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Fine della crescita economica, ora è tempo di stallo
Nouriel Roubini, il quantitative easing e la voglia di exit strategy
Shhht… Parliamo piano perché il mercato queste cose non le vuole sentire. Infatti, complice la classe politica e chi gestisce l’economia, si sta facendo il possibile per mantenere calme le masse. E ci mancherebbe altro! Immaginatevi che succedeva se ad esempio, nel suo discorso post FOMC, il buon Ben Bernanke se ne usciva on un annuncio del tipo:
“Buonasera, volevo parlarvi della situazione economica: In massima sintesi, potrei dire semplicemente che siamo nella cacca. Il quantitative easing I da 1750 miliardi di dollari ci è costato il giusto e non ha portato nulla di buono, se non tanto debito; il quantitative easing II, più piccolo negli importi ma non meno importante, ha generato ulteriore debito senza però migliorare il mercato immobiliare, la fiducia, il mercato del lavoro. Ora mi chiedete un quantitative easing III che non posso darvi perché abbiamo raggiunto il tetto massimo del debito, perché la FED ha tantissimi titoli USA in pancia ed ha voglia di partire con l’exit strategy senza poterlo fare, perché tanto alla fine… non cambierebbe nulla. Il denaro inserito nel sistema non stimola la crescita vera e genera solo debiti e felicità momentanea, visto che coi food stamp permettiamo un pasto decoroso a milioni di americani. Quindi accontentatevi degli ultimi colpo del quantitative easing II, di quanto faremo ancora con le cedole che nel frattempo sono maturate e quindi sono a disposizione (quantitative easing “lite”) e poi l’economia ndrà come andrà. il nostro sostegno al mercato, come vi eravate ormai abituati, non può più proseguire”.
Beh, ovvio che il tono qui sopra è fantasioso, ma se leggete tra le righe quanto Bernanke ha detto al mercato, in modo come sempre controllato e pacato, non dista poi così tanto da quando da me affermato. E chi conosce ben e questo blog, sa con certezza che tutto questo era come da previsioni del S.I.D. ma non perché siamo dei mostri, ma semplicemente perché abbiamo guardato l’economia ed i dati in modo oggettivo, senza farci influenzare dai media, dai discorsi entusiastici sulla crescita economica, dal clima di falsa euforia.
Per rincararvi la dose, vi propongo oggi una lettura di un pezzo scritto da un personaggio che seguo da molto tempo. Nouriel Roubini. Dr Doom (così è chiamato nell’ambiente) è sempre stato un catastrofista, che poi col tempo ha “limitato” (maturato?) questo stile per uno più prudente e pacato. Ma questo articolo completa in modo ideale quanto sostenuto sopra. Vale sicuramente una lettura.
NEW YORK – Malgrado la serie di eventi ad alto impatto e a bassa probabilità che hanno colpito l’economia globale nel 2011, i mercati finanziari hanno continuato a crescere felicemente fino a un mese fa. L’anno è iniziato con il rincaro dei prezzi relativi ai generi alimentari, al petrolio e alle materie prime, che ha dato vita allo spettro dell’alta inflazione. Poi sono scoppiate le violente rivolte nel Medio Oriente, che hanno ulteriormente spinto al rialzo i prezzi del petrolio. In seguito è arrivato il terribile terremoto del Giappone, che ha arrecato gravi danni sia all’economia di questo paese che alle catene di distribuzione globali. Infine Grecia, Irlanda e Portogallo hanno perso l’accesso ai mercati del credito, rendendo necessari pacchetti di salvataggio ad opera del Fondo monetario internazionale e dell’Unione europea.
Ma c’è dell’altro. Sebbene la Grecia fosse stata salvata un anno fa, il Piano A è fallito miseramente. Il paese ellenico avrà bisogno di un altro salvataggio ufficiale – o di un intervento da parte dei creditori privati, opzione che sta alimentando un acceso dibattito tra policymaker europei.
Allo stesso modo, i timori sugli insostenibili deficit fiscali dell’America sono sfociati in terribili lotte politiche intestine, che hanno quasi portato a un collasso del governo. Si profila una battaglia simile sul “tetto del debito” americano che, se lasciata irrisolta, introdurrà il rischio di un default “tecnico” sul debito pubblico americano.
Fino a poco tempo fa, i mercati sembravano ignorare tali shock e, a parte alcuni giorni in cui il panico sul Giappone o il Medio Oriente aveva causato una correzione, hanno proseguito la loro marcia al rialzo. Dalla fine di aprile prevale però una maggiore correzione, riconducibile ai timori di un possibile e drastico rallentamento della crescita economica negli Stati Uniti e nel resto del mondo.
I dati provenienti dagli Usa, dal Regno Unito e dalla periferia dell’Eurozona, dal Giappone e persino dai paesi emergenti indicano che parte dell’economia globale, soprattutto le economie avanzate, potrebbero essere in stallo, se non addirittura vicine a una doppia recessione. A livello globale è aumentata l’avversione al rischio, dal momento che l’opzione di “concedere e fingere” o “prestare e pregare” a sostegno della Grecia si fa sempre meno auspicabile e lo spettro di un salvataggio disordinato diventa sempre più probabile.
Gli ottimisti sostengono che l’economia globale abbia puramente affrontato un “soft patch”, ossia una debolezza temporanea. Le aziende e i consumatori hanno reagito agli shock di quest’anno rallentando “temporaneamente” i consumi, la spesa dei capitali e la creazione di posti di lavoro. Fintanto che gli shock non peggioreranno (e che alcuni di essi non diventeranno particolarmente acuti), nella seconda metà dell’anno ripartiranno crescita e fiducia, e i mercati azionari riprenderanno il rally.
Ma ci sono buone ragioni per credere che stiamo attraversando una crisi temporanea più persistente. Innanzitutto, i problemi della periferia europea sono in alcuni casi problemi di reale insolvenza e non di illiquidità. Si tratta di ampi e crescenti deficit e debiti pubblici e privati, sistemi finanziari danneggiati che devono essere risanati e ricapitalizzati, un’enorme perdita di competitività, la mancanza di crescita economica e una disoccupazione dilagante. Non si può negare oltremodo la necessità di una ristrutturazione dei debiti pubblici e/o privati in Grecia, Irlanda e Portogallo.
In secondo luogo, i fattori che stanno rallentando la crescita americana sono cronici e includono un lento ma costante deleveraging del settore pubblico e privato, l’aumento dei prezzi del petrolio, una scarsa creazione di posti di lavoro, un’ulteriore fase di contrazione nel mercato immobiliare, gravi problemi fiscali a livello statale e locale, e un insostenibile deficit e debito a livello federale.
In terzo luogo, la crescita economica del Regno Unito è stata mediamente debole negli ultimi due trimestri, mentre le misure di austerità fiscale, che non sono state graduali bensì concentrate nella fase di aggiustamento iniziale, giungono in un momento in cui la crescente inflazione sta evitando un allentamento monetario da parte della Banca d’Inghilterra. L’inflazione potrebbe persino indurre la Banca ad aumentare i tassi di interesse entro l’autunno. E il Giappone, a causa del terremoto, sta scivolando ancora una volta verso la recessione.
Tutte queste economie stavano già crescendo in modo anemico e al di sotto del trend, quando l’attuale processo di deleveraging ha avuto bisogno di un rallentamento della spesa pubblica e privata allo scopo di incrementare i tassi di risparmio e ridurre i debiti. E ora, in aggiunta alla sequela di eventi noti come “cigno nero”, a cui hanno dovuto far fronte quest’anno le economie avanzate, gli stimoli monetari e fiscali sono stati rimossi in gran parte dei casi, o lo saranno presto.
Se ciò che sta accadendo si rivelerà molto più di una debolezza economica temporanea, la correzione del mercato proseguirà, indebolendo la crescita, mentre gli effetti di ricchezza negativi, derivanti dalla debolezza dei corsi azionari, ridurranno la spesa privata. Diversamente dal 2007-2010, quando ogni shock negativo e contrazione di mercato venivano neutralizzati da una maggiore azione politica da parte dei governi, questa volta i policymaker stanno esaurendo le cartucce a loro disposizione e potrebbero non essere in grado di rilanciare la ripresa del mercato azionario e far ripartire l’economia reale.
Questa mancanza di piani politici si riflette nella scelta fatta dalla maggior parte delle economie avanzate di abbracciare alcune forme di austerità per evitare un futuro disastro fiscale. Il debito pubblico si attesta già a livelli elevati, e molti paesi sovrani sono vicini alla crisi; l’abilità dei governi di soccorrere le proprie banche con salvataggi, garanzie statali e operazioni di separazione (ring-fencing) degli asset dubbi è quindi severamente vincolata. Un altro ciclo del cosiddetto “quantitative easing” potrebbe non essere attivato dalle autorità monetarie se l’inflazione crescesse, anche lentamente, nella maggior parte delle economie avanzate.
Se gli ultimi dati economici globali riflettessero qualcosa di più serio di un semplice “intoppo”, e i mercati e le economie continuassero a rallentare, i policymaker potrebbero ritrovarsi con un pugno di mosche in mano. Se ciò dovesse accadere, il rischio di uno stallo o di una doppia recessione crescerebbe vertiginosamente in molte economie avanzate.
Nouriel Roubini è presidente del Roubini Global Economics (www.roubini.com), professore di economia presso la Stern School of Business della NYU e co-autore di Crisis Economics (recentemente pubblicato in edizione economica).Source: Project Syndicate, 2011
Quindi per Nouriel Roubini si rischia un lungo periodo di stallo… Opsssss… Chi di voi era presente al nostro incontro dell’anno scorso a Milano, il Meeting nr.1 della storia di Intermarketandmore? Questi amici sicuramente ricorderanno un grafico che avevo commentato. Ve lo ripropongo per rinfrescarci la memoria e per dar modo a chi non c’era di poterne prendere visione…
Se la storia si ripete….
STAY TUNED!
DT
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Non si può negare che da quindici giorni a questa parte ci sia un forte e coordinato attacco speculativo sull’Italia….. cui prodest ?????
paolo41,
Si, secondo me “gatta ci cova”. Oggi poi le borse (bancari soprattutto) fanno su e giù peggio dell’ottovolante!
Qualcuno si ricorda di questa analisi di inizio maggio? Oggi sono andato a ripescarla… Da paura! http://intermarketandmore.finanza.com/files/2011/05/grafico-ftse-mib-analisi-ciclica-dna-1024×660.gif