in caricamento ...
ENERGIA SOLARE: LA SOLUZIONE?
Quante volte si parla di crisi energetica. Quante volte si è parlato di energia alternativa. Giorni fa ho ricevuto da un amico lettore un’email sull’argomento, email che ritengo molto interessante. Visto l’argomento, decisamento “cool”, ho pensato di postare tale articolo e di chiedere all’autorevole paltea che cosa ne pensa…
A presto!
Sostieni il blog di Intermarketandmore! Fai una donazione! (vedi QUI a lato come procedere oppure visita la pagina “Chi sono”).
Grazie e buona lettura!
DT
STATI UNITI: IL GRANDE PROGETTO SOLARE
(fonte: American Scientific & www.ilprofessorechos.it )
Se è vero (ed è vero) che la nostra vita degli ultimi 50 anni ruota attorno ad una sola parola che risponde al nome di petrolio… allora vuol dire che siamo proprio messi male!
In America, che ha deciso di pagare un prezzo assai elevato per proteggere i suoi interessi petroliferi all’estero, questo lo hanno capito, come hanno capito
che l’ingresso di Cina e India sulla scena mondiale fa aumentare a dismisura la domanda globale di combustibili fossili, e che le centrali elettriche che bruciano carbone, petrolio e gas naturale, nonché i veicoli di tutto il mondo che sfornano milioni di tonnellate di sostanze inquinanti e di gas ad effetto serra nell’atmosfera ogni anno, minacciano il clima del pianeta: loro lo sanno bene, visto che capita spesso che sono in balia di terrificanti uragani che seminano morte e distruzione… Si, di certo lo hanno capito! Per questo, nel più progredito Paese del mondo, scienziati, ingegneri, economisti e politici hanno proposto varie misure che potrebbero ridurre leggermente l’uso di combustibili fossili e le emissioni inquinanti. Si parla di un gigantesco progetto per sfruttare l’energia solare, che potrebbe dare agli Stati Uniti, anche se oggi può sembrare inverosimile l’indipendenza dal petrolio estero e tagliare le emissioni di gas serra. Per passare all’energia solare ampie aree del territorio statunitense dovrebbero essere coperte da pannelli fotovoltaici e pannelli per il solare termico. Inoltre, bisognerebbe realizzare un’infrastrruttura a corrente continua per distribuire quell’energia in modo efficiente in tutta la nazione. La tecnologia solare è pronta e può fare una grande differenza. Alcuni ritengono che il passaggio al solare possa fornire il 69 per cento dell’elettricità degli Stati Uniti e il 35 per cento della sua energia totale (inclusi i trasporti) entro il 2050.
Per realizzare questo piano la prima potenza mondiale ha un sacco di spazio e di luce solare a disposizione. Se si pensa che l’energia della luce solare che investe la Terra in 40 minuti è pari al consumo mondiale di energia in un anno e che nel solo sud ovest degli Stati Uniti ci sono circa 650 mila chilometri quadrati di territorio adatti alla costruzione di impianti solari (come quello in Arizona) che ricevono più di 1,3 milioni di terawattora di radiazione solare all’anno… e che basterebbe solo il 2,5 per cento convertito in elettricità a soddisfare il consumo di energia totale della nazione in un anno… ci si convince ancor di più che passare all’energia solare sarebbe la risposta più logica.
Secondo gli autori di questo mega progetto americano, Ken Zweibel, James Mason e Vasilis Fthenakis, tutti professionisti del settore, l’energia solare potrebbe essere venduta agli utenti finali a prezzi paragonabili a quelli attuali negli Stati Uniti: 6 centesimi a chilowattora (kWh). Sviluppando anche l’energia eolica, le biomasse e l’energia geotermica, entro il 2100 le fonti rinnovabili sarebbero in grado di fornire il 100 per cento dell’elettricità degli Stati Uniti e il 90 per cento del fabbisogno energetico totale.
