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Ogni tanto si parla di Cina anche alla radio

Scritto il alle 16:35 da gaolin@finanza

Mercoledì scorso, 13 aprile, verso le 13.15 circa, ho acceso il motore dell’auto per andare a rifocillarmi e contemporaneamente mi sono trovato  sintonizzato su “Radio 24” che penso molti conoscono.

Il conduttore stava terminando un’intervista con un autorevole economista, di cui non sono sicuro di aver ben colto il nome, piuttosto a conoscenza di alcuni dati che riguardano il debito pubblico degli stati.

Con una certa enfasi costui citava il fatto che di questi tempi la Cina è diventato un grande e indispensabile acquirente di titoli di stati dei paesi dell’area Euro, specie di quelli in difficoltà.  A tal proposito, a titolo di esempio, ha detto che oggi la Cina già detiene il 12% del debito dello stato spagnolo e più del 25% del 50% del debito dello stato italiano in mani straniere.

Continuando ha detto che, se oggi non ci fosse la Cina a svolgere il  ruolo di acquirente, ci sarebbe una grave crisi finanziaria nell’area EU, con conseguente forte volatilità dell’Euro nel mercato delle valute, ovvero un suo forte deprezzamento.

Sempre nell’enfatizzazione della Cina, il signore citato ha ricordato l’enorme quantità di T-Bond USA che questa già detiene e che, nei suoi investimenti all’estero, oggi si sta spostando sempre più verso i titoli di stato dell’area Euro, con la duplice funzione/scopo di stabilizzazione dei mercati valutari e di mantenimento di parità monetarie tali da consentire alla Cina di essere ben competitiva nel mercato degli scambi commerciali.

Insomma che la Cina sia diventato il regolatore dei valori del cambio delle principali valute convertibili è ormai considerato un fatto acquisito e guai se non ci fosse. Il signore economista ha ben lasciato intendere che dobbiamo essere grati alla Cina di questo ruolo, perché altrimenti sarebbero grossi guai per tutti, specie per i mercati finanziari e poi per tutti gli altri.

Insomma la Cina può tranquillamente continuare a contare su molti amici, nel contesto economico occidentale, che l’aiutano a mantenere valida l’equazione:

N posti lavoro in più in Cina – N posti lavoro in meno dalle altre parti = 0

Alcune considerazioni

Sui pochi dati citati, credo abbastanza noti, c’è poco da dire. E’ il caso invece di riflettere su cosa guida il pensiero di questo signore e di chi, come lui, ha tanto a cuore le sorti della finanza occidentale, più o meno speculativa. A tutti costoro interessa che l’EUR valga molto, per evidenti motivi.

Personalmente debbo ammettere che i principi, che guidano me e i molti altri che della prosperità degli operatori finanziari non interessa un granchè, sono del tutto diversi.

A me interesserebbe che ci fossero politiche ben più attente ai settori economici che creano ricchezza vera e diffusa, ovvero l’industria, l’agricoltura e i servizi utili.

Interesserebbe che ci fosse ben più attenzione alle probabili, piuttosto che sicure, conseguenze di queste politiche finanziarie che oggi, stando a quanto asserito dal signore suddetto, consentono ancora alla finanza di continuare l’allegra creazione di valore fasullo, ovvero non legato a nulla che non sia il vantaggio di pochi a discapito dei molti.

Bisogna invece constatare che, nel mondo occidentale, si è imposta l’idea che il bene supremo da tutelare è la stabilità dell’attuale sistema finanziario il più a lungo possibile, poi nel frattempo si vedrà di individuare una qualche soluzione ai suoi problemi. Nel contempo, se il sistema manifatturiero occidentale va a rotoli o emigra verso lidi diversi poco importa. Al massimo si dovrà far finta di piangere sulla sorte dei disoccupati che non hanno saputo reinventarsi un lavoro diverso (quale?), che non si sono dati da fare abbastanza (spesso vero), che la classe imprenditoriale non ha saputo affrontare le nuove sfide, non ha saputo individuare nuovi business da sviluppare, ecc. ecc.

Come stanno le cose?

