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COMPETITIVITA’: il grande nodo che inchioda la crescita economica
Sono tanti i problemi che assillano il nostro Bel Paese. Fare un elenco in questa sede sarebbe inutile, noioso e superfluo. Basta aprire un qualsiasi quotidiano per addentrarsi nell’universo di disgrazie ormai incancrenite che assillano la nostra economia e il nostro sistema economico, politico e sociale.
Focalizzarsi sulla gestione del debito? Si, importante, ma la storia (e l’economia) insegna che il debito si può gestire. Ma in che modo? Con l’unico motore che, a regime, permette ad un qualsiasi paese di continuare a reggere la sfida globale: la crescita economica.
Già, crescita… E’ l’incubo di tutti, e non solo in Italia. Ma soprattutto qui da noi la crescita assume un’importanza siderale. In primis perché, come è noto, il nostro paese ormai è da anni in uno stato di stagnazione economica che non ci permette di restare a galla. E poi non dimentichiamo che la crescita del PIL è il denominatore dei più importanti ratio macroeconomici. Se cresce il PIL, automaticamente si “abbatte” il famoso debito/Pil e il deficit/Pil. Ma per far crescere il PIL occorre far ripartire seriamente l’economia. Lasciamo da parte al momento tutto quanto concerne le spese per gli investimenti. Focalizziamoci per un attimo su un altro fondamentale fattore: la competitività.
Sono soprattutto i No Euro che continuano a “difendere” la vecchia Lira. E non possiamo negare che la politica della svalutazione ha sempre avuto degli effetti benevoli sulla nostra economia, permettendo esportazioni senza comportare conseguenze drammatiche nel campo dell’occupazione. Ma non è solo una questione di svalutazione competitiva.
Torniamo nel campo dell’occupazione guardate questo grafico Eurostat. Di parla proprio di competitività del costo del lavoro. Un elemento fondamentale che ha effetti sia sul prezzo del bene finale ma anche sugli utili aziendali, oltre che sugli stipendi dei lavoratori.
Prima nota: possiamo notare una certa correlazione tra il trend del debito pubblico (qui non visibile) e il costo del lavoro. Significa che più debito comporta maggiore tassazione e quindi maggiore costo del lavoro.
Seconda nota: la Germania, paese che rappresenta invece la solidità per antonomasia, proprio in quegli anni si è ritrovata con una competitività migliorata. Insomma, se la strada era già in discesa, questo elemento gli ha ancora messo il turbo. Morale: passaggio di testimone della competitività.
Terza nota: guardate l’Italia. Grazie ad una serie di riforme più o meno volute, il costo del lavoro nei paesi PIIGS dell’Eurozona è sceso in modo importante negli ultimi anni. Guardate il caso dell’Irlanda. E l’Italia? Stabilizzato, incancrenito. Tutta colpa del debito? Certo, come detto in passato stiamo affogando nel debito pubblico. Ma questo non deve essere una giustificazione, perché con questi numeri la nostra economia è morta.
La cosiddetta “prova del nove” ce la fornisce questo secondo grafico della BCE: crescita del Pil pro capite confrontata con i paesi EU 28. Come si suol dire, un grafico vale più di mille parole. Ne usciremo mai fuori?
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Se poi aggiungi che nel nostro Paese devi anticipare le tasse (guardando nella sfera di cristallo e rimettendoci se non hai doti da Cassandra…) fino anche al 110%, cioè utilizzando probabilmente la liquiditá che ti servirebbe per fare impresa, capisci perchè non potremo tornare a crescere.
Ma suvvìa, ottimismooooo…
C’abbiamo ‘o sole, ‘o mare, gli spaghetti e personaggi che anziché stare in galera stanno in certi palazzi…
Ma dove volete andare più di così…
Esatto. I grafici dicono proprio questo, sia quello della produzione industriale sia quello della produttività. Anche diversi rapporti economici lo dicono, tipo quello dell’ILO segnalato anni fa.
Già scritto mille volte: il primo paese che fa svalutazione interna cresce a scapito degli altri, cioè “ruba” quote di mercato e di produzione agli altri, i quali possono solo rincorrerlo. Con cambi flessibili il gioco non funziona perchè a fronte di maggiori esportazioni il cambio sale e le frena.
Bagnai sostiene (con dati a supporto) che contrariamente a quanto spesso si dice, le svalutazioni della lira non sono state “svalutazioni competitive”, cioè svalutazioni al fine di aumentare le esportazioni, ma svalutazioni difensive, cioè si sono verificate in occasione di shock esterni (per es. quelli petroliferi o crisi mondiali) e hanno avuto la funzione di difendere l’economia e le “quote di economia mondiale” senza causare shock interni (tipo quelli che hanno colpito il lavoro in Irlanda, Grecia, Portogallo in questi ultimi anni).
