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Yellen e Draghi a difesa del sistema: uniti contro Donald Trump
Il celeberrimo simposio di Jackson Hole non ha regalato grandi spunti operativi per i mercati finanziari.
Per carità, per chi segue il blog è noto il fatto che da questi incontri molto coreografici non ci si può aspettare delle rivoluzionarie decisioni di politica monetaria, fuori dalle mura del FOMC (area FED) o del meeting BCE. Quello che potevamo aspettarci era un commento equilibrato su cosa potrebbe accadere ma senza stravolgere quello che si è cercato, per mesi, di far capire al mercato.
Tanto per intenderci, è noto il fatto che le banche centrali, unite, stanno portando avanti un discorso di stabilizzazione del mercato, utilizzando lo strumento della liquidiità per comprimere all’ennesima potenza la volatilità, mantenendo in questo modo lo”status quo” ed evitando che la speculazione torni a dominare (distruggendo tutto quanto di buono fatto fino ad ora).
E difatti, Janet Yellen non ha fatto cenno alla riduzione del bilancio FED, e tanto meno Mario Draghi si è espresso in modo chiaro su quello che potrebbe diventare un tapering nei prossimi mesi.
Però attenzione. questo post acquista un senso (visto che finora un senso non ce l’ha, citando il buon vecchio Vasco) in quanto, in realtà, questa volta a Jackson Hole succede qualcosa di veramente MOLTO importante, che mi ha sorpreso e che merita di essere analizzato a fondo.
Janet Yellen si schiera in difesa delle regole introdotte dopo la crisi finanziaria e mette in guardia su possibili modifiche, ventilate anche dal presidente Usa Donald Trump. Mario Draghi ribadisce che la ripresa economica della zona euro sta prendendo slancio, con il Quantitative easing che ha funzionato “molto bene”, ma al tempo stesso avverte che l’inflazione non è ancora vicina al target del 2% e per questo la Bce deve restare in allerta. A Jackson Hole si manifesta l’asse tra la Federal Reserve e la Banca centrale europea. Ma chi si attendeva da Draghi e Yellen chiarimenti sulle prossime mosse delle due banche centrali è rimasto deluso: hanno entrambi optato per interventi di carattere più politico, che sembrano puntare alla Casa Bianca di Trump. (Source)
Se qualcuno di voi ancora aveva dei dubbi, ora non avrà più scuse. Da tempo immemore vi sto raccontando del “patto” tra le banche centrali, tutte operative in un’unica direzione, quella del benessere globale (delle economie “core”), Ve lo ricordate questo grafico?
Anche se qualcuna (FED) molla il tiro, ci pensano le altre ed al mercato non mancano sempre nuove iniezioni di liquidità. Un patto che porta i governi e le varie FED, BOJ, BOE, BCE ecc ad un impegno comune. Questo meccanismo, tutt’altro che perfetto, e noi lo sappiamo benissimo, è il regno del relativismo. E’ un esperimento di politica monetarie di cui siamo diventati prigionieri e che non lascia scampo, ormai al sistema.
(…) C’è chi è meno enfatico nel delineare il patto non scritto suggellato tra Yellen e Draghi. Chi preferisce parlare di “convergenza”, “sintonia”, “complementarità” di posizioni e interventi. Concordano però che nel parlare e difendere approcci multilaterali e regolamentazione bancaria (accento della Yellen sulla seconda, di Draghi sul primo), non hanno scelto un tema facile, per evitare discussioni acrimoniose – che pur ci sono – sulle incerte e ravvicinate scelte di politica monetaria e sul passo della sua normalizzazione. Hanno piuttosto affrontato una preoccupazione scottante e con vaste ramificazioni, quella della stabilità del sistema finanziario ed economico e delle sue regole; della cooperazione indispensabile proprio per solidificare la crescita e scacciare gli spettri di future, gravi crisi. Che oggi possono apparire lontane, con l’economia globale meglio sincronizzata sull’espansione, ma che Yellen ha ricordato essere sempre in agguato. È una cooperazione, quella invocata, che non può né deve essere appannaggio solo delle banche centrali. Che passa per i sistemi di regolamentazione e si spinge ben oltre, al commercio e in generale, come ha sottolineato Draghi nel suo intervento, all’“apertura” delle economie. Che cerca “protezioni” in risposta a squilibri e sperequazioni – correttivi necessari – contro i “protezionismi”, letali per l’innovazione e la produttività e in ultima analisi per il futuro dell’espansione e per la società. (Source)
La parola d’ordine è “andare avanti” e poi cercare una “exit strategy” che sia la più indolore possibile. E fintanto che il sistema ci crede e regge, tutto va (apparentemente bene).
Cosa NON deve accadere? Che qualcosa di “anomalo” di metta di traverso e cambi questo equilibrio che, già di per se, è abbastanza precario. Un qualcosa il cui arrivo potrebbe portare volatilità, incertezza e preoccupazione. E quel qualcosa ha un nome per la Yellen e per Draghi. Si chiama Donlad Trump.
(…) “Le riforme adottate con la crisi hanno reso il sistema finanziario sostanzialmente più sicuro” e lo hanno fatto senza compromettere la crescita e l’erogazione di prestiti, precisa Yellen, scegliendo il palco di Jackson Hole per lanciare il suo attacco indiretto al capo della Casa Bianca. Un attacco che rischia di ‘costarle’ il posto in vista della sua scadenza il 3 febbraio. (…) “Gli scambi commerciali aperti sono minacciati”, ammonisce il presidente della Bce. “Uno dei temi che l’economia globale si trova ad affrontare è se il trend verso una maggiore apertura dei mercati che ha caratterizzato gli ultimi tre decenni si sta avvicinando alla fine.” (…) L’appello è quindi a una “maggiore cooperazione multilaterale in grado di rispondere ai timori di sicurezza ed equità” legati alla globalizzazione: “Incoraggiando una convergenza delle regole, è possibile proteggersi dagli effetti non graditi dei mercati aperti. E la ‘protezione’ assicura il non scivolare nel ‘protezionismo’”, aggiunge Draghi. Chiudere gli scambi commerciali rischia di avere un impatto negativo sul “potenziale di crescita”, che va invece rafforzato aumentando la produttività con scambi commerciali aperti e con flussi di investimenti aperti. (Source)
Tutto chiaro? Ve lo ritraduco io in modo magari più semplice ma, spero, più efficace.
“Caro Donald, è meglio se ti dai una calmata con le tue boutade protezionistiche perchè ci rompono le uova nel paniere e rischiano di distruggere anni del nostro lavoro, vanificando gli effetti positivi (??!?!) della nostra politica monetaria e mettendo a serio rischio l’incolumità dei mercati finanziari che, in realtà, non sono MAI guariti dai malanni della crisi finanziaria del 2008.”
Panic? No panic, almeno per ora…
STAY TUNED!
Nihil sub sole novum