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Il Grande Dilemma della Germania: prendere o lasciare
Il parere di George Soros: i tedeschi al bivio, o accettano o lasciano l’Euro
L’Europa si trova in una crisi finanziaria dal 2007. Quando la bancarotta di Lehman Brothers mise in pericolo il credito delle istituzioni finanziarie, il credito privato venne sostituito dal credito pubblico, rivelando un inevitabile difetto nell’euro. Nel trasferire il diritto di stampare moneta alla Banca centrale europea (Bce), gli Stati membri si sono esposti al rischio di default, come i Paesi del Terzo Mondo fortemente indebitati in una moneta estera. Le banche commerciali sovraccariche di titoli di Stato dei Paesi più deboli sono diventate potenzialmente insolventi.
C’è un parallelismo tra l’attuale crisi dell’euro e la crisi bancaria internazionale del 1982. Allora il Fondo monetario internazionale salvò il sistema bancario mondiale prestando denaro a sufficienza ai Paesi fortemente indebitati; il default fu evitato, ma a scapito di una depressione prolungata. L’America latina visse un decennio perduto.
La Germania gioca oggi lo stesso ruolo che un tempo fu del Fmi. Il setting cambia, ma l’effetto è la stesso. I creditori stanno spostando l’intero peso dell’aggiustamento sui Paesi debitori, sfuggendo alle proprie responsabilità.
La crisi dell’euro è un mix complesso di problemi bancari e debito sovrano, ma anche di divergenze nelle performance economiche che hanno dato vita a squilibri nella bilancia dei pagamenti all’interno dell’Eurozona. Le autorità non hanno compreso la complessità della crisi, né tanto meno hanno ravvisato alcuna soluzione. Così hanno cercato di prendere tempo.
Di solito funziona. Il panico finanziario si quieta e le autorità ricavano un profitto sugli interventi. Ma non questa volta, perché i problemi finanziari vanno di pari passo con un processo di disintegrazione politica.
Quando fu creata l’Unione europea, l’idea era quella di una società aperta, un’associazione volontaria di stati paritari che cedevano parte della propria sovranità per la res comune. La crisi dell’euro ora sta trasformando l’Ue in qualcosa di completamente diverso, dividendo gli Stati membri in due classi – creditori e debitori – con i creditori al comando.
Essendo il Paese creditore più forte, la Germania è emersa come potenza egemonica. I Paesi debitori pagano ingenti premi sui rischi per finanziare i propri debiti pubblici. Ciò si riflette in generale nei costi di finanziamento. A peggiorare le cose ci si mette la Bundesbank, che resta ancorata a una dottrina monetaria antiquata e radicata nella traumatica esperienza tedesca con l’inflazione. Di conseguenza, riconosce solo l’inflazione come minaccia alla stabilità e ignora la deflazione, che è la reale minaccia oggi. Inoltre l’insistenza della Germania sull’austerità per i Paesi debitori può facilmente diventare controproducente aumentando l’indice del debito pubblico a fronte di un calo del Pil.
Esiste un reale pericolo che un’Europa a due velocità divenga permanente. Sia le risorse umane che quelle finanziarie saranno attirate verso il centro, lasciando la periferia in difficoltà. Ma gli Stati periferici manifestano il proprio malcontento.
La tragedia dell’Europa non è dovuta a un malvagio complotto, ma deriva da una mancanza di coerenza politica. Come nelle antiche tragedie greche, le idee sbagliate e una totale mancanza di raziocinio hanno avuto conseguenze indesiderate ma decisive.
La Germania, in quanto principale Paese creditore, è al comando, ma rifiuta di prendersi altre responsabilità, tralasciando qualsiasi opportunità di risolvere la crisi. La crisi si è allargata dalla Grecia agli altri Paesi in deficit, mettendo persino in discussione la sopravvivenza dell’euro. Poiché un tracollo dell’Eurozona causerebbe danni enormi, la Germania fa sempre il minimo indispensabile per tenerla unita.