Volendo dare un seguito a questo piano, il governo federale dovrebbe investire più di 400 miliardi di dollari nei prossimi 40 anni per completare il piano al 2050. Un investimento notevole ma che avrebbe un ottimo ritorno. Gli impianti solari consumano poco o niente combustibile, il che consentirebbe di risparmiare nel corso degli anni miliardi e miliardi di dollari. L’infrastruttura andrebbe a sostituire 300 grandi centrali a carbone e 300 impianti ancora più grandi di gas naturale e tutti i combustibili che consumano. Con questo piano si potrebbero eliminare tutte le importazioni petrolifere e diminuire pertanto il deficit della bilancia commerciale degli Stati Uniti, allentando, in tal modo, la tensione politica in Medio Oriente e altrove. Oltreciò, poiche la tecnologia solare è energia pulita, si ridurebbero le emissioni di gas serra delle centrali di 1,7 miliardi di tonnellate l’anno, mentre la diffusione di veicoli ibridi che si ricaricano alla rete elettrica, consentirebbe un ulteriore risparmio di 1,9 miliardi di tonnellate di emissioni inquinanti dovute ai veicoli a benzina. Nel 2050 le emissioni di anidride carbonica degli Stati Uniti diminuirebbero del 62 per cento rispetto ai livelli del 2005, ponendo un grosso freno al riscaldamento globale.
Negli ultimi anni il costo di produzione di celle e moduli fotovoltaici si è ridotto significativamente, aprendo una nuova via allo sviluppo in grande scala. Al momento esistono vari tipi di celle, ma le meno costose sono i moduli thin film (film sottile) realizzati in tellururo di cadmio. Per fornire energia elettrica a sei centesimi al kWh entro il 2020, i moduli thin film in tellururo di cadmio dovrebbero convertire energia elettrica con un efficienza del 14 per cento e i sistemi dovrebbero essere installati a un dollaro e 20 centesimi per watt di capacità. Con i moduli attuali l’efficienza è del 10 per cento e un sistema installato costa circa 4 dollari per watt.
Con la tecnologia che va sempre più progredendo, solo negli ultimi 12 mesi l’efficienza dei moduli commerciali è passata dal 9 al 10 per cento. Questo significa che l’installazione di pannelli solari sui tetti sarà sempre più conveniente poichè più competitivo, riducendo la domanda di elettricità durante il giorno.
Secondo il piano elaborato da Zweibel, Mason e Vasilis Fthenakis, entro il 2050 la tecnologia fotovoltaica potrebbe fornire quasi 3000 gigawatts (GW), o di miliardi di watt di potenza che richiedono l’installazione di circa 78 mila chilometri quadrati (poco meno di Lazio, Campania, Molise, Puglia, Basilicata e Calabria messe insieme) di pannelli. Anche se questa area può sembrare enorme, gli impianti già in atto indicano che la superficie necessaria per ogni gigawatt-ora di energia solare (1 000 MW o 1 000 000 000 W) prodotto nel sud ovest degli Stati Uniti è inferiore a quella necessaria per un impianto equivalente a carbone, tenendo conto anche delle miniere di estrazione.
Da studi realizzati dal National Renewable Energy Laboratory in Golden, Colo., viene dimostrato che nel sud ovest ci sono terreni a sufficienza, senza dover occupare aree ecologicamente sensibili, centri abitati o terreni difficoltosi. La natura innocua degli impianti fotovoltaici, considerando anche il consumo di acqua nullo, non dovrebbe arrecare nessun tipo di preoccupazioni ambientali.
La cosa più importante da fare, allora, è quella di aumentare l’efficienza di conversione del modulo al 14 per cento, una strada sicuramente percorribile. L’efficienza dei moduli commerciali non raggiungerà mai quella delle celle solari realizzate in laboratorio, tuttavia le celle a tellururo di cadmio del National Renewable Energy Laboratory arrivano già al 16,5 per cento.
Il punto debole dell’energia solare è quello di essere soggetta ad un efficace funzionamento solo se c’è il sole. E’ quindi indispensabile produrne di più durante le ore soleggiate, per poterla conservarla per le ore notturne.
