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Boom industriale, flop occupazionale, crash degli stipendi
Gli articoli apparsi oggi sulla maggior parte dei quotidiani sono sicuramente bene auguranti per il futuro dell’economia italiana. In ogni dove si parla di grande ripresa.
Maggio: +26.6% gli ordini industriali. Mai così in alto dal 2005. Riparte la ripresa oppure è un rimbalzo legato ad raggiungimento di picchi minimi?
Gli ordinativi dell’industria, a maggio, sono cresciuti del 3,2% congiunturale e del 26,6% tendenziale, record assoluto dal 2005 quando si è ricostruita la serie storica. Lo rileva l’Istat. Il fatturato è aumentato dello 0,8% congiunturale e del 12,5% tendenziale, il più alto da febbraio 2008. Per quanto riguarda il solo settore auto l’Istat registra un +10,3% tendenziale per gli ordinativi e un +5,4% per il fatturato.
Fantastico. Riparte l’economia. Quindi si torna a lavorare, si abbassa sicuramente il tasso di disoccupazione… Ed invece no…
OCSE: Partito dal livello minimo in 28 anni del 5,8% a fine 2007, il tasso di disoccupazione nell’area Ocse è cresciuto fino al punto massimo del dopoguerra, l’8,7%, nel primo trimestre 2010, che corrisponde a 17 milioni di persone disoccupate in più. Nel documento ufficiale dell’OCSE, l’Employment Outlook 2010, viene sottolineato come questo calo del tasso di occupati sia stato di intensità differente nei vari Paesi membri, in un modo che “le differenze nella diminuzione del Pil lasciano in gran parte inspiegato”.
Se poi parliamo di Italia, viene ancora più tristezza: nel documento si ribadisce anche come i salari italiani siano agli ultimi posti tra quelli dei paesi avanzati. Nel 2008 si attestano in media a 31.462 euro (-0,1% rispetto al 2007), contro i 37.172 euro dei paesi Ocse (+0,1%) e i 37.677 dei paesi Ue (+0,5%). Dietro di noi solo Polonia (11.786 euro), Ungheria (12.462) Repubblica Ceca (13.613), Corea (20.838), Grecia (25.177) e Spagna (28.821). Nettamente meglio Stati Uniti (40.243 euro), Francia (39.241) e Germania (37.203) Fonte: OCSE
Facciamo due conti. Nel complesso dell’area Ocse i disoccupati sono oggi 47 milioni. Ma aggiungendo le persone che hanno smesso di cercare lavoro o sono a part-time e vorrebbero un impiego a tempo pieno, cioè i sotto-occupati, si arriva alla stratosferica cifra di 80 milioni.
Questo cosa significa? Che c’è qualcosa che non quadra. Se la gente non lavora, chi consumerà? E se i Governi continueranno a tagliare i sostegni pubblici, e se gli stipendi saranno sempre meno adeguati al costo della vita, come farà a reggere questa situazione?
Dati ISTAT sugli stipendi
Spesso ci lamentiamo dei dati taroccati negli USA, ma molto probabilmente anche qui in Italia, grazie alla nostra fantasia e creatività, siamo maestri nel far vedere le cose in modo distorto. Infatti per l’Istat gli stipendi continuano a crescere, ma a conti fatti le cose stanno in modo ben diverso.
Cito in questo post un articolo che un amico mi ha segnalato, tratto da un blog de La Repubblica .
Leggete ed inorridite…
In particolare nel primo trimestre di quest’anno hanno inciso molto gli incentivi all’esodo. Sono lievitati cioè gli ultimi stipendi di chi ha accettato di lasciare il posto di lavoro. Questo naturalmente non significa affatto che le retribuzioni siano salite, ma sicuramente nella media sono risultate retribuzioni più alte. Sono stati poi erogati premi di produttività, soprattutto nel settore bancario e assicurativo. E’ noto che queste imprese hanno continuato a erogare premi e indennità anche nel pieno della bufera della crisi, e anche questo incide non poco sul dato medio.
