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BANCHE ITALIANE in TILT. Cosa succede e chi è a rischio?
E ci risiamo.
La crisi politica italiana, condita da un DEF che non convince gli investitori e manda in palla lo spread BTP Bund, è la fatidica ciliegina sulla torta di un mercato che inizia ad annaspare. Tassi in risalita, aziende che non manterranno le promesse sugli utili, costi operativi che aumentano, impatto delle riforme fiscali in diminuzione, inflazione in aumento, vendite in ribasso.
Questo allegro quadro di mercato, teoricamente propedeutico ad una recessione, non è certo terreno fertile per il mondo bancario. Se poi però parliamo delle banche italiane le cose si complicano ulteriormente.
Ho qui tra le mani un report di JP Morgan. Per molti sarà un’analisi “politicizzata” oppure condizionata dalle intenzioni speculative della grande banca USA. Preferisco attenermi al concreto e devo ammettere che, oggettivamente, quanto scritto da JP Morgan è difendibile.
Secondo la grande banca USA, il momento è topico perché non sarebbe sostenibile per le banche italiane uno spread Btp Bund superiore ai 400 punti base. Già adesso siamo a circa 200 punti base in più rispetto al mese di giugno scorso, ed in questa evenienza il Cet1 delle banche italiane si ridurrebbe mediamente di 66 punti base, dall’attuale 12,53% all’11,87%. Ma questo è un dato medio. Molte banche si ritroverebbero invece con la necessità di fare un aumento di capitale.
E poco importa se le banche italiane oggi sono decisamente a “sconto” in borsa, trattano solo a 0,58 volte i loro valori di libro. Tutto questo potrebbe essere un dettaglio in questa fase. Immaginate poi che potrebbe succedere in caso di taglio del rating sovrano. Queste rischiano di non avere successo, spingendo lo spread a crescere ulteriormente, e in quel caso le probabilità di un taglio del rating di un gradino sarebbero molto elevate. Ovviamente poi la crisi italiana e lo spread in aumento, contribuirebbero in modo decisivo ad un ulteriore taglio delle previsioni di utili delle stesse. Le stime di JPM vengono quantificate con un calo degli utili mediamente del 6% per il 2018, dell’8% per il 2019, e del 9% per il 2020.
Ora capite perché questo grafico è assolutamente “gemellare”?
Ma non è finita qui. Nelle stime sul Cet1 ratio delle banche italiane, JP Morgan ha calcolato un impatto medio di -10 punti base dall’allargamento nel terzo trimestre ed un -24 punti base ulteriore nel quarto trimestre. Effetto contagio sulle banche europee? Al momento limnitato, ma la volatilità resterà alta anche per gli altri istituti di credito. Senza poi dimenticare che poi gli altri istitituti di credito (vedi Germania) hanno anche le loro belle gatte da pelare.
CET1 e le banche italiane: nel mirino Carige, BancoBPM e MPS
In ambito di parametri BCE, nel mirino finiscono le solite note. Subito forti le reazioni dei rispettivi vertici aziendali.
Banca Monte dei Paschi di Siena precisa quanto segue:
•il Common Equity Tier 1 (CET1) della Banca al 30 giugno 2018 è pari al 13%, rispetto ad un requisito minimo richiesto SREP del 9.44%
•anche con un incremento dello spread a 315 punti base il CET 1 si manterrebbe ben al di sopra dei requisiti minimi SREP.
Ovvio, tutti cercano di evitare una fuga di capitali che poi porterebbe automaticamente ad una crisi endemica di queste banche. Intanto però Fitch prende posizione su Carige.
L’agenzia Fitch il 10 ottobre ha tagliato il rating di lungo termine di Carige a CCC+ da B- e il viability rating a CCC+ da B- con prospettive negative. L’abbassamento del giudizio sul merito del credito dell’istituto genovese riflette l’idea di Fitch che «il fallimento della banca sia una reale possibilità dal momento che sarà una sfida per l’istituto rafforzare il capitale, il che potrebbe alla fine portare a un intervento del regolatore». Fitch evidenzia come la banca non soddisfi al momento i requisiti di Pillar 2 sotto il profilo patrimoniale e che l’emissione di strumenti Tier 2 per raggiungere tali obiettivi è da considerare difficile alla luce delle mutate condizioni di mercato per le banche italiane. Il riferimento è alla crescita dello spread che diminuisce ulteriorimente il capitale della banca e rende difficile e costosa l’emissione di obbligazioni. [Source]
Manca all’appello Banco BPM. Eccovi serviti. Con uno spread che dovesse salire a 350 punti, la prima banca ad avere qualche segnale di preoccupazione è proprio lei, proprio a causa del mix esplosivo composto da 18,7 miliardi di Bot e Btp posseduti ma anche per un Npe ratio del 16,7%, tra i più alti dopo Carige (26,8%), Mps (20,1%), Bper (17,3%). A quota 350 dello spread, dall’11,2% l’indice del Banco Bpm si attesterebbe all’11% perchè l’incremento di 46 punti corroderebbe di 16 punti la soglia di sicurezza. Subito dopo Banco Bpm è il CreVal ad avvertire segnali di tensione con lo spread in crescita di 71 punti a 376 punti che mangerebbe 20 punti base. Poi, con un divario di 411 punti, ci sarebbe una riduzione di 42 punti del coefficiente di Ubi Banca avendo meno Btp in portafoglio.
Per quanto concerne i due colossi Intesa Sanpaolo e Unicredit, i timori sono rimandati. Per la prima la discesa dall’11,5 all’11% dipende da un incremento di 233 punti del differenziale a quota 537 punti, per la seconda l’aumento di ben 507 punti base a 811 taglierebbe il Cet1 dal 12,3 all’11%. (Source)
Morale: non ci resta che sperare che avvenga il miracolo. Cosa di preciso non lo so. Ma la speranza è l’ultima a morire.
STAY TUNED!
Banche italiani in crisi ?
Banche tedesche …. già fallite !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!