SPECIAL REPORT: Il disastroso successo dell’EURO (Ultima parte)

Scritto il alle 14:25 da gaolin@finanza

Ecco perchè l’Italia è finita in un inferno da cui non potrà più uscire

All’indirizzo EURO I, EURO II, ed EURO III i lettori di I&M potranno leggersi le prime tre parti di questo complesso e lungo post, dedicato all’analisi del “successo” dell’EURO, secondo una visione prettamente imprenditoriale del problema. Già l’EURO è veramente diventato il problema numero UNO dell’Unione Europea.

Se ci si ricorda le aspettative che la nascita della moneta unica aveva suscitato nella pubblica opinione, oggi possiamo dire che per un motivo o per l’altro ogni nazione che vi appartiene ha di che recriminare, magari per motivi contrapposti. Ognuno ha le sue buone ragioni, dipende da che parte si vuole vedere il problema. Quest’ultima IV^ parte del post riguarda l’ITALIA

L’ITALIA e l’Euro

Ormai sono trascorsi 11 anni da che una parte dei cittadini dell’Unione Europea ha la moneta l’Euro in tasca. Per le aziende l’Euro ha cominciato a funzionare 3 anni prima come unità di conto, con valore del cambio praticamente fisso.

In Italia si visse quel periodo con grande eccitazione e speranza. L’Euro ci venne presentato come il mezzo per darci una regolata come paese che, anche allora come oggi, soffriva per la sua incapacità di seguire politiche di gestione della cosa pubblica così dette virtuose. L’aspetto più attraente della moneta unica per l’Italia era che, facendovi parte, il costo del denaro si sarebbe abbassato ai livelli dei paesi europei virtuosi, Germania in testa. Così in effetti fu e la cosa inizialmente fece un gran bene all’Italia, sia allo stato, sia alle imprese e ai cittadini.

Quest’ultimi si accorsero che andare in giro per il mondo con l’Euro in tasca era ben diverso e meglio che con le precedenti  lirette che nessuno accettava.

A tutti non parve vero di sembrare più ricchi andando all’estero. Le imprese poterono cominciare a finanziarsi a tassi bassi. Il costo del debito diventato più sostenibile facilitava gli investimenti nell’immobiliare dei cittadini. Anche alle imprese italiane l’Euro parve una buona cosa inizialmente.   Il maggior beneficiato però fu lo stato che si trovò in poco tempo a poter emettere nuovi titoli di debito pubblico a tassi molto più bassi. Man mano che questi sostituivano quelli in scadenza il costo del debito pubblico calava e calava, addirittura, anche il suo ammontare complessivo nei primi anni.

Visto che accadeva questo, alla classe politica e agli organi amministrativi dello stato non parve vero di poter riavviare la gestione “allegra” della cosa pubblica, di accaparrarsi risorse, al fine di aumentare la dimensione dell’apparato pubblico, gli stipendi dei suoi dipendenti, gli sprechi e le ruberie di ogni sorta e forma.

Per dirla ancora meglio, invece di approfittare del momento per cominciare a razionalizzare l’amministrazione pubblica e la gestione complessiva dello stato per renderlo più efficiente, la classe politica e quella dirigente statale in quegli anni ingaggiò una sorta di gara per fare l’esatto contrario ogni anno di più.

In questa missione poco nobile è difficile dire chi è stato meno bravo. Tutti, destra e sinistra politica, organizzazioni sindacali di ogni categoria, amministrazioni pubbliche locali e centrali si impegnarono al loro meglio per aumentare regalie, sprechi, inefficienze e costi dell’apparato statale/pubblico. 

Risultato: il costo dello stato nel suo complesso ha raggiunto in Italia un livello insostenibile al punto da minare la competitività delle imprese del paese che in quegli stessi anni si è trovato pure ad affrontare una competizione economica internazionale sempre più agguerrita.