C’è poi un ultimo elemento: “Interpretare questi dati in un momento di crisi non è semplice, perché non vengono inclusi per esempio i lavoratori in Cassa Integrazione”, spiegano all’Istat. Che significa? Significa che se molti operai vanno in Cassa Integrazione i loro salari non vengono più conteggiati per la media. In genere si tratta di salari bassi, anzi dei salari più bassi. E allora rimangono a far media i salari più alti degli impiegati e dei quadri. Quindi paradossalmente con la crisi i salari crescono, ma è solo un effetto ‘di composizione’, non reale. In verità non è cresciuto nulla, è solo cambiata la composizione.
C’è poi un ultimo elemento, altrettanto importante: si tratta di salari lordi. Pertanto non si calcola il fiscal drag. E quindi l’aumento medio registrato nel 2009, che è del 2,5%, alla fine si riduce forse al +1%, un aumento talmente basso da non essere percepito, probabilmente. Infine il primo trimestre di quest’anno si confronta con un trimestre che presentava una crescita bassissima.
A questo punto qualcuno potrebbe legittimamente chiedersi “ma a che serve pubblicare una statistica di questo tipo, che indica aumenti salariali che non non sono tali?”. In effetti questa statistica non viene pubblicata per monitorare gli aumenti salariali, ma l’aumento del costo del lavoro, che ha due componenti: le retribuzioni e gli oneri sociali. Sono altre le statistiche che misurano la variazione del reddito. L’obiettivo è quello di misurare pertanto il costo del lavoro, non le variazioni della retribuzione.
Chi volesse approfondire il tema, può leggere lo studio pubblicato sul sito dell’Istat “Retribuzione pro capite nelle grandi imprese: effetti di composizione nell’occupazione”. Ancora, è interessante leggere l’audizione del presidente dell’Istat Enrico Giovannini al Senato della scorsa settimana, in particolare l’allegato che mette a confronto le retribuzioni pubbliche e private. Naturalmente vale anche la pena di dare un’occhiata al comunicato di oggi, con dati e tabelle.
Fonte: La Repubblica .
Quindi, gentili lettori, pare chiaro che anche qui da noi qualcuno sta un po’ sfarfallando coi numeri. Però quando si tratta dei soldi “di chi conta” le cose vanno diversamente. Infatti a quanto sembra la crisi non ha fatto altro che aumentare il gap di ricchezza tra i ricchi ed i poveri. Ovvero i ricchi sono e saranno sempre più ricchi, mentre i poveri, o coloro che fanno parte del ceto medio basso, si troveranno sempre più in difficoltà. Addirittura la gente non ha nemmeno più i soldi per il medico…
La recessione ha colpito duramente il Mezzogiorno: il Pil è sceso ai livelli di 10 fa, c’è sempre meno lavoro e il rischio povertà incombe ormai su una grossa fetta di popolazione. Al punto che una famiglia su cinque rinuncia ad andare dal medico perchè non ha i soldi per pagare la visita. E sono altrettanti i nuclei familiari che non riescono a pagare il riscaldamento. È questo il cupo quadro delineato dall’ultimo rapporto della Svimez sull’economia del Mezzogiorno che è stato presentato oggi a Roma. (fonte : LaStampa)
Il più grande problema: i giovani e il lavoro
Ed i giovani? Che futuro si dà ai giovani?
Non si dà un futuro. La disoccupazione giovanile è ai massimi, in Europa è al 20%, grazie ad una serie di riforme assolutamente incomplete un po’ in tuti i paesi. In Italia in primis. In Spagna 4 giovani su 10 è a piedi. In Italia uno su 3. In Francia 1 su 4.
Bisogna fare qualcosa, prima che un’intera generazione vada al catafascio. Queste sono le vere priorità. E invece che succede? Si guarda sempre a pochi, agli interessi di alcuni, piccoli, grassi capitalisti che comandano le fila e che muovono le pedine a loro piacimento. Vedi apputo il gap sempre più ampio fra i super ricchi e le classi meno abbiette.
Queste sono le regole del gioco che ci vengono imposte. D’altronde sappiamo bene che per ingrassare 100 magnati dirigenti manager bancheri americani siamo riusciti a mandare a rotoli il sistema economico globale. Se non si tratta di autodistruzione…
STAY TUNED!
DT
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