Al momento, la maggior parte dei sistemi di stoccaggio come le batterie, è costosa o ineficciente, ma può essere considerato praticabile l’immagazzinamento dell’energia mediante aria compressa. L’energia elettrica generata dagli impianti fotovoltaici comprime l’aria, pompandola in spelonche sotterranee, miniere abbandonate, negli strati acquiferi e nei pozzi esauriti di gas naturale. L’aria compressa viene rilasciata a richiesta per azionare una turbina che genera l’elettricità, con l’ausilio della combustione di piccole quantità di gas naturale. Questo tipo d’impianti d’imagazzinaggio ad aria compressa sono già in funzione in Germania da diversi anni. Le turbine bruciano soltanto il 40 per cento del gas naturale che consumerebbero senza l’ausilio dell’aria compressa, e la tecnologia di recupero del calore abbasserebbe la percentuale fino al 3 per cento.
All’ Electric Power Research Institute in Palo Alto (California) risulta che il costo d’immagazzinamento di energia sotto forma di aria compressa corrisponde circa alla metà di quella alle batterie al piombo. Questi impianti aggiungerebbero 2, 3 centesimi per Kwh alla generazione fotovoltaica, portando così il costo totale a 8, 9 centesimi per chilowattora al 2020.
L’energia elettrica delle farm fotovoltaiche del sud-ovest sarebbe inviata su linee di trasmissione ad alta tensione in corrente continua sino agli impianti di stoccaggio ad aria compressa in tutto il paese, dove le turbine potrebbero generare energia elettrica dovunque e per tutto l’anno. La chiave sta nel trovare siti adeguati. Tuttavia, una mappa realizzata dall’ Electric Power Research Institute e dall’industria del gas naturale, dimostra che esistono formazioni geologiche idonee nel 75 per cento del territorio del Paese, e spesso in prossimità di aree metropolitane.
In effetti, un sistema di immagazzinamento dell’energia ad aria compressa sarebbe simile al sistema di distribuzione del gas naturale nazionale, che immagazzina 220 miliardi di metri cubi di gas (8 trilioni di cubic feet) in 400 serbatoi sotterranei.
Se questo piano venisse messo in atto, entro il 2050 richiederebbe 535 miliardi di cubic feet (15 miliardi di metri cubi) di stoccaggio, con aria pressurizzata a 75 atmosfere (1100 libbre per pollice quadrato). Anche se lo sviluppo sarà una sfida, abbondanza di riserve disponibili, e sarebbe ragionevole per l’industria del gas naturale di investire in una tale rete.
Anche se lo sviluppo sarebbe una sfida, l’abbondanza di riserve disponibili dovrebbe indurre l’industria del gas naturale ad investire in un questo tipo di rete.
Un’ altra tecnologia ancora poco conosciuta, che permette una produzione più indipendente dal ciclo diurno del Sole e che forse potrebbe rifornire un quinto dell’energia solare, nello scenario ipotizzato da questo studio, sono gli impianti solari termici a concentrazione (Concentrating Solar Power), i quali consentono di produrre quantità significative di elettricità e – in futuro – di idrogeno a costi competitivi. Questo tipo d’impianto utilizza la radiazione diretta del Sole, concentrandola tramite specchi su un “ricevitore” (un tubo riempito di fluido termovettore) che trasforma la radiazione in calore.
Per immagazzinare l’energia la conduttura percorre un enorme serbatoio isolato riempito di sale fuso, che ha la proprietà di conservare il calore im modo efficiente. Il calore trasferito durante il giorno viene estratto nel corso della notte, producendo vapore. Tuttavia, seppur lentamente, il sale fuso si raffredda, facendo sì che l’energia accumulata debba essere utilizzata nel giro di 24 ore.