La mancanza totale di visione globale che caratterizza da sempre la nostra classe politica è stata micidiale in negativo. L’assoluta assenza di percezione del problema della competitività del sistema paese Italia è veramente devastante.   Tanto per analizzare il problema con i soliti numeri vediamo come questi sono per l’Italia:

Chi volesse sapere nel rank internazionale del saldo delle partite correnti dove sta l’Italia e avere un bel  sussulto, è invitato a dare un’occhiata al sito: http://www.indexmundi.com/g/r.aspx?c=it&v=145 .

Come appare chiaro dalla tabella, ormai l’Italia ha un deficit delle partire correnti cronico ed elevatissimo. In pratica ogni anno dall’estero devono provenire finanziamenti da varie fonti pari a 70 Miliardi di USD all’anno, ovvero il sistema paese ITALIA si indebita ogni anno di più verso l’estero da vari anni. Questi 70 Miliardi per buona parte non sono altro che la quantificazione in valore di quanto lavoro viene tolto alle imprese italiane per acquistare beni prodotti altrove, Cina e Germania in primis.

Va bene così? Non è possibile fare nulla per invertire questa situazione?

Se poi vogliamo sapere da quando accade questo, ecco un grafico che descrive l’andamento delle partite correnti degli ultimi 20 anni:

Interessante vero?  Infatti questo grafico ci dice tante cose.

Per chi se lo ricorda, il 1992 è stato l’ultimo anno in cui l’Italia ha dovuto e potuto svalutare la propria moneta per recuperare la propria competitività  perduta per cause sue interne. Erano gli anni in cui si manifestavano gli effetti perversi di tante leggi e accordi passati, che regalavano a varie categorie di popolazione prebende, privilegi, trattamenti economici esagerati e benefici vari a carico delle generazioni presenti e soprattutto  future.

Anni in cui la politica ne ha combinate di tutti i colori e di cui ancora oggi ne subiamo le conseguenze. Portate avanti da attori che ancora oggi pretendono di restare nell’agone politico, come se questi disastri li avessero fatti altri. Anzi per addirittura continuare con lo stesso andazzo.

Chi viveva allora nel mondo delle imprese forse si ricorda quale tremenda situazione stavano vivendo le aziende in quei tempi. Esportare era diventato ormai proibitivo, poche avevano margini di guadagno per farlo convenientemente. I costi di produzione in Italia erano lievitati tanto negli anni precedenti, al punto che la competitività del paese era andata persa e quindi l’export calava, mentre era diventato più economico acquistare beni importati.  Allora, fortunatamente direi, non c’erano i vincoli della moneta unica e, nonostante le prediche di Ciampi e le paure di tutti coloro che avrebbero perso qualcosa o tanto dalla svalutazione, questa avvenne e fu molto forte. Per quantificare il fenomeno il valore del marco tedesco che a agosto 1992 era di circa 750 lire per 1 marco, schizzò in pochi mesi fino a 1.200, 60% in più. Poi nel tempo si arrivò a un cambio di circa 1.000 lire per un marco, che poi è stato quello prima dell’avvento dell’Euro.

Accadde in Italia la catastrofe?

Niente affatto. Niente perdite di posti di lavoro, niente nuovi poveri, niente imprese che chiudevano, niente banche sull’orlo del fallimento, niente di ciò che sta accadendo oggi.

Addirittura la Banca d’Italia poté tirare un sospiro di sollievo e finire lo svenamento delle riserve valutarie ormai ridotte a zero. Non so di preciso quanto alla Banca d’Italia, ovvero all’Italia, costò il tenace tentativo di mantenere una parità monetaria impossibile ma grosso modo agli italiani costò il 60% del valore che queste avevano prima della crisi valutaria.

Qualcuno è stato accusato, inquisito, mandato in galera per questo crimine finanziario? Neanche per sogno, per questi reati non esiste atto d’accusa e magari uno dei potenziali maggiori imputati diventa Presidente della Repubblica.