Ora la domanda è: come si fa a recuperare la competitività persa in questi anni nei confronti della Germania? E quanto tempo richiede?
Allora, analizzando il gap di competitività io identifico:
1) Una quota di gap già presente prima dell’euro e delle riforme Hartz: la competitività tedesca era superiore a quella italiana per i vari fattori di cui gli italiani accusano tutti gli altri italiani tranne se stessi (corruzione, clientelismo, bassa efficienza dei servizi pubblici, burocrazia, irrazionalità di certa spesa pubblica, cattivo management in certe imprese private e pubbliche) e per il maggior peso degli interessi sul debito. Questo si rifletteva in un marco più forte della lira, ma non creava grossi problemi (c’erano svantaggi ma anche il vantaggio di un freno alle importazioni dalla Germania). Il costo del debito ha subito un vantaggio dall’euro per la riduzione dei tassi di interesse (ma non tutta la riduzione dei tassi è da imputare all’euro in quanto era una dinamica presente in tutti gli stati occidentali e data da altri fattori); di contro la stessa riduzione dei tassi di interesse ha giocato a favore di chi avendo un debito basso ha potuto sfruttarli per aumentare l’indebitamento. Quindi a fronte di minori interessi c’è stata una leva economica maggiore nei paesi meno indebitati e una occasione mancata di investimenti a basso costo per i paesi più indebitati.
2) Una quota di gap data dall’introduzione dell’euro: una crescita economica sana migliora la competitività dell’economia (maggiori imprese, migliore concorrenza, minore costo del debito, maggiori investimenti, ecc.), quindi questa quota di gap è data dal circolo vizioso della crescita economica che sarebbe partita in Germania anche senza Hartz per via dell’assenza del freno del cambio in conseguenza dei fattori del punto 1
3) Una quota di gap data dalla svalutazione interna seguita alle riforme Hartz
Guardando i grafici della produzione industriale si vede un’accelerazione per quella tedesca dal 2004/2005, per cui io imputerei al punto 3 la quota maggiore di gap di competitività:
http://icebergfinanza.finanza.com/2013/02/18/produzione-industriale-il-grafico-dellanno/
Ora, come si fa a recuperare questo gap di competitività?
Per la parte data dal punto 1 servono le fantomatiche riforme. Ma pensate che si riesca a eliminare mafia, corruzione e evasione in tempo utile (considerando che la mafia c’è anche in Francia e in Svizzera, che la corruzione c’è dappertutto in Europa e spesso in quote non molto lontane da quella italiana e che l’evasione in certe regioni del Nord secondo alcune statistiche è addirittura inferiore a quella tedesca)?
Per la parte data dai punti 2 e 3 serve ben altro… Pensate di recuperare la quota di gap dovuta alle riforme Hartz e al gap di crescita di 8 anni di crisi svalutando il lavoro, o che le altre riforme bastino a recuperare sia la quota 1 sia le 2 e 3?
Se poi si vuole affermare che la reintroduzione di cambi flessibili non avverrà mai è un altro discorso, ma allora è inutile stare a parlare di competitività, di riforme, ecc. Si emigra e basta.
Se invece si vuole affermare che la reintroduzione di cambi flessibili è un passaggio complicato e delicato e che non ci sono al comando le persone adatte, mentre si attende che arrivino da un altro pianeta (in quanto tutti gli italiani sono incapaci e corrotti) l’economia italiana muore e le aziende emigrano o vengono comprate o da un’altra nazione; in alternativa si può auspicare l’arrivo della troika, che come ben sanno i Greci è formata da persone oneste e prontissime a fare l’interesse dei cittadini.
La disoccupazione giovanile al 48% ha di fatto sancito la rottura tra il sistema produttivo del passato e chi dovrebbe rappresentare il futuro.
Non si può più avere quello che si è ottenuto nel passato, per il semplice motivo che i prodotti venduti non remunerano più a sufficienza né l’attivitá che li ha fabbricati, figuriamoci il capitale che è stato impiegato e messo a disposizione.
draziz@finanza: Non si può più avere quello che si è ottenuto nel passato
Purtroppo è vero, anche per altri motivi:
– l’economia italiana è stata costruita in una fase economica irripetibile: il passaggio da paese agricolo a paese industriale, con petrolio a basso costo e un’età media molto più bassa di oggi; e non è per niente detto che l’innovazione tecnologica abbia gli stessi effetti
– tante imprese che sono morte sono nate nel corso di decenni, magari per caso o per l’intuizione di personaggi di rara brilllantezza o in circostanze eccezionali; è impensabile che si vada a sostituire queste imprese in un tempo minore, è una semplice questione probabilistica
Quindi è sbagliato pensare che il ritorno ai cambi flessibili risolva tutti i problemi, solo un pazzo può pensarlo. Ma è altrettanto sbagliato pensare che allora il ritorno ai cambi flessibili sia inutile, perchè l’obiettivo non è tornare al boom dei vecchi tempi, ma solo evitare di morire o di farsi colonizzare.