Gli impianti che già sono operativi dimostrano che il solare termico a concentrazione (Csp) è valido, ma c’è bisogno di ridurre i costi. A questo dovranno contribuire le economie di scala e la ricerca. Un rapporto del 2006 della Solar Task Force degli stati federali del sud ovest, quelli potenzialmente interessati a questo grande piano solare, ha previsto che l’energia solare concentrata potrebbe fornire energia elettrica a 10 cents per Kwh o meno entro il 2015, qualora venissero costruiti impianti per 4 GW di potenza. L’efficienza operativa potrebbe aumentare se si trovasse un modo per aumentare la temperatura dei fluidi dello scambiatore di calore. Un’altra strada percorribile potrebbe essere pure usare i sali fusi come fluidi di trasferimento del calore, consentendo ad una centrale di operare con un solo scambiatore di calore invece di due, riducendo, in tal modo, le perdite di calore e gli investimenti necessari.
Il Csp e il fotovoltaico rappresentano due percorsi tecnologici diversi: ne l’uno nell’altro sono completamente sviluppati, per questo il progetto ne contempla un impiego su larga scala entro il 2020, dando così tempo a queste due tecnologie di evolvere. Potrebbero nascere altre diverse combinazioni di tecnologie solari e man mano che le installazioni cresceranno, sarebbe possibile valutare i pro e i contro sia dal punto di vista ingegneristico sia da quello economico.
Un sistema di produzione e distribuzione di energia solare sarebbe diverso da quello attuale anche dal punto di vista geografico: ora le centrali a carbone, petrolio, gas naturale e nucleare sono sparse un po’ dappertutto, ma comunque non troppo distante da dove si consuma l’energia. E dato che la maggior parte della produzione solare si collocherebbe nel sud ovest del Paese, la rete a corrente alternata (alternating-current – AC)
esistente non è abbastanza robusta per trasferire la potenza dagli impiantio fino agli utenti finali: sulle lunghe distanze si disperderebbe l’energia ancor prima di arrivare alla meta. Dovrebbe perciò essere costruita una nuova infrastruttura di trasmissione ad alta tensione in corrente continua (direct-current – HVDC).
Uno studio condotto dall’Oak Ridge National Laboratory indica che sulla lunga distanza la trasmissione ad alta tensione in corrente continua (HVDC) disperde meno energia di quella a corrente alternata (AC). L’infrastruttura distribuirebbe l’energia dalle centrali solari in tutte le direzioni. Le linee terminerebbero nelle centrali di conversione, dove la corrente sarebbe trasformata in AC (corrente alternata), e inviata sulle linee di distribuzione regionale. Il sistema a corrente alternata ha superato i suoi limiti di capacità, provocando numerosi blackout; le linee a corrente continua invece sono meno costose da costruire e richiedono una superficie minore rispetto a linee a corrente alternata equivalenti (AC). Ad oggi, le circa 500 miglia di linee a corrente continua (HVDC) operative negli Stati Uniti hanno dato prova di affidabilità ed efficienza.
Il grande piano solare negli Stati Uniti ipotizzato dagli autori di questo progetto prevede due distinte fasi.
La prima fase, da ora fino al 2020, deve rendere competitivo il solare a livello di produzione di massa. Questa fase richiederà l’intervento del governo che dovrà concedere prestiti di 30 anni, acquistare questo tipo di energia e fornire sussidi e il supporto per le sovvenzioni. In questo caso, il pacchetto degli aiuti annuali sarebbe in costante aumento dal 2011 al 2020, sino a che la tecnologia solare non sarà in grado di competere col mercato. Il totale delle sovvenzioni toccherebbe i 420 miliardi di dollari (più avanti verrà spiegato come reperirli).
Per il 2020 dovrebbero essere installati impianti a concentrazione solare pari a 84 GW. Allo stesso tempo, dovrebbe essere realizzata la rete di trasmissione a HVDC (corrente continua) che potrebbe espandersi lungo i terreni federali delle autostrade interstatali, minimizzando l’acquisizione del nuovo terreno e le lungaggini burocratiche. L’infrastruttura potrebbe raggiungere mercati importanti dell’ovest a Phoenix, Las Vegas, Los Angeles e San Diego e dell’est a San Antonio, Dallas, Houston, New Orleans, Birmingham, Tampa ed Atlanta.
