rapporto annuale di BANKITALIA parla chiaro:
Nel biennio 2008-09 il PIL è sceso in Italia di 6 punti e mezzo, quasi metà di tutta la crescita che si era avuta nei dieci anni precedenti. Il reddito
reale delle famiglie si è ridotto del 3,4 per cento, i loro consumi del 2,5. Le esportazioni sono cadute del 22 per cento. L’incertezza dilagante e il deteriorarsi delle prospettive della domanda hanno indotto le imprese a ridurre gli investimenti, scesi del 16 per cento. L’incidenza della Cassa integrazione guadagni sulle ore lavorate nell’industria è salita al 12 per cento alla fine del 2009. L’occupazione è diminuita dell’1,4 per cento; il numero di ore lavorate del 3,7. E i fallimenti di impresa nel 2009 sono lievitati sfiorando le 10.000 unità (Fonte: BANKITALIA http://www.bancaditalia.it/ )
A questi dati possiamo ancora aggiungere i consumi di beni durevoli, scesi del -3.7% ovvero del -10% in due anni, o ancora il capitolo dei redditi da proprietà, scesi di ben il 14.2% dai valori attuali. E poi ancora il calo dei consumi dei beni non durevoli, alimentari, bevande, semidurevoli e così via. E chi sicuramente ha influito molto negativamente è il calo dei redditi da lavoro, in forte calo, oltre che il calo logico degli utili derivanti da interessi netti, -43.4%, a causa di uno scenario di tassi bassi in tutto il mondo.
Ma proprio di questi importantissimi dati ha parlato il Governatore Draghi nel suo ultimo intervento scaricabile direttamente sul sito della Banca d’Italia , un intervento sempre equilibrato e valido, proprio come il Governatore ha dimostrato di essere, dove i parla anche della crisi europea, economica e della problematica di competitività, crescita, banche e quant’altro.
E ovviamente anche di ratio UE:
La struttura finanziaria dell’Italia presenta molti punti di forza. La ricchezza accumulata dalle famiglie è pari, al netto dei debiti, a quasi 2 volte
il PIL nella sola componente finanziaria, a circa 5 volte e mezzo includendo le proprietà immobiliari, livelli fra i più alti nell’area dell’euro. Sempre in rapporto al PIL, i debiti delle famiglie sono fra i più bassi dell’area, quelli delle imprese sono inferiori alla media. Il debito netto verso l’estero dell’intera economia può essere stimato al 15 per cento del PIL, fra i valori più bassi nell’area, escludendo la Germania che ha una forte posizione creditoria. Il rapporto tra debito pubblico e PIL era diminuito di 18 punti percentuali tra il 1994 e il 2007. In questo biennio di recessione è aumentato di 12 punti, al 115,8 per cento. Nelle nuove condizioni di mercato era inevitabile agire, anche se le restrizioni di bilancio incidono sulle prospettive di ripresa a breve dell’economia italiana.
Il problema debito pubblico Italia
Si va quindi a confermare quanto più volte detto su questo blog: gli italiani hanno la fortuna di essere molto formiche e poco cicale. I nostri risparmi sono una pietra angolare per la sussistenza, e il basso debito privato un indice di buon senso e di sostenibilità per il futuro.
Ovviamente, oltre a questi dati positivi che BISOGNA non dimenticare e che ci mettono in una posizione “privilegiata” rispetto a nostri colleghi europei, ci sono le arcinote questioni negative: il debito pubblico in primis, vero cruccio di Tremonti e di chiunque fosse al suo posto, ma anche la produttività della nostra economia, crollata verticalmente, produttività che deve essere assolutamente ri-stimolata. Non dimentichiamo mai che un elemento necessario per rinvigorire i famosi ratio Deficit/PIL e Debito Pubblico /PIL è proprio ridare energia al PIL.
Fonte: http://www.dt.tesoro.it/it/debito_pubblico/
Nei dieci anni precedenti la crisi, la produttività di un’ora lavorata è salita del 3 per cento in Italia, del 14 nell’area dell’euro. Negli stessi anni l’economia italiana è cresciuta del 15 per cento, contro il 25 dei paesi dell’area. Il tasso di occupazione degli italiani resta basso, 57 per cento nel 2009, 7 punti meno che nell’area; il divario è più ampio per i giovani e raggiunge 12 punti per le donne.
In molte altre occasioni abbiamo affrontato il tema delle riforme strutturali. La crisi le rende più urgenti: la caduta del prodotto accresce l’onere
per il finanziamento dell’amministrazione pubblica; i costi dell’evasione fiscale e della corruzione divengono ancora più insopportabili; la stagnazione distrugge capitale umano, soprattutto tra i giovani.
Giusto, caro Governatore, riforme strutturali, solo che ora occorre passare ai fatti e non inondarci come sempre di parole. Tutto può essere fatto, ma ci vuole impegno e coscienza del fatto che bisognerà fare dei sacrifici. AUSTERITY. Ma il momento è troppo importante. Se non si interviene in modo serio, anche a costo di sacrifici, semplicemente si affonda. E poi ovviamente lotta all’evasione, ottimizzazione delle risorse e federalismo fiscale.
Ora la nave è in preda alla tempesta, ma ancora regge. Ma non reggerà all’infinito.
Disoccupazione giovanile: bisogna intervenire!
Infine un’ultima nota sulla disoccupazione giovanile, ovvero il futuro:
La crisi ha acuito il disagio dei giovani nel mercato del lavoro. Nella fascia di età tra 20 e 34 anni la disoccupazione ha raggiunto il 13 per cento
nella media del 2009. La riduzione rispetto al 2008 della quota di occupati fra i giovani è stata quasi sette volte quella osservata fra i più anziani. Hanno pesato sia la maggiore diffusione fra i giovani dei contratti di lavoro a termine sia la contrazione delle nuove assunzioni, del 20 per cento. Da tempo vanno ampliandosi in Italia le differenze di condizione lavorativa tra le nuove generazioni e quelle che le hanno precedute, a sfavore delle prime. I salari di ingresso in termini reali ristagnano da quindici anni.
Una ripresa lenta accresce la probabilità di una disoccupazione persistente.
Questa condizione, specie se vissuta nelle fasi iniziali della carriera lavorativa, tende ad associarsi a retribuzioni successive permanentemente più basse. La riforma del mercato del lavoro va completata, superando le segmentazioni e stimolando la partecipazione. I giovani non possono da soli far fronte agli oneri crescenti di una popolazione che invecchia. Né sarà sufficiente l’apporto dei lavoratori stranieri. Solo 36 italiani su 100 di età compresa tra 55 e 64 anni sono occupati, contro 46 nella media europea, 56 in Germania.
Una lettura molto critica dei numeri di Draghi
Mi è successo di leggere proprio stanotte un’articolo molto critico sui numeri di Draghi e sulla sua valenza. CLICCATE QUI per poterlo visionare. Si tratta di un post scritto dalla Scuola Austriaca, un’autorevole e valido punto di vista che merita di essere comunque preso in considerazione. A parte questa visione critica, credo sia giusto incrociare le dita e quantomeno fare gli auguri….
Buon lavoro. Di cose da fare ce ne sono tante. Ma occorre l’impegno di tutti.
In primis di voi, governanti, ma anche di noi, contribuenti che spesso e volentieri siamo maltrattati dalle vs riforme e dalle vs idee farlocche. Questa volta però la posta in gioco è enorme. E questa posta si chiama FUTURO.
STAY TUNED!
DT
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