in caricamento ...
BANCHE CENTRALI: turning point tra 12 mesi
E’ guerra valutaria tra FED e resto del mondo. La BCE mantiene la sua forward guidance senza correggerla. Ma il programma di riduzione degli acquisti (quantitative tightening) è chiaro.
Era fin troppo ovvio attendersi una risposta di Mario Draghi dopo l’affronto dell’asse Trump-Mnuchin pro Dollaro debole visto ieri.
Intervento che c’è stato ma che è stato decisamente “dovish”.
Il mercato si sarebbe aspettato un atteggiamento da “pan per focaccia” ed invece il lassismo di Draghi è stato letto come un “non ti curar di loro ma guarda e passa”.
E quindi l’Euro non ha potuto che indebolirsi ulteriormente.
Anche se poi il messaggio della BCE è stato molto chiaro.
Siamo molto lontani da un percorso di normalizzazione.
(…) Draghi ha addirittura voluto precisare quando l’obiettivo di inflazione sarà davvero a portata: occorre che il percorso della dinamica dei prezzi vada nella direzione del 2% nel medio termine (non contano quindi i «touch and go», ha detto); occorre che il range delle previsioni – che è sempre ampio – sia sufficientemente stretto: «occorre fiducia nel grado di convergenza», ha detto; e deve essere «autosostenibile». (…) [Source]
Quindi sono rimasti delusi coloro che si aspettavano la revisione della famosa e proverbiale “forward guidance”. Anzi, la cosa grave è che non se n’è nemmeno parlato e quindi questa poteva essere una notizia positiva per il Dollaro USA: invece nulla di fatto.
Motivo? Beh, cari amici, lo abbiamo detto già nei post passati. E’ cambiato ben poco nell’economia dell’Eurozona e strutturalmente i cambiamenti non sono sufficienti a giustificare un vero rafforzamento della politica monetaria restrittiva.
Ma si sa, la guerra valutaria ormai è diventata una realtà e qualcosa bisognerà fare. Intanto però ecco il messaggio di Draghi:
«Molti componenti hanno espresso preoccupazione , e l’inquietudine riguarda più in generale, lo stato delle relazioni internazionali. Non è una questione politica: il vero timore è che la debolezza del dollaro, guidata da quelle parole e più in generale dalla nuova strategia geoeconomica degli Usa, creino un irrigidimento non voluto, e non giustificato, delle condizioni monetarie»
Leggete bene e vi renderete conto che nelle parole si legge una nota critica agli USA, quello si, ma anche la richiesta di coalizzare le altre banche centrali contro la FED. Che sia una guerra non più tutti contro tutti (il che sarebbe deleterio) ma tutti contro Trump?
Solo il tempo ce lo dirà, anche perché in modo esplicito non aspettiamoci comunicazioni a questo proposito.
Partiamo però da una base che sembra abbastanza chiara. Il passaggio da quantitative easing a quantitative tightening.
Il vero turning point è previsto a febbraio 2019, ovvero tra 12 mesi. Ma pensare che il mercato prenda posizione solo allora è una follia. Le cose stanno già cambiando adesso e quindi, come sempre, l’importante è esserne consapevoli. Poi ognuno si comporti di conseguenza perché ricordatevi bene: ognuno deve essere responsabile delle proprie scelte.
STAY TUNED!
–
Ci si chiede in giro (anche Draghi ne ha parlato) come mai l’euro cresca rispetto al dollaro: essendo un cambio finanziario, siccome i tassi in America sono più alti rispetto l’area euro, dovrebbero aumentare gli acquisti di dollari, di titoli obbligazionari in dollari. O no? Senonchè l’euro è acquistato di più del dollaro. A parte la situazione politica della zona euro, che vede un certo rasserenamento, ma il punto è che i titoli di stato USA sono più deboli del solito: ci sono vendite di questi più di prima. Ed è ovvio che ciò accade perché ci sono le prospettive che essi calino ulteriormente. Allora la domanda sarebbe: ma perché dovrebbero calare i titoli di stato (e in genere obbligazionari USA)? Probabilmente perché i tassi USA sono visti in aumento. E cosa mai potrebbe far aumentare i tassi? La Fed, ovviamente, col mercato; a causa dell’inflazione, che non c’è, ma che probabilmente si vede in arrivo. Mi sbaglierò, ma la vedo così.