Credo di poter affermare che ben pochi esperti di finanza, signore sopra citato compreso, credano che l’attuale sistema finanziario possa reggere all’infinito, così com’è. Ovvero che pochi credano con convinzione che  sia possibile indefintamente continuare a incrementare i debiti delle famiglie, delle imprese, degli stati, come sta accadendo nel nostro occidente ma non solo, scaricandoli sulle future generazioni e nel contempo rendendo difficile/problematica/troppo rischiosa la possibilità di intraprendere un’iniziativa imprenditoriale autonoma, creatrice di ricchezza vera, come si poteva fino non moltissimi anni fa nel nostro occidente sviluppato.

Credo, anzi spero, che i signori che vedono nella Cina il salvatore delle finanze degli stati europei, oltre che degli USA, non la considerino un mecenate che, obtorto collo, si è rassegnato a fare la parte del finanziatore senza la speranza di ricevere il futuro rimborso che gli spetta, come normalmente dovrebbe accadere a chiunque presta denaro ad altri.

A volte però mi viene da pensare che qualcuno, molto in alto nel potere, creda veramente in questa assurdità. Probabilmente costui/costoro credono che, con qualche bombardamento o con qualcosa di peggio, si possano sistemare le future questioni che nasceranno, quando il grande debitore dovrà dire: “soldi non ne ho, quindi attaccatevi al tram”.  Se veramente si vorrà, coscientemene o no, andare in questa direzione allora è proprio meglio non stare a pensarci troppo sopra. Chi vivrà, vedrà come andrà a finire.

Molto meglio sarebbe rendersi finalmente conto che alla Cina non dovrebbe essere consentito di continuare a essere arbitro/tutore del sistema finanziario occidentale, senza neppure avere una valuta convertibile, regolarmente prezzata dal mercato.

Ruolo della Cina

E’ veramente singolare constatare che un paese, la Cina, in discreta parte ancora molto povero, finanzi i sollazzi dei popoli ricchi e che ciò non sia considerato una stranezza allarmante. Che il povero finanzi il ricco non è certo normale, infatti non mi pare ci siano stati molti esempi nella storia della Terra.

Ad ogni modo oggi va così. Quindi viene da chiedersi perché la Cina, attravreso i suoi governanti, sta assecondando o perpetrando questa politica?

Cerchiamo di capire

Togliendo dal campo subito l’ipotesi che i cinesi siano degli scemi, possiamo esaminare alcune conseguenze che si sono già esplicate e quali sono in procinto di avverarsi, a causa della tenace perseveranza del governo cinese nel mantenere un tasso di cambio del CNY del tutto scollegato dalla forza della propria economia e del suo potere di acquisto interno:

1-Il tasso di cambio basso, a suo tempo, ha fatto sì che una grandissima parte delle produzioni manifatturiere, a basso contenuto tecnologico ed elevata quantità di mano d’opera, migrasse da quelle parti. Oggi possiamo constatare che ben poco è rimasto di questo tipo di industria nei paesi occidentali e che difficilmente vi torneranno. Di questo alla nostra finanza poco importa ma credo importi molto ai milioni di disoccupati, provenienti dall’industria manifatturiera occidentale, che invano possono sperare di rientrare nel mondo del lavoro.

2-Il tasso di cambio basso ha reso gli investimenti in terra cinese estremamente convenienti, dal punto di vista del ritorno economico. In Cina, con relativamente bassi investimenti in immobilizzazioni, si realizzavano, fino non molto tempo fa, fatturati e soprattutto utili neppure immaginabili dalle nostre parti. Oggi la situazione è un po’ cambiata ma sarebbe ancora conveniente/interessante. Di questo alla finanza occidentale ha importato abbastanza ma non moltissimo. L’investire in Cina è per certi settori molto vincolato/controllato dalle autorità cinesi a cui interessa sì che le aziende vengano in Cina ma soprattutto che vi rimangano per sempre, magari attraverso una lenta e progressiva espropriazione della gestione dell’impresa.

