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EXIT STRATEGY post Covid 19: non sarà un percorso facile
La Banca dei Regolamenti Internazionali (BRI) è considerate la “banca centrale delle banche centrali”. Un organismo teoricamente super partes che in passato ha sempre fornito analisi equilibrate ed illuminanti. Quando escono dei report marchiati BRI, cerco sempre di andarmeli a vedere, anche per leggere il loro punto di vista.
Proprio in questi giorno ho avuto il piacere invece di leggere su Il Sole 24 Ore un’intervista, che qui vi ripropongo, al Capo Economista della stessa BRI, che è italiano e che ho avuto il piacere di conoscere un paio di anni fa a Milano. Si tratta di Claudio Borio. La sua intervista la ritengo molto interessante perchè i contenuti si agganciano a molti ragionamenti fatti qui sul blog nelle ultime settimane. Ecco perchè ho deciso di proporvela, da leggere e meditare.
Una ripresa diseguale ma relativamente ordinata, malgrado la persistenza di incertezze. Le prospettive disegnate dal rapporto annuale della Banca dei regolamenti internazionale di Basilea prevedono un’uscita lenta dalla crisi pandemica, senza nascondere però i rischi: l’inflazione, per esempio, ma anche il surriscaldamento dei prezzi delle azioni e delle case, già evidente. Soprattutto, sottolinea in un’intervista il responsabile del dipartimento economico e monetario Claudio Borio, occorre affrontare la ripresa con un’ottica di lungo periodo, per evitare conflitti tra le politiche economiche durante l’exit strategy.
Come si preannuncia la ripresa?
La ripresa sarà assai disomogenea e lenta. Le implicazioni dipenderanno molto da come evolveranno il mondo e l’economia, ed è per questo motivo che abbiamo elaborato tre scenari. Lo scenario centrale è quello del consensus delle previsioni degli analisti. È uno scenario relativamente favorevole, ma prevede comunque che alcuni Paesi, in particolare fra quelli emergenti (a parte la Cina, ovviamente) possano restare indietro rispetto ai paesi avanzati, specialmente a causa del ritardo nelle campagne di vaccinazione. Questi paesi avranno ancora qualche difficoltà, anche perché il loro spazio di manovra è limitato, ma in generale questo scenario di base è abbastanza benigno.
E gli altri scenari?
I due scenari alternativi sono più problematici, ma anche plausibili, e vanno quindi considerati nella definizione delle politiche. Nel primo, le cose potrebbero andare generalmente peggio delle attese, perché le autorità sono incapaci di controllare la pandemia, per esempio a causa delle varianti. In questo caso, le differenziazioni tra gruppi di paesi si riducono. Ma dal momento che i mercati emergenti sono già oggi in una situazione peggiore, soffrirebbero di più. Alcuni di loro potrebbero incontrare difficoltà notevoli, compresa, per i più deboli, la necessità di un aiuto esterno. Va comunque ricordato che le condizioni variano molto da un paese emergente all’altro.
Il terzo?
L’ultimo scenario, in cui la differenziazione tra paesi potrebbe invece essere più marcata, è quello in cui ci sono maggiori pressioni sull’inflazione, queste pressioni diventano troppo alte, troppo a lungo, e le condizioni sui mercati finanziari si inaspriscono. In questo caso le economie avanzate, alcune almeno, dovranno far fronte a pressioni inflazionistiche, ma in un quadro di crescita più favorevole – un problema, certo, ma un problema conosciuto. Saranno invece anche in questo caso i mercati emergenti ad incontrare le maggiori difficoltà. Da un lato, la crescita nelle economie avanzate sarà più elevata, e anche le economie emergenti ne trarranno beneficio. Dall’altro lato, le condizioni finanziarie si irrigidiranno, e per molte economie emergenti questi effetti supereranno gli eventuali benefici derivanti da una maggior crescita. In questo scenario ci saranno differenze anche fra le economie avanzate.
Le pressioni sull’inflazione sembrano in realtà dominare già oggi le analisi sull’andamento dell’economia. Qual è la vostra valutazione?
Quando pensiamo a un’inflazione troppo alta, troppo a lungo – e non è questo il nostro scenario centrale – pensiamo in particolare agli Stati Uniti, che è un paese cruciale, dove c’è stata un’enorme espansione fiscale. Un’inflazione più elevata negli Stati Uniti si accompagnerebbe a un irrigidimento delle condizioni finanziarie a livello globale. Altri paesi avanzati in cui l’inflazione è stata ostinatamente al di sotto dell’obiettivo potranno vedere di buon occhio un aumento dell’inflazione, poiché in questi paesi l’inflazione è già oggi molto più bassa che negli Stati Uniti. Inoltre, beneficerebbero degli effetti di una crescita più elevata. Un’inflazione più alta sarebbe anche l’effetto di un apprezzamento del dollaro e un deprezzamento della loro valuta. Sia dal lato della crescita che da quello del tasso di cambio ci sarebbe quindi un beneficio, ovviamente a condizione che l’inflazione non diventi troppo alta. Quel che potrebbe andare storto è che le ricadute finanziarie, in termini di contrazione delle condizioni finanziarie globali, si facciano sentire prima che la crescita diventi sufficientemente forte, perché in questo caso la contrazione sarebbe prematura e richiederebbe una risposta delle politiche in una situazione più delicata.