Nel mondo, non solo in Italia, va così, purtroppo.

Ma che accadde invece all’economia reale?

Accadde quella che si chiama ripresa economica vera, non sussidiata, non alimentata con il deficit dello stato, che poi dovrà essere pagato dalle future generazioni come accade oggi. Si verificò quello che possiamo definire l’ultima parte del miracolo economico italiano.

Le imprese esportatrici ripresero in breve ad acquisire ordinativi a gogò, a investire tantissimo, ad assumere personale, a guadagnare come da tempo non si ricordava. Il resto dell’Italia trascinato da questa onda anch’esso poté godere di questa situazione. Insomma l’Italia tornò ad essere la tigretta europea.  Purtroppo però la lezione non servì a molto. In breve tutti dimenticarono le cause che ci avevano portato al 1992 e si ripresero le politiche dissennate e di corta visone, che sembra si addicano molto alla nostra classe politica.Si riprese a legiferare come prima, ad assegnare benefici insostenibili nel medio lungo termine, nessun articolo del campionario in mano alla classe politica fu trascurato fino a riportare l’Italia allo stato in cui è ora. Infatti l’andamento del grafico non dice altro che questo.

Ora che si fa?

Il problema è la competitività del sistema paese ITALIA.

Con la sciagurata decisione di entrare in questo Euro, impostato a misura della Germania, non riesco a vedere nessuna possibilità praticabile, se ci vogliamo rimanere dentro. Intendo dire che politiche e le decisioni, che farebbero riacquistare competitività all’Italia, sarebbero talmente draconiane da risultare improponibili e anche ingiuste, almeno in parte.

Infatti per far riacquistare quel 25-30% di competitività necessario da subito alle imprese italiane, i costi di queste dovrebbero ridursi di altrettanto. Significherebbe costo del lavoro (salari più contributi da abbattere del 30-40%), stipendi della pubblica amministrazione allargata da ridurre mediamente del 30%. Pensioni da falcidiare, specie se sono alte, anche per coloro che ce l’hanno già. Riduzione delle tasse e imposte varie in modo da portarle ai livelli dei paesi che le hanno basse, eccetera. Poi, contemporaneamente, ci sarebbe da intervenire decisamente in tutti quei comparti, burocrazia in particolare, che hanno fatto diventare questo paese un nemico per le imprese e per chi ha voglia di lavorare. L’Italia ridiverrebbe sì competitiva ma a un prezzo e con degli scompensi non ben valutabili a priori.

Tutti le promesse di questa campagna elettorale a cui stiamo in questi giorni assistendo sono una burla. Tutti i provvedimenti preannunciati, suggeriti, proposti, che mirano a togliere a qualcuno qualcosa per darla ad un altro non aumentano la torta presso cui sfamarsi né ad allargare la coperta, semmai spesso il contrario.

Cosa si può invece fare?

Anche se molti economisti, burocrati di basso e alto bordo, finanzieri e banchieri interessati a far soldi con i soldi ma non con la fatica e a proprio rischio, dicono di no, che sarebbe un disastro, la strada dell’uscita veloce e pilotata dall’Euro è l’unica praticabile, pur con tutti i rischi e perdite che ci saranno per alcuni, tutto sommato pochi ma oggi molto privilegiati dall’essere nell’Euro. Se a questo non si vuole pensare o non lo si vuol fare oggi, lo si dovrà fare in un domani non lontano, in modo catastrofico e con un sistema industriale manifatturiero italiano ormai andato in frantumi. La mia previsione è che ancora 2 anni di Euro e l’industria italiana sarà ridotta ai minimi termini. Se aspettiamo che passino sarà veramente dura per tutti, anche per i tifosi dell’irreversibilità dell’ EURO.