Costruire 1,5 GW di potenza fotovoltaica e 1,5 GW di Csp (energia solare a concentrazione) all’anno nei primi 5 anni stimolerebbe molto i produttori. Nel lustro successivo si dovrebbero costruire impianti per 5 GW di potenza per ciascuna tecnologia, consentendo ai produttori di ottimizzare le linee di produzione. Il risultato di questa primo fase consentirebbe di far abbassare il costo dell’elettricità sotto i 6 cents per Kwh.
Il programma è realistico: è già accaduto che dal 1972 al 1987 sono state costruite ogni anno negli Stati Uniti centrali nucleari per una potenza di 5 GW. Oltreciò, allestire centrali solari è più semplice, più veloce e si hanno meno complicazioni di quelle convenzionali.
Nel progetto ipotizzato si confida sul fatto che gli incentivi rimangano effettivi fino al 2020, in modo che la crescita del settore possa autosostenersi dopo questa data.
Gli autori del piano solare mantengono tuttavia la prudenza nell’estendere il loro piano di attuazione del progetto fino al 2050, non prendendo in considerazione eventuali progressi tecnologici ed economici successivi al 2020, ed ipotizzando che la domanda cresca dell’uno per cento all’anno (mentre è noto che negli USA i consumi elettrici sono altissimi e potrebbero essere ridotti con un piano di efficienza energetica).
In questo scenario gli impianti ad energia solare fornirebbero il 69 per cento dell’elettricità e il 35 per cento dell’energia primaria dell’intero Paese entro il 2050. Questi valori comprendono il fabbisogno energetico di 450 milioni di veicoli ibridi che si ricaricherebbero connettendosi alla rete, e che dovrebbero sostituire quelli a benzina. Di conseguenza, verrebbero creati circa tre milioni di nuovi posti di lavoro, la maggior parte dei quali nei componenti per le centrali solari, che supererebbe di gran lunga quei posti di lavoro persi dall’industria per la lavorazione dei combustibili fossili.
Tutto ciò consentirebbe di ridurre la dipendenza dalle importazioni di petrolio e alleggerire l’effetto delle emissioni di gas serra. L’enorme diminuzione dell’importazione di greggio influirebbe positivamente sulla bilancia dei pagamenti per il commercio estero di circa 300 miliardi di dollari all’anno.
Una volta installati, gli impianti ad energia solare abbisogneranno di manutenzione e di riparazione, ma questo non influirà sul costo della bolletta poichè il prezzo dell’energia solare rimarrà pari a zero, il che raddoppierebbe il risparmio sui combustibili fossili anno dopo anno. Poi, l’investimento sul solare aumenterebbe la sicurezza dell’energia nazionale, riducendo gli investimenti nel settore bellico e diminuendo i costi sociali dell’inquinamento e del global warming (riscaldamento globale). Quindi salute, vita sociale, tutela ambientale delle coste, dei terreni coltivabili…
Poi, se si prende in considerazione a quanta energia viene utilizzata per far andare avanti l’apparato convenzionale (processo di estrazione e lavorazione dei combustibili fossili)…, il grande piano solare ridurrebbe i consumi energetici. Anche con un aumento della domanda dell’uno per cento all’anno, i 29 petwattora (PWh= 10 elevato a 12 chilowattora) consumati nel 2006 scenderebbero a 27 nel 2050.
Per raggiungere gli obiettivi al 2050 occorrono circa 120 mila chilometri quadrati di territorio per fotovoltaico e solare termico a concentrazione (Csp). Pur se la superficie è vasta, in effetti costituisce solo il 19 per cento dei territori disponibili del sud ovest degli Stati Uniti (Kentucky, Tennessee, Alabama, Louisiana, Mississippi, Arkansas, Oklahoma, Texas…). La maggior parte di questa area non ha alcun valore per uno sfruttamento alternativo, per esempio agricolo. E non subirebbe nessun inquinamento. Il Piano difatti ipotizza che nel 2050 solo il 10 per cento della capacità solare sia ricavata da impianti fotovoltaici distribuiti su edifici o terreni privati. Ma via via che i prezzi scenderanno in seguito alla produzione in serie, questi impianti potrebbero avere un ruolo più rilevante.