…completiamo il discorso…
http://www.washingtonpost.com/news/wonkblog/wp/2015/07/30/italy-is-the-most-likely-country-to-leave-the-euro/?postshare=3551438284205197
The EU remains the World’s BIGGEST exporter of both goods and services but EU exporters have suffered more from the crisis than their competitors in the U.S. and Japan.
This can be seen by the decline in market share for EU goods exports since 2009, which has been much steeper than for Japanese or U.S. exporters and greater than can be explained by the faster growth of “emerging economies”.
Relative market shares – [with REAL data as update to July 1, 2015]
Before the crisis, EU exports fared relatively better against competition from China than those of the U.S. and Japan, thanks in good part to the integration of competitive suppliers in Central and East European Member States with other European, particularly German, manufacturers.
The EU’s trade deficit with China is substantial but has been decreasing over the last few years. By contrast, the EU runs a long-term trade surplus with the U.S..
EU trade balance with major partners, 2005-2013 – [with REAL data as update to July 1, 2015]
In 2013, for the first time in the last 10 years, the EU also registered a significant surplus with the “Rest of the World’.
サーファー © Surfer l ALL RIGHTS RESERVED l 2015
Market services, including wholesale and retail trade, financial services, transport and information technology, are the LARGEST economic sector in the Euro-Area, accounting for 51% of Gross Domestic Product (GDP).
Their overall importance to the economy, however, is even greater, as services are also competitiveness-enhancing “inputs” and facilitators of manufacturing exports.
The CHART below shows the contribution of each Country’s own services to manufacturing exports – [with REAL data as update to July 10, 2015]
The differences between the Countries reflect to a large extent the differences in size.
Larger Countries’ manufacturing exports use a higher proportion of domestic services.
But size is not all: a large Country able to source domestically most of the services needed may still have low-productivity, inefficient services.
Independent of size, Countries whose manufacturing exports use a high proportion of domestic services could potentially boost their exports by addressing under-performance in their service sectors.
Improving competition in services would also be beneficial for the Euro-Area as a whole, as it would strengthen its ability to adjust to economic shocks and will facilitate current account RE_balancing.
Although reforms to improve the competitiveness and integration of service sectors have been high on the EU’s agenda for over two decades, progress has been disappointing in recent years.
A more integrated single market for goods and services is one of the European Commission’s priorities for 2015 and a new internal market strategy will be presented by the end of the year.
サーファー © Surfer l ALL RIGHTS RESERVED l 2015
OPS!!! SORRY: the chart that has not appeared above.
BE CAREFUL. It’ll be seen well, NOW.
“The CHART below shows the contribution of each Country’s own services to manufacturing exports – [with REAL data as update to July 10, 2015]”
IN LINK
https://twitter.com/_s_U_r_f_E_r_/status/627122326665076736
RE_sORRy!!!
サーファー © Surfer l ALL RIGHTS RESERVED l 2015
@Surfer:
Ostacoli al mercato unico:
http://www.eesc.europa.eu/?i=portal.en.publications.24626
Pensare che la conversione della valuta sarebbe stata UN SOLO ostacolo da aggiungere alla lunga lista di esempio nello studio linkato, e pensare che casino hanno fatto per eliminare questo singolo ostacolo…
@DT ma soprattutto per Kry, nel caso ti fosse sfuggito:
Nell’articolo del washingtonpost c’è un link che parla di Finlandia e Olanda e dei loro problemini. Per la verità niente di nuovo, solo una conferma.
scusa DT ma la germania non ha ottenuto la competitività con la famosa riforma Hartz ed i mini job andando poi a finanziare lo stato sociale e sfondando il rap dep/pil?
la mossa della germania è stata fatta furbescamente a danno dei paesi soprattutto come l’italia.
ora l’unica soluzione (temporanea) è la svalutazione del lavoro che comporterà ulteriore diminuzione dei consumi, diminuzione del pil ecc.
la vera soluzione è l’uscita dall’euro (pensa lo propone adesso anche Zingales) prima che l’italia sia fagocitata e ridotta a semplice colonia con manodopera a basso prezzo.
Italcementi insegna