Recentemente la cancelliera tedesca Angela Merkel ha sostenuto il presidente della Bce Mario Draghi, lasciando il governatore della Bundesbank Jens Weidmann isolato. Tale mossa consentirà alla Bce di porre fine ai costi di indebitamento dei Paesi che sottostanno a un programma di austerity sotto la supervisione della Troika (Fmi, Bce e Commissione europea). Questa decisione salverà l’euro, ma rappresenta un passo verso la divisione permanente dell’Europa in debitori e creditori.
I debitori sono destinati a rifiutare prima o poi un’Europa a due velocità. Se l’euro va in frantumi, anche il mercato unico e l’Ue andranno distrutti, lasciando l’Europa in condizioni ben peggiori rispetto alla situazione precedente all’unione, a causa di un retaggio di reciproca sfiducia e ostilità. Più tardi avverrà il crollo, peggiore sarà l’esito finale. È giunto il momento di valutare quelle alternative sinora considerate inconcepibili.
A mio avviso, la mossa migliore è persuadere la Germania a scegliere se guidare la creazione di un’unione politica con una sana condivisione del debito o lasciare l’euro.
Dal momento che tutti i debiti accumulati sono denominati in euro, non fa alcuna differenza chi resta al commando dell’unione monetaria.Se la Germania abbandonasse l’Eurozona, l’euro si deprezzerebbe. I Paesi debitori riguadagnerebbero competitività, i loro debiti diminuirebbero in termini reali e con la Bce sotto il loro controllo la minaccia di default svanirebbe, facendo scendere i costi di indebitamento a livelli comparabili a quelli del Regno Unito.
I Paesi creditori, per contro, subirebbero delle perdite su titoli e investimenti denominati in euro e dovrebbero fare i conti in casa con la dura concorrenza di altri Paesi dell’Eurozona. La portata delle perdite dei Paesi creditori dipenderebbe dal livello di svalutazione, inducendoli così a mantenere la svalutazione entro certi limiti.
Passati i dissesti iniziali, l’esito finale farebbe avverare il sogno di John Maynard Keynes di un sistema monetario internazionale in cui sia i creditori che i debitori sono corresponsabili nel mantenere la stabilità. E l’Europa allontanerebbe lo spettro di una depressione.
Lo stesso risultato potrebbe essere raggiunto a un costo minore per la Germania, se questa scegliesse di comportarsi come una benevola potenza egemonica. Ciò significa: attuare l’unione bancaria europea proposta, stabilire un terreno di gioco più o meno livellato tra Paesi creditori e debitori istituendo un Debt Reduction Fund, convertire tutti i debiti in Eurobond e mirare a una crescita nominale del Pil del 5%, così che l’Europa possa crescere per uscire dalla pesante situazione di indebitamento.
Sia che la Germania decida di guidare o di lasciare, in entrambi i casi l’esito sarà migliore di un’insostenibile Europa a due velocità.
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perfetta sintesi dela situazione! e , dato che i tedeschi li conosciamo da tempo, la soluzione è che ognuno torni alla sua moneta… due anni di sacrifici ma un po’ alla volta si potrà parlare di ripresa economica….
mi lascia anche perplesso il comportamento di Monti: ha tassato tutto quello che poteva tassare, ha introdotto mille decreti con una percentuale di attuazione ridicola, ha intenzione di lasciare il governo in mano alle forze politiche che emergeranno dalle elezioni (eppure le conosce bene anche lui, altrimenti non gli avrebbero richiesto di condurre un governo tecnico)….
Mi domando: ma che pesce è???? come crede che reagiranno (anzi stanno già con il fucile puntato) i mercati, non appena si aprirà una nuova corrida politica fra gli attuali partiti????
Il problema dell’Italia, come scrissi in un post tempo fa, sta diventando un problema politico legato all’avvicinarsi delle elezioni…Non c’è ESM che tenga, se Monti (pur con i tanti errori che potevano essere evitati) lascia, ritorniamo allo sfascio.