3-Il tasso di cambio basso ha consentito a tutte le aziende che producono in Cina per l’esportazione di vendere i loro prodotti con margini/utli come detto enormi, pur a prezzi di molto inferiori a quelli occidentali. Come logica conseguenza tutte queste aziende si sono trovate e si trovano nella condizione di avere risorse economiche proprie per poter affrontare con continuità politiche di forti investimenti nell’ammodernamento delle loro tecnologie produttive, nella ricerca e nello sviluppo. In generale in tutto ciò che le può rendere sempre più competitive e innovative. Per chi non ha potuto seguire in diretta il miglioramento del sistema produttivo cinese, specie in questi ultimi 7-8 anni, è impossibile immaginare cosa è già accaduto da quelle parti. Si sono creati e consolidati colossi industriali con tecnologie modernissime che rapidamente stanno provocando lo smantellamento delle residue omologhe occidentali. Di questo la finanza occidentale credo sia del tutto inconsapevole e quindi non considera neppure questo problema.

4- Il tasso di cambio basso e la conseguente competitività delle loro merci ha consentito e continua a consentire alla Cina sempre più massicci avanzi commerciali. Ormai questi avanzi sono diventati strutturali e vista l’enormità del loro valore, pericolosissimi. Ultimamente appaiono articoli di stampa che rilevano come nel 2011, dopo tanti anni, per la prima volta, la bilancia commerciale cinese del primo bimestre registra un lieve disavanzo, causa il fatto che l’import è aumentato in valore dell’oltre 35% mentre l’export solo del 25% circa. Mancano i gridi di giubilo e gioia per fortuna. Ad ogni modo bisognerebbe rammentare ai gioiosi commentatori economici occidentali che il grosso dell’import cinese sono le materie prime, di cui sappiamo la recente evoluzione dei prezzi e che quest’anno il capodano cinese è capitato in pieno febbraio, periodo durante il quale l’economia cinese si ferma per un sano riposino, simile al nostro ferragosto. Su questo alla finanza occidentale interessa poco indagare e soprattutto capire. Più importante è spargere un po’ di fumo confusionale in modo però che a nessuno possano venire dubbi sulla sostenibilità del baraccone.

5- Il tasso di cambio basso e la conseguente continua creazione di enormi giacenze di valuta convertibile (USD+EUR principalmente) presso la People Bank of China hanno spinto i cinesi a trovare impieghi remunerativi per queste (i Bond) o a effettuare investimenti mirati a conseguire vantaggi a breve ma soprattutto a lungo termine. Quest’ultimi molto più consoni allo spirito e mentalità dei cinesi, che hanno come grandi virtù la lungimiranza, la pazienza, la visione a lungo termine.

Conseguenze gravi per l’occidente

Già quelle elencate nei vari punti sopra citati dovrebbero far rizzare i peli a tutti come si dice. Andando un po’ avanti con le ipotesi su come potrebbero evolversi queste faccende, non c’è da stare allegri. Credo che anche il signore economista che pontificava su Radio 24 dovrebbe ben preoccuparsi, più che rallegrarsi, degli interventi cinesi sul mercato dei titoli di stato europei.

Bisognarebbe tenere ben fermo il fatto che i cinesi, pur mostrando facce sorridenti, sono dei tipi tosti, determinati, astuti e pazienti ma ben consapevoli di quale forza economica e finanziaria già hanno e soprattutto avranno nelle loro mani nel futuro prossimo e che utilizzeranno nell’eclusivo interesse della Cina.

A me viene da pensare che in occidente si prospettano tempi ancora più bui per tutti. Questa volta anche per la nostra allegra finanza.

C’è però un aspetto positivo dei cinesi. Non sono dei cattivi, anzi. Amano giocare al gatto contro il topo, stando ben accorti a non ucciderlo. Sai però che allegria fare il topo nelle grinfie dei cinesi.

Buone riflessioni a tutti.

Gaolin

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4 commenti Commenta
marco
Scritto il 19 Aprile 2011 at 08:58

Ottimo articolo. Deprimente, ma illuminante.