Un aumento così dirompente dell’inflazione è previsto solo dai vostri scenari alternativi?
Il nostro scenario di base contempla un aumento solo temporaneo dell’inflazione, e questo per diverse ragioni. Una buona parte è legata a effetti base, una buona parte al rimbalzo dei prezzi in alcuni settori che sono stati particolarmente colpiti dalla pandemia. Poi ci sono sicuramente strozzature globali sul lato dell’offerta, ma noi tendiamo a considerarle più come limiti di velocità: la domanda va così veloce che l’offerta non può tenere il passo. Nel tempo queste strozzature dovrebbero venire a meno, non sappiamo quando esattamente, ma dovrebbero essere superate. Infine alcune delle forze strutturali che hanno tenuto l’inflazione sotto controllo sono ancora presenti. La globalizzazione ha ancora fiato in corpo, e l’innovazione tecnologica è stata semmai accelerata dalla pandemia. Questi sono i motivi per cui noi pensiamo che l’aumento dell’inflazione sarà temporaneo: esattamente quanto durerà, non lo sappiamo.
Cosa potrebbe scatenare allora l’inflazione?
Lo scenario alternativo in cui vediamo aumenti potenzialmente più sostenuti e indesiderati dell’inflazione presuppone alcune condizioni. Innanzitutto, l’inflazione dovrebbe diventare più sensibile all’eccesso di capacità, ossia la curva di Phillips dovrebbe diventare meno piatta. Questo potrebbe verosimilmente accadere, soprattutto se le pressioni sulla domanda non riguardassero singoli paesi ma fossero globali: ci sarebbe meno spazio, per un singolo paese, per importare da un altro mantenendo così l’inflazione sotto controllo, perché ognuno avrebbe di fronte lo stesso problema. Un’altra condizione è che la componente retrospettica delle aspettative di inflazione diventi più forte, così che le aspettative si disancorino. In questo scenario, un’inflazione sufficientemente sostenuta potrebbe spaventare i mercati, inasprendo le condizioni finanziarie. Questo potrebbe accadere anche se alla fine il rialzo dell’inflazione si rielasse temporaneo.
C’è anche il timore di un surriscaldamento delle quotazioni. Quel è la vostra valutazione?
Le condizioni finanziarie sono state eccezionalmente accomodanti, tenuto conto di quello che è avvenuto nell’economia reale, e per un tempo molto lungo; e noi sappiamo che queste condizioni finanziarie incentivano l’assunzione di rischi, l’accumularsi di leverage e una forte crescita dei prezzi degli assets. Quando si guarda alle quotazioni finanziarie, appaiono sopravvalutate, anche se non in tutti i paesi: in generale è vero per le azioni e per il settore corporate, gli spread corporate e simili. Si vedono i tipici segnali di esuberanza. Queste vulnerabilità sul lato puramente finanziario hanno a che fare con quanto abbiamo visto a marzo 2020: le banche sono state finora una fonte di forza in questa crisi, mentre il settore finanziario non bancario, l’intermediazione market-based, no. Si sono viste numerose vulnerabilità, per esempio nei mutual funds, che sono sfociate in correzioni disordinate dei mercati, e hanno reso necessario il coinvolgimento diretto delle banche centrali sotto forma di iniezioni di liquidità, di acquisti di assets e così via. Queste vulnerabilità sussistono ancora e i membri del Fsb, fra cui anche la Bri, stanno esaminandole molto attentamente con l’intenzione di formulare proposte al riguardo. Archegos è stato probabilmente un campanello d’allarme: sotto la superficie c’era molto leverage, molto disallineamento delle liquidità. Sussiste il pericolo di un aggiustamento disordinato dei mercati finanziari.
E sui prezzi immobiliari? C’è anche qui una situazione preoccupante?
Sui prezzi immobiliari, e in particolare i prezzi delle case, che sono quelli che più contano dal punto di vista macroeconomico, la nostra Relazione economica annuale rileva che un aumento spropositato dei prezzi delle case nel medio termine tende ad accompagnarsi a una debolezza economica, soprattutto in presenza di una forte crescita del credito. In molti paesi si sono visti forti aumenti dei prezzi delle abitazioni e questo è un fenomeno che va monitorato con grande attenzione. In parte è il risultato di aspetti strutturali: le persone lavorano da casa, decidono di traslocare fuori città, e questo crea pressioni sui prezzi delle case. Nei mercati dei mutui abbiamo visto un minore deterioramento degli standard creditizi rispetto al periodo precedente la grande crisi finanziaria e questo è un fattore attenuante, ma gli aumenti sono stati comunque molto vigorosi. Un buon numero di rapporti sulla stabilità finanziaria delle banche centrali lo hanno notato come fonte di rischio, incluso nell’area euro. Alcuni paesi hanno già adottato misure macroprudenziali per contenere il rincaro delle abitazioni, fra cui Nuova Zelanda, Canada, i Paesi Bassi.
I programmi pandemici sono stati colossali. Sarà difficile uscirne?
Per quanto riguarda i programmi di sostegno fiscale e monetario, è ovviamente più facile avviarli che porvi fine. La normalizzazione richiederà tempo e c’è un equilibrio delicato da cogliere. Da una parte occorre essere sicuri di dare sostegno a sufficienza e da un’altra parte di non sbagliare dandone troppo. È per questo motivo che, per esempio, sottolineiamo la necessità che la politica fiscale diventi più mirata, in parte anche per favorire la necessaria riallocazione di risorse da quei settori le cui prospettive sono più deboli, come alcuni servizi, rispetto ai settori che hanno prospettive più promettenti, come alcuni settori tecnologici; e anche dalle aziende che vanno meno bene a quelle che vanno meglio. Entreremo in una fase di solvenza in cui sarà importante facilitare questo spostamento di risorse. Occorrerà evitare una proliferazione di quelle che sono chiamate le aziende zombie, non redditizie in modo persistente, perché questo potrebbe risultare in una capacità in eccesso e assorbirebbe troppe risorse, indebolendo la produttività.
Quali sono le caratteristiche di una via di uscita ottimale?
Bisogna normalizzare le politiche fiscali e monetarie, per recuperare margini di sicurezza, in una prospettiva di lungo termine. Sarà piuttosto difficile. Il lungo termine è più importante, perché la gente tende molto a focalizzarsi su cosa accadrà l’anno prossimo, o forse l’anno successivo, ma se non adottiamo una visione di più lungo periodo potremmo trovarci proprio dove non vorremmo. Come nella barzelletta del tizio che chiede indicazioni e si sente rispondere: “se fossi al suo posto, non partirei da qui”. Il rischio è concreto. Nella Relazione sottolineiamo il carattere assolutamente straordinario della situazione in cui ci troviamo. Il rapporto debito pubblico/PIL non è mai stato così alto, non solo in Italia, in tutto il mondo. Allo stesso tempo i tassi di interesse non sono mai stati così bassi. Neanche negli anni della grande inflazione i tassi reali sono stati negativi così a lungo. I bilanci delle banche centrali sono stati così grandi soltanto in periodo di guerra. L’onere del debito, paradossalmente, non è mai sembrato così leggero, ma tutto questo significa che lo spazio di manovra fiscale e lo spazio di manovra monetario si sono andati restringendo e sono alquanto limitati.
Sembra una situazione difficile da normalizzare…
Normalizzare è importante, sia per la politica di bilancio sia per la politica monetaria; è una questione di lungo termine, si inizierà quando le condizioni lo permetteranno, ma è importante mantenere questa visione di lungo periodo. Sappiamo quanto sia difficile normalizzare anche solo una di queste politiche, per ovvi motivi. Non ci troveremmo nelle condizioni attuali se non fosse così. Il fatto è che entrambe devono normalizzarsi e ciò è complicato perché attualmente le politiche sono interconnesse. Quando la politica monetaria si normalizzerà, dovrà alzare i tassi di interesse, questo renderà il compito del governo più grande e complicato. Quando la politica fiscale si normalizzerà, attraverso avanzi primari, la compressione della domanda richiederà tendenzialmente che la politica monetaria resti accomodante più a lungo. Questa situazione non è particolarmente agevole, non per la banca centrale che potrebbe trovarsi sotto pressione per non alzare i tassi perché così facendo si creerebbero problemi per l’economia, oppure perché, e sarebbe anche peggio, potrebbe subire delle pressioni politiche: nessun governo vuole vedere aumentare i propri costi di finanziamento. Per questo motivo è essenziale fare quanto possibile per salvaguardare l’indipendenza della politica monetaria.
Come si può rendere allora più agevole l’uscita dai programmi pandemici?
La sola via di uscita, come sottolineiamo nella Relazione, è aumentare la crescita. Ovviamente non attraverso un’espansione fiscale, o un’espansione monetaria, ma attraverso politiche strutturali continue e vigorose. Inoltre, sarebbero anche utili misure fiscali mirate e quindi una migliore composizione della spesa e un sistema fiscale più favorevole alla crescita.
Link all’articolo sopra riportato
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