La proposta piú sensata dell’anno. Un ritorno alla dracma permetterebbe alla Grecia di ritrovare un minimo di competitività. L’Italia riuscirebbe, con una lira un po’ svalutata, a riportare un minimo di equilibrio nella bilancia dei pagamenti, cosí come la Germania, che con un marco rivalutato del 15-20% rispetto all’Euro, perderebbe un po’ di terreno sul fronte dell’export ma potrebbe permettersi di aumentare le importazioni e rilanciare il consumo interno
Peccato che questa soluzione – la piú semplice e meno dolorosa di tutte – non sia ipotizzabile per i soliti motivi politici…
Quindi – avanti tutta, costi quello che costi, nel tripudio di banche e multinazionali (che guadagneranno un’altra barca di miliardi). Il guaio è che il conto lo pagheranno i cittadini-contribuenti di mezza Europa (e alla fine tutti si odieranno tanto da spararsi addosso).
Diversi cittadini si chiedono: se passando dalla lira all’euro ci abbiamo perso un 50% di potere di acquisto, cosa succederà passando dall’euro alla lira?
Come verranno gestiti i crediti/debiti del Target2?
Quanto costerà la conversione della valuta alle aziende non esportatrici?
Quali sono i rischi della rottura dell’eurozona per le aziende del Nord Italia che hanno come partner principale un’azienda tedesca?
I debiti verranno pagati o si farà default? Se verranno pagati, quanto inciderà la svalutazione sull’aumento del debito/pil?
Chi ci garantisce che una volta tolta la possibilità di controllo sulle banche estere, la spazzatura che hanno ben nascosto non passi ancora una volta i confini?
Rispondere in modo corretto a tute quest importantissime e logiche domande è assolutamente impossibile, proprio perchè…molto sarebbe da inventare.
E visto che trovare soluzioni che risultino poi difendibili e logiche (pensa gli interessi economici che ci sono sotto) capirai che, se capitasse un ritorno alla lira, sarebbe una guetta totale su chi privilegia e chi bastonare.
Ovvio, si tenderà a bastonare i piccoli e a privilegiare i grandi. Ma non pensare che sia una cosa facile.
Questo è uno dei motivi per cui continuo a dire che l’Euro è un processo irreversibile. Perchè la sua fine sarebbe quasi impossibile da gestire.
Caro DT, nella storia le situazioni “impossibili da gestire” sono state tantissime – e sono state tutte gestite. Quello che fa la differenza, sul piano delle conseguenze (sempre ovviamente pesanti) , è il momento che viene scelto per ammettere “l’impossibilità” della gestione, il momento della capitolazione. Quando i protagonisti della situazione hanno accettato per tempo l’ineluttabilità del collasso (un’esempio: Inghilterra nella guerra contro le 13 colonie o Napoleone dopo Waterloo) le conseguenze sono state gravissime, ma nuovamente gestibili. Quando si è andati fino all’ultimo colpo ed all’ultimo uomo il disastro è stato totale (Germania ’45).
Quando una partita è persa conviene, a mio avviso, limitare le perdite – e non continuare a rilanciare.
Certo è, però, che quando il perdente continua a rilanciare, chi vince si riempie le tasche spolpandolo fino al midollo. E’ quindi nell’interesse del sicuro “vincitore” (il mondo finanziario?) stimolare il “condannato perdente” a continuare la partita, fino all’ultima camicia.
Io temo che alla fine perderemo moltissimo tutti – compresi quelli (come i Paesi dell’area Med) che attualmente pensano di essere i vincitori: e perderemo tutti molto di piú di quello che perderemmo accettando da subito (oggi, con almeno tre anni di ritardo) l’impossibilità del progetto Euro.
Attaccato sul frigo Un gran bel post
Non che qui ne manchino 😀