CONCLUSIONE

Lo scopo di questa serie di post era di far comprendere quando decisivo per la competitività di una nazione sia il fattore cambio, l’exchange rate fra le monete. Si può anche essere i più bravi di tutti ma non basta. Giappone docet. Se il cambio è troppo alto le industrie di un paese perdono competitività nel mercato internazionale. Se accade questo possono succedere più cose:

le aziende, se vogliono continuare a vendere, devono ridurre i margini fino al punto da non guadagnare più o addirittura perdere soldi e allora falliscono;

le aziende, se sono finanziariamente molto solide, possono scegliere fra investire ancora di più all’interno della propria impresa, nei fattori produttivi che dipendono da loro oppure, se si ha la voglia e le capacità, de localizzare in paesi dove, per il fattore cambio, i costi sono più bassi;

le aziende, allocate nei paesi dove il cambio è sfavorevole e lavorano prevalentemente per il mercato interno, devono in tempi più o meno veloci sostenere la pressione dei prodotti importati, che costano molto meno e quindi, se possono, fanno come al punto 2, oppure prima o poi chiudono. 

L’Italia, a causa della mancanza di visione sul futuro del paese della sua classe dirigente, politica in particolare, ha fatto troppi errori in questi 20 anni che ormai sono irrimediabili. La competitività persa non è più riguadagnabile stando in una camicia di forza qual è l’unione monetaria europea. Come è pensabile riconquistare rispetto l’enorme divario creatosi fra Italia e Germania?

Tutte le buone idee che ci possono essere, in questa situazione sono sostanzialmente delle velleità. Chi, anche  in buona fede, pensa che il nostro paese possa uscire dall’inferno in cui già siamo o, se uno preferisce, verso cui velocemente ci stiamo dirigendo, con l’innovazione, la ricerca di nuovi mercati, con la ricerca, ecc. ecc. ecc., può essere solo uno che nella vita mai ha avuto a che fare con le dure leggi della competizione economica. Queste belle cose le può fare e le fa l’impresa che guadagna, il paese che ha una struttura di costi e una situazione finanziaria che può permettersi di destinare grandi risorse a questi scopi. L’Italia purtroppo non è in queste condizioni, anzi l’esatto contrario. L’Italia oggi è un paese ingessato, con una corda al collo che ogni giorno è un po’ più tesa, messo su uno sgabello posto su un terreno cedevole.

Altro che salvati dal baratro. Sarebbe meglio dire che siamo stati parcheggiati sull’orlo di un precipizio in fondo al quale si sta alacremente lavorando, per farlo più profondo, 24 ore su 24, in attesa di essere buttati dentro.

Pare un’esagerazione ma non è così. Questa è la realtà, purtroppo.

GAOLIN

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26 commenti Commenta
sturmer
Scritto il 22 Febbraio 2013 at 14:42

Ottimo…. e drammatico.

Soluzioni?

orsomatoro
Scritto il 22 Febbraio 2013 at 15:04

mah….forse un pochino troppo pessimistico, ftse mib in forte rialzo e spread in contrazione, l’amico mario draghi con le redini in mano…..oro e metalli in forte ribasso, attenzione una vision troppo negativa potrebbe fuorviare parecchi risparmiatori con scelte errate.
a meno che questo grande rialzo (appena perturbato ieri da clima pre-elettorale) sia effimero e ci siano nuovi crolli alle porte…..

dfumagalli
Scritto il 22 Febbraio 2013 at 15:16

Peccato che i responsabili della tradegia italiana, che dovrebbero leggere questo articolo, non lo faranno MAI e anche se glielo buttassero in faccia lo straccerebbero, deriderebbero ed ignorerebbero.

A noi manca solo più la contessa (la Fornero? 😈 ) a dire che se gli Italiani non hanno più pane da mangiare, dovrebbero comprarsi le brioche, e poi siamo come nel 1789. Subito prima della Rivoluzione Francese.

luigiza
Scritto il 22 Febbraio 2013 at 15:43

sturmer@finanza,

Che si fa?
Beh Gaolin lo scrive:
la strada dell’uscita veloce e pilotata dall’Euro è l’unica praticabile,

Bene, ma pilotata da chi?
Da quelli che vanno ad inchinarsi davanti a frau Merkel? Da escludere.

Da Grillo ed i suoi? Per carità, manco gli fanno attraversare la porta del Palazzo.

Ed allora chi o cosa rimane?

sturmer
Scritto il 22 Febbraio 2013 at 15:49

luigiza@finanza,

Preferisco non pensarci… non immagino soluzioni incruente, e la cosa mi fa paura.

Lo so che ormai siamo come rane che stanno lentamente cuocendo, ma non intravvedo alternative, e, ripeto, ho paura.

Scusa.

tommy271
Scritto il 22 Febbraio 2013 at 15:49

Allego il dato 2012, per vedere come ci si muove in prospettiva:

http://www.istat.it/it/files/2013/01/Comunicato-Conto-trim-AAPP-III_2012.pdf?title=Conto+trimestrale+delle+... – Versione testo

tommy271
Scritto il 22 Febbraio 2013 at 16:12

sturmer@finanza:
Ottimo…. e drammatico.

Soluzioni?

Migliorare la qualità del prodotto, creare una struttura a sostegno dell’export sul modello KFW.

Nel 1992 la svalutazione competitiva avveniva in un contesto di assenza di concorrenza … i BRICS erano ancora in fase di germogliazione, quindi l’arma valutaria era determinante.
Vogliamo, dopo venti anni, fare la concorrenza a cinesi e indiani con stipendi da 300 euro al mese?
A dire il vero, è quello che vorrebbero i “falchi” tedeschi dell’IFO… :mrgreen:

hectortrade
Scritto il 22 Febbraio 2013 at 16:14

Condivido pienamente l’articolo, quanto a come uscire dall’euro in modo “soft”con questa classe politica non sarà possibile, rimane quella hard che più sarà rimandata e più sarà tale. Nel frattempo asisteremo alla tragedia greca e del suo sfortunato popolo che arriverà all’epilogo, chiassà che il loro sacrificio servirà mai a svegliare tutti i dormienti nostrani ?

lampo
Scritto il 22 Febbraio 2013 at 17:07

Purtroppo lo scenario descritto è reale.

Unica considerazione (più volte ribadita) è la mancanza di una classe dirigente all’altezza che sia in grado di portarci fuori dall’euro (per una decina d’anni almeno) in maniera “controllata”.

Poi soprattutto la Germania e altri Paesi industrialmente collegati a lei (Austria, Olanda, ecc.) non ci permetterebbero mai tale scelta se non prima di aver spolpato bene il nostro tessuto industriale in modo da avere un temibile concorrente.

Pochi si ricordano che principalmente le nostre piccole imprese facevano i terzisti per le grosse imprese tedesche.

Poi vi immaginate la Germania che si mette a rivedere gli accordi industriali e commerciali con la Cina?
Invento:
“Cara Cina, adesso mi conviene produrre in Italia, con la svalutazione ed i costi dei trasporti è diventata più conveniente. Ma ovviamente ti pregherei di continuare ad importare i nostri ottimi prodotti tedeschi, soprattutto del mercato automobilistico!”.
Cucu!

Allego un grafico che ho tratto da una pubblicazione del governo cinese che la dice molto lunga sulle loro intenzioni:

(Fonte: http://www.swift.com/resources/documents/LARC2012_RMBInternationalization_Trade_China.pdf)
Dimenticavo: il “TODAY” mostrato è molto recente!

La mia opinione è che si tratta di pura utopia… (e propaganda per convincere la loro popolazione che sono i migliori. Si tratta di una pratica di motivazione molto diffusa e nota a… chi è stato in Cina)

lampo
Scritto il 22 Febbraio 2013 at 17:13

Scusate ho dimenticato un “non”: … in modo da NON avere un temibile concorrente.

schwefelwolf
Scritto il 22 Febbraio 2013 at 18:45

Concordo, ovviamente, anche su queste tue valutazioni conclusive.
Avendo passato i 65 e ricordando abbastanza bene quell’evoluzione (negli Anni ’90 operavo come commerciale-tecnico italo-tedesco in Germania) non posso che sottoscrivere in toto.

Mi resta un’interrogativo: come diverse volte esposto in precedenti interventi, l’Euro non è – a mio avviso – solo una moneta ma è anche, in primis, un progetto politico di portata storica (> costringere gli Stati europei ad accettare la “fusione a freddo” in un Ente denominabile “Stati Unititi d’Europa”).

Ne deriva che la “difesa” dell’euro non sarà solo una questione finanziaria o monetaria: i suoi ideatori (Bilderberg?) e i suoi sostenitori (la classe politica attualmente al potere in quasi tutti gli Stati coinvolti e le sue propagini amministrative di Bruxelles) hanno investito troppo (cinquant’anni!) in questo progetto (le cui insormontabili criticità intrinseche erano note e scontate a priori: anzi probabilmente sono state viste e messe consapevolmente a preventivo come strumento utile di coercizione) e tutti (anche i politici piú euroscettici) hanno (giustamente) paura che il crollo dell’Euro riporti l’Europa agli Anni ’30, non solo economicamente ma anche polticamente: il crollo dell’euro potrebbe infatti travolgere quella sorta di (pseudo-)pacificazione europea (soprattutto franco-tedesca) che ha comunque garantito oltre sessant’anni di pace. Il rischio – ad avviso degli europeisti – è che il crollo dell’Euro non si limiti a spazzare via “Lisbona” o “Maastricht”, ma che coinvolga l’intero edificio, dai Trattati di Roma in su.

Si farà quindi di tutto (come ha detto Draghi: “tutto il necessario!”) per salvare l’euro. Di TUTTO! Quindi? Cosa sarà questo “tutto”, fino a dove si arriverà?

Questo, a mio avviso, è un interrogativo con una “I” grande come il Pirellone…

gainhunter
Scritto il 22 Febbraio 2013 at 19:25

Dato che lo stesso grafico della produzione industriale l’ho commentato su icebergfinanza pochi giorni fa, riporto qui il mio commento:

http://icebergfinanza.finanza.com/2013/02/18/produzione-industriale-il-grafico-dellanno/

Io il grafico lo leggo così: dal 1996 al 2001 (il cambio fisso c’è dal 1996) Italia e Germania hanno viaggiato abbastanza appaiate, poi la crisi del 2001 ha colpito tutti ma l’Italia più della Germania. Il momento in cui la Germania ha iniziato a smarcarsi dagli altri paesi (a parte la Spagna) è stato attorno al 2002-2003. Nella crisi attuale Germania e Italia hanno perso lo stesso terreno, ma poi la Germania ha recuperato tutto mentre l’Italia una minima parte.

Gli elementi da considerare sono:
– certamente il rapporto di cambio
– 1992 = Maastricht = l’Italia si è impegnata a perseguire la riduzione del rapporto debito/pil, cosa avvenuta fino alla crisi del 2007 (sotto tutti i governi); lasciamo perdere quali misure sono state prese e quali spese sono state tagliate 👿 – In Germania invece da allora il rapporto debito/pil è raddoppiato
– Luglio 1992 = abolizione della scala mobile
– 2002? = riforma del lavoro Hartz IV in Germania
– maggiore vulnerabilità del sistema economico italiano alle crisi economiche internazionali dovuta alla dimensione delle PMI
– peso del costo del lavoro in particolare nelle aziende di produzione di dimensioni medie

La mia conclusione è che questa divergenza di andamento è dovuta a una serie di fattori, per cui l’euro in sè non è LA causa del rallentamento economico o della mancata crescita. L’euro incide negativamente nei momenti di crisi perchè impedisce quella svalutazione della moneta che altrimenti potrebbe essere usata come arma di rilancio dell’economia tramite l’aumento delle esportazioni. Dato che l’alternativa alla svalutazione è l’indebitamento e che l’Italia non può indebitarsi ulteriormente (al contrario della Germania che occulta parte del debito e che paga interessi molto bassi), ecco spiegato perchè l’economia italiana da quando c’è l’euro non si è mai ripresa dalle crisi.

Un altro fattore che ha influito sulla ripresa della Germania nella crisi attuale può essere questo: dato che lo stato è intervenuto a “salvare” le sue banche (al contrario dell’Italia, le cui banche tranne MPS non ne avevano bisogno) la Germania ha potuto obbligare le banche salvate a aprire i rubinetti del credito (grazie al Soffin spiegatoci da lampo), cosa non avvenuta in Italia appunto perchè le banche italiane non avevano vincoli di alcun tipo.

Aggiungo:
Quanto è avvenuto in Germania dal 2002 si chiama “svalutazione salariale”, basta andare a vedersi l’andamento degli stipendi in valore reale negli ultimi 10 anni. Questo, insieme al cambio fisso, è secondo me la chiave del decoupling dell’economia tedesca rispetto a tutte le altre.

luigiza
Scritto il 22 Febbraio 2013 at 19:55

hectortrade@finanzaonline,

rimane quella hard che più sarà rimandata e più sarà tale.

Infatti ed è per questo, per accelerare, che ho deciso di votare M5S.

Monti garantisce solo tempo, ma per portarci alla miseria più nera.

luigiza
Scritto il 22 Febbraio 2013 at 20:02

gainhunter,

per cui l’euro in sè non è LA causa del rallentamento economico o della mancata crescita. L’euro incide negativamente nei momenti di crisi perchè impedisce quella svalutazione della moneta che altrimenti potrebbe essere usata come arma di rilancio dell’economia tramite l’aumento delle esportazioni.

Proprio così ed é esattamente la fotografia, sottolineo fotografia, della situazione che il prof. Bagnai ha fatto e che alcuni dileggiano, a torto a mio modesto avviso.

luigiza
Scritto il 23 Febbraio 2013 at 09:24

luigiza@finanza,

luigiza@finanza,

hectortrade@finanzaonline,

rimane quella hard che più sarà rimandata e più sarà tale.

Infatti ed è per questo, per accelerare, che ho deciso di votare M5S.
Ma teniamo ben presente che Grillo é solo il Danton della situazione cioè colui che ha preparato il terreno per il cambiamento.
Chi spalencherà le porte al Nuovo Mondo sarà un altro che per il momento non vedo. Purtroppo.

Voglio sperare che Grillo dica il falso quando afferma che dietro di lui non c’é nessuno.
Per vincere ed in modo mi auguro mpacifico abbiamo bisogno di qualcuno che esca dall’ombra ma che appartenga al Sistema perchè ne deve conoscere i meccanismi per poter sostituire il vecchio col nuovo.

Nella Russia post sovietica é successo propio questo col Putin (che dio lo protegga e lo conservi per il bene dei russi e dell’Europa tutta e non solo.
Con quel tipo di personaggio laggiù NON si é sparato un colpo)

Monti al contrario garantisce solo tempo, ma per portarci alla miseria più nera.

andrea.mensa
Scritto il 23 Febbraio 2013 at 11:51

L’UNICA OBIEZIONE CHE FACCIO ALLA PROSPETTIVA DI RICONQUISTARE LA SOVRANITA’ MONETARIA E’:
A CHI LA AFFIDERESTI ???
SVALUTARE E’ UN OTTIMO PROGRAMMA, MA SEI DAVVERO CONVINTO CHE IL “SISTEMA PAESE” DIVENTEREBBE PIU’ EFFICENTE ?
Dal mio punto di vista quello che è stato superato è il limite sostenibile dal lavoro ( creazione di ricchezza reale) del carico costituito dalle rendite. Nella distribuzione delle risorse il capitale ha fatto la parte del leone, ma così facendo ha rattrappito il mercato interno. E per esportare occorrerebbe anche sapere a CHI esportare.

kry
Scritto il 23 Febbraio 2013 at 13:34

andrea.mensa@finanza,

L’unico problema e proprio a chi affidare la sovranità monetaria vista la nostra capacità politica. Non è detto che una volta fuori si svaluti, le importazioni sono in dollari e ci potrebbe essere la sorpresa di una stabilità o piccola rivalutazione. Per esportare non è un problema a CHI visto che sono 6/7 mesi che la bilancia commerciale è in positivo ( 11 miliardi € nel 2012).

gaolin
Scritto il 23 Febbraio 2013 at 13:44

andrea.mensa@finanza,

Il problema è la COMPETITIVITA’.
Se un paese non è competitivo perché quanto vi si produce, a causa del fattore CAMBIO, nel mercato globalizzato è considerato caro, rispetto a quello che si fa in altri paesi, succede quello che tutti sanno:

1- esportare diventa sempre più difficile, i margini operativi dei conti economici delle imprese si riducono fino ad azzerare gli utili ovvero a non poter esportare più;
2- importare invece diventa sempre più conveniente. Ciò fa sì che i prodotti importati prendono il posto nei centri commerciali di quelli prodotti all’interno;

A parte i problemi che crea a una nazione il dover finanziare dall’estero lo squilibrio della propria bilancia delle partite correnti (vedi : http://www.indexmundi.com/g/r.aspx?c=it&v=145 ), di cui la bilancia commerciale è uno dei fattore determinanti, succede quello che tutti constatiamo:

1- sempre più imprese chiudono e con esse sparisce gran parte del patrimonio da queste accumulato nel tempo e, cosa gravissima, viene perso il proprio know-how, fatto di uomini e tecnologie, di solito definitivamente. Fattori che sono quelli che generano la vera ricchezza di un paese;
2- con la chiusura delle imprese si perdono anche per sempre i posti di lavoro a queste collegati.

Non si può lasciare che questo processo vada avanti fino alla desertificazione del proprio sistema manifatturiero come sta accadendo in Italia.
In fondo la competitività del nostro paese sarebbe riguadagnata con una riallineamento delle parità monetarie non esagerata. Evento che per l’Italia ci sarebbe già stato se non fossimo nell’EURO.

Per sua fortuna, l’Italia ha ancora delle eccellenze e un sistema industriale- manifatturiero che potrebbe far risorgere il paese purché, alla svelta, ci si renda conto che l’irreversibilità dell’EURO è per l’Italia una terribile sciagura in corso ma ancora rimediabile.

Più aspettiamo più difficile sarà la resurrezione.

Poi c’è il problema della globalizzazione selvaggia ma questo aprirebbe un altro discorso.

candlestick
Scritto il 23 Febbraio 2013 at 13:51

aggiornamento euro / dollaro sul blog: http://leapfuture.blogspot.it/2013/02/eur-usd-updating-euro-towards-parity.html

gaolin
Scritto il 23 Febbraio 2013 at 14:03

kry@finanza,

Non dimentichiamoci però che l’attivo della bilancia commerciale 2012 dell’Italia è dovuto soprattutto al calo dell’import, determinato come è noto da quello dei consumi in Italia.

Inoltre posso anche dire che l’export italiano, in prospettiva, non potrà in questa situazione di competitività resistere per molto.

Tanti competitor mondiali stanno attuando politiche valutarie che metteranno ancora più in difficoltà le nostre industrie.

Inoltre in Cina si continua a programmare lo sviluppo del paese puntanto sulle nuove tecnologie e sull’export di prodotti a sempre maggior valore aggiunto e qualitativamente sempre migliori.

Nel frattempo in Europa la divaricