FOCUS: il premio al rischio ed il decennio perduto dei mercati

Scritto il alle 14:15 da Danilo DT

Che cos’è il premio al rischio? Come si spiega il cambiamento di segno registrato nel corso dell’ultimo decennio? 

Buongiorno a tutti!

Ennesima puntata della “piccola partnership” (non di tipo commerciale, ci tengo a sottolinearlo) con una casa d’investimento (AnimaSgr) con un approfondimento di indubbio interesse.
Tengo inoltre a precisare che questo video è dedicato soprattutto agli investitori magari non super professionisti, ma è anche interessante per coloro che sono più “navigati”. Piccola nota: il video è stato creato qualche giorno fa ma ritengo sia sempre valido.
Ovviamente sarò ben lieto di leggere i Vs feedback su questa iniziativa. Vi lascio al video e alla sua trascrizione. Buona visione!

http://www.youtube.com/watch?v=dWsUwNivTNM

Che cos’è il premio al rischio?

Gli economisti chiamano “premio al rischio” l’eccesso di rendimento delle azioni rispetto a quello dei titoli di stato (che erano invece considerati privi di rischio, fino a poco tempo fa). Il “premio al rischio” è la remunerazione aggiuntiva che gli investitori richiedono per sopportare il maggiore rischio azionario. Normalmente, più elevata è la rischiosità, più elevato è anche il rendimento richiesto dagli investitori. È quindi ragionevole aspettarsi che tra rischio e “premio al rischio” vi sia una relazione di proporzionalità.

Tuttavia a metà degli anni ’80 due economisti dell’Università della California (Mehra e Prescott) avevano verificato che il “premio al rischio” delle azioni sui titoli di stato appariva troppo elevato rispetto alla rischiosità che avrebbe dovuto compensare.
Secondo i loro calcoli, infatti le azioni avevano reso, nella media dei 110 anni precedenti, circa l’8% all’anno mentre il rendimento reale dei titoli di stato (depurato cioè dell’inflazione) era stato solo dell’1% all’anno. I 7 punti percentuali di differenza erano il “premio al rischio” richiesto sugli investimenti azionari; tuttavia questo “premio al rischio” appariva troppo alto perché si confrontava con una rischiosità annua media dell’investimento di quasi 50 volte inferiore. Poiché una proporzione così esagerata tra rendimento e rischio era incompatibile con qualunque parametro sensato di “avversione al rischio” degli investitori, Mehra e Prescott si trovarono di fronte ad un “puzzle” irrisolvibile.

Da quel momento in poi, l’eccesso di rendimento delle azioni sui titoli di stato è stato chiamato equity risk premium puzzle, un premio al rischio su cu tutti hanno continuato a fare affidamento ma che, a un certo punto, è misteriosamente scomparso. Infatti, tra il 2000 ed il 2011, in tutti i paesi industrializzati la performance media annua delle azioni è stata dai 4 agli 8 punti percentuali al di sotto (anziché al di sopra) del rendimento dei titoli di stato. Nell’ultimo decennio, il segno dell’equity risk premium si è cioè rovesciato da positivo a negativo. Smentendo un paradigma ormai consolidato, chi dieci anni fa aveva puntato sulle azioni ha alla fine ottenuto rendimenti inferiori alle obbligazioni, perfino nel lungo periodo.

Come si spiega il cambiamento di segno registrato nel corso dell’ultimo decennio?

Diversi fattori fondamentali contribuiscono a spiegare il decennio perduto, in termini di rendimenti azionari, degli anni 2000.
In primo luogo, le quotazioni azionarie erano arrivate alle soglie del 2000 gonfiate a dismisura dall'”esuberanza irrazionale” dei mercati: da quei livelli estremi, hanno imboccato un trend secolare di ridimensionamento.
Negli ultimi anni, poi l’espansione del reddito è stata alimentata da una successione di “bolle” finanziarie che sono sistematicamente scoppiate, lasciando nei bilanci di banche, imprese e famiglie ferite che richiedono molto tempo per rimarginarsi. Inoltre anche l’esaurimento dell’onda demografica degli anni ’50 e ’60 va nella stessa direzione: l’inesorabile invecchiamento spinge infatti la generazione dei baby-boomers a risparmiare meno, a disinvestire i propri portafogli azionari e a rifugiarsi nelle più stabili obbligazioni.

L’assenza dell’equity risk premium nel decennio scorso, d’altra parte, non è un caso così eccezionale: si è verificata anche negli anni Trenta e negli anni Settanta, anche se non con l’intensità dell’ultimo decennio. Anche il lungo periodo insomma ha le sue varianti e se non è scontato che nel lungo termine i rendimenti azionari saranno necessariamente superiori a quelli obbligazionari, perché non vi è alcuna legge di natura che lo garantisca, non dobbiamo neppure credere il contrario. Di certo, ai consulenti finanziari e ai gestori di portafoglio è assegnato il compito impegnativo di aiutare le persone a raggiungere i propri obiettivi finanziari, con o senza equity risk premium.

Stay Tuned!

DT

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