paolo41
Scritto il 19 Aprile 2011 at 09:12

Gaolin,
varie volte, durante la settimana, ho occasione di ascoltare anch’io tale trasmissione radiofonica e la trovo, generalmente, superficiale e povera di contenuti professionali; anzi spesso, è volutamente maliziosa e parziale. Non è che questi aspetti non si ritrovino anche nel quotidiano 24 ORE (essendo il giornale di Confindustria), a cui però bisogna riconoscere, spesso, contenuti e argomentazioni di livello professionale elevato.
Ma il tuo articolo mi dà lo spunto per esternare alcune considerazioni su alcuni ultimi fatti di cronaca industriale :
-ad una recente puntata di Sky Economia un esponente di Confindustria ( mi sembra Galli, ma non sono sicuro al 100%) ha esplicitamente dichiarato che l’industria lattiero-casearia non è strategica per l’Italia. A me avrebbe fatto molto piacere che tali dichiarazioni le avesse fatte in un’assemblea dove partecipavano i produttori di latte italiani attuali fornitori di Parmalat; sarebbe stato altrettanto interessante avesse spiegato come è cambiato il parco fornitori delle aziende casearie acquistate da Lactatis in Italia e quanto delle materie fondamentali alla produzione viene attualmente importato dalla Francia e da altri paesi esteri.
Dovrebbe anche spiegare come mai in Francia c’è una stretta filiera che va dalle stalle fino alla grossa distribuzione strenuamente difesa dal “sistema rete” francese, mentre con il beneplacito assenteismo della Confindustria e di qualche altra istituzione abituata solo a reclamare, di sistema rete in Italia se ne parla solo per dichiararne … l’inesistenza.
O generalizzando su altri comparti, quanto è rimasto come produzione in Italia delle aziende che, in questi anni, sono state vendute ad aziende straniere????… come ho detto in altre occasioni, sono state vendute le quote di mercato e il “lavoro” è stato trasferito in stabilimenti esteri.
Personalmente ne potrei portare diversi esempi e alcuni sono sui giornali anche in questi giorni; se ci mettiamo tutti insieme facciamo una lista impressionante!!!!
La Confindustria dovrebbe assumere, con il supporto del governo e dei sindacati, un ruolo simile a quello che è stato il MITI in Giappone, è insieme favorire la costituzione di filiere agevolate da programmi di R&S e di defiscalizzazione degli investimenti, nonchè agevolazioni fiscali per quanto viene investito al Sud (se lo fanno l’Irlanda e i lender tedeschi, perchè non posssiamo farlo anche noi).

-mi hanno lasciato, anche, molto perplesso le dichiarazioni della Marcegaglia sulla “solitudine” del sistema industriale italiano e i suoi commenti negativi sull’azione del governo per “salvare” Parmalat dall’attacco dei francesi.
Su questo ultimo punto sono costretto a leggerci un tentativo di difesa di indipendenza dell’impresa italiana da iniziative del governo, in contraddizione con la dichiarazione “siamo soli”… o forse vede, con preoccupazione, minata la possibilità di cedere in tempi futuri le attività italiane a concorrenti stranieri.
D’altra parte il gruppo Marcegaglia ha appena inaugurato un grosso investimento in Cina per la produzione di tubi ad alta qualità dove ha un significativo know-how…. dovrebbe essere, stando alle dichiarazioni, per i fabbisogni locali….. viene naturale domandarsi se ha usufruito dell’aiuto della Sace ed entro quanto tempo vedremo un calo della produzione italiana… Se cosi fosse, che è giustificabile in un’ottica imprenditoriale, non si può contemporaneamente mandare a dire al governo che c’è bisogno di compagnia….

andrea.mensa
Scritto il 19 Aprile 2011 at 10:55

bellissimo articolo… condivido quanto scritto, e ringrazio per la bella sintesi.

gaolin
Scritto il 19 Aprile 2011 at 11:53

paolo41,

Quanto scrivi nel tuo commento è denso di parole sante, così si diceva un tempo.
Che l’Italia sia ben dotata di voglia di intraprendere è ancora abbastanza vero ma con l’attuale situazione delle parità monetarie è un’impresa in molti settori quasi impossibile, checchè ne dicano coloro che parlano ma non fanno.
Il gruppo Marcegaglia ha inaugurato da poco in Cina un immenso stabilimento e sta partendo con la produzione. Il mercato cinese è già di per sè enorme ma credo che, se avrà opportunità di guadagnare di più esportando, lo farà certamente.
Però alla cara Emma su questo non si può imputare nulla. Fa quello che deve fare un imprenditore, se vuole restare nel mercato.
Piuttosto sono altri, i governanti, che devono tutelare gli interessi nazionali e non essere asserviti completamente, di fatto, a quelli delle oligarchie finanziarie, come avviene nell’occidente, paese più paese meno.
I governanti cinesi sotto questo aspetto sono molto diversi e ne vediamo i risultati.

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