Sebbene non sia possibile progettare con esattezza quello che succederà fra 50 anni o più, si è voluto fare, a titolo d’esercizio, uno scenario al 2100 alfine di dimostrare il notevole potenziale dell’energia solare.
Per quell’anno, sulla base di questo piano, la domanda di energia (compreso i trasporti) è progettata per essere di 40 PWh, sette volte maggiore di quella attuale. Si è voluto, dunque, effettuare una stima prudente della capacità degli impianti solari necessaria nelle peggiori condizioni di esposizione solare nel sud ovest americano registrate storicamente, quelle degli inverni 1982-1983 e 1992-1993 a seguito della catastrofica eruzione del Mount Pinatubo (15 giugno 1991), nelle Filippine, che eruttò nella stratosfera qualcosa come 20 milioni di tonnellate di anidride solforosa.
E ancora una volta non si è voluto ipotizzare progressi tecnologici o abbattimento dei costi oltre il 2020, benchè sia difficile dubitare che nei prossimi 80 anni le ricerche non portino ad un miglioramento dei costi, dell’efficienza di conversione e dello stoccaggio dell’energia solare.
Basandoci su questi presupposti, dicono gli autori del progetto, la domanda di energia degli Stati Uniti potrebbe essere soddisfatta con le seguenti capacità: 2,9 TW (terawatt) di potenza fotovoltaica immessa direttamente nella rete e altri 7,5 TW dedicati allo stoccaggio ad aria compressa; 2,3 TW di potenza solare a concentrazione; 1,3 TW di impianti fotovoltaici distribuiti. La fornitura sarebbe completata con 1 TW di parchi eolici, 0,2 TW di impianti per l’energia geotermica e 0,25 TW di produzione di combustibili da biomasse. Il modello comprende 0,5 TW di pompe per il calore geotermico per il riscaldamento e condizionamento degli edifici.
I sistemi solari richiederebbero circa 165 miglia quadrate (780 mila Kmq) di terre, ancora meno della superficie adatta e disponibile nel sud ovest.
Nel 2100 questa gamma di fonti rinnovabili potrebbe generare il 100 per cento di tutta l’energia elettrica e più del 90 per cento del totale di energia degli Stati Uniti. In primavera e in estate, l’infrastruttura solare potrebbe produrre abbastanza idrogeno da soddisfare oltre il 90 per cento della domanda di combustibili del traffico veicolare e sostituire la piccola fornitura di gas naturale usata come ausilio delle turbine ad aria compressa. Altri 48 miliardi di galloni (180 miliardi di litri) di biocarburanti coprirebbero il resto dell’energia necessaria per i trasporti.
A questo punto le emissioni di anidride carbonica sarebbero inferiori del 92 per cento rispetto a quelle prodotte nel 2005.
Il nostro, dicono gli autori, non è un piano di austerità, poichè tiene conto di un incremento della domanda dell’uno per cento all’anno, in grado di garantire uno stile di vita simile a quello attuale con i miglioramenti previsti nella produzione e nel consumo di energia.
Ma come reperire i 420 miliardi di dollari necessari a pagare questo rinnovamento dell’infrastruttura energetica del paese?
Una delle idee più comuni è l’applicazione di una carbon tax da 40 a 90 dollari per tonnellata di carbone. Lo sostiene l’International Energy Agency, la quale suggerisce di spingere i produttori di energia ad adottare sistemi di sequestro del carbonio e d’immagazzinamento dell’energia. L’imposta è equivalente ad un aumento del prezzo dell’energia elettrica di 1 o 2 cents per kWh. Tuttavia, il piano energetico solare di cui ci stiamo occupando costa di meno: i 420 miliardi di dollari si potrebbero reperire con una tassa di 0,5 centesimi al kWh. Poichè oggi negli Stati Uniti l’elettricità è venduta ad un prezzo compreso tra 6 e 10 cents per kWh, l’aggiunta di uno 0,5 cent per kWh sembra ragionevole.
Il congresso potrebbe istituire incentivi finanziari mediante l’adozione di un piano nazionale di energia rinnovabile. Più o meno come è accaduto per il Farm Price Support, il programma di sussidi all’agricoltura che è stato giustificato da esigenze di sicurezza nazionale.
Un programma di sostegno per i prezzi del solare potrebbe garantire il futuro energetico della nazione, vitale per il benessere a lungo termine del Paese. Le sovvenzioni, sarebbe progressivamente implementati dal 2011 al 2020. Con un periodo di restituzione standard di 30 anni, la fine delle sovvenzioni terminerebbe tra il 2041 e 2050. Le compagnie elettriche della rete di trasmissione a HVDC (high-voltage DC transmission = corrente continua) non dovrebbero essere sovvenzionate, poichè potrebbero finanziare la costruzione di linee di tensione e centrali di conversione, come fanno adesso con le linee a corrente alternata (AC= alternating-current), mediante la realizzazione dei ricavi provenienti dalla fornitura di elettricità.
Sebbene sia una cifra considerevole, 420 miliardi di dollari è meno costosa sia dell’attuale programma Farm Price Support, sia dei sussidi fiscali per realizzare l’infrastruttura nazionale di telecomunicazioni ad alta velocità negli ultimi 35 anni. E libererebbe gli Stati Uniti da questioni finanziarie e politiche causate dai conflitti internazionali legati all’energia.
Senza sussidi, il grande piano solare non è possibile. Altri paesi hanno raggiunto conclusioni simili: il Giappone sta costruendo un’ampia infrastruttura solare con un piano incentivante, e la Germania ha avviato un programma a livello nazionale.
Sebbene l’investimento sia alto, non bisogna però dimenticare che la radiazione solare è gratuita. Non comporta costi annuali per il controllo dell’inquinamento, come quelli con l’energia ricavata dal carbone, petrolio o nucleare, ma solo un piccolo costo aggiuntivo per il gas naturale nei sistemi ad aria compressa, che però potrebbe essere sostituito da idrogeno e biocarburanti. Quando si sarà raggiunto il risparmio dei combustibili, per i prossimi decenni il costo dell’energia solare sarà un affare. Ma non si può aspettare sino ad allora per mettere in moto questo progetto.
I critici hanno sollevato alcune obiezioni, ad esempio che i limiti dei materiali potrebbero ostacolare una installazione su larga scala. Con un rapido sviluppo non si possono escludere problemi temporanei di approvvigionamento. Tuttavia esistono diversi tipi di celle che usano differenti combinazioni di materiali. Inoltre, i progressi nelle lavorazioni e nel riciclaggio stanno riducendo la quantità di materiali necessari per produrre le celle. E nel lungo periodo gran parte delle vecchie celle solari potrebbero essere riciclate in nuove celle, trasformando il quadro del sistema di fornitura dell’energia del Paese, dai combustibili in via di esaurimento ai materiali riciclabili.
Il grande ostacolo per la diffusione di un sistema di energie rinnovabili in America non è la tecnologia o il denaro. È la mancanza di consapevolezza diffusa che l’energia solare è un’alternativa praticabile, capace di sostenere anche i trasporti. Gli analisti più lungimiranti dovrebbero cercare di convincere i cittadini americani, i responsabili delle istituzioni scientifiche e i leader politici dell’incredibile potenziale dell’energia solare. Una volta che questo potenziale sarà stato compreso – dicono concludendo gli autori del grande piano solare – siamo certi che il desiderio di autosufficienza energetica e la necessità di ridurre le emissioni di anidride carbonica prevarrà su tutto e si adotterà allora un piano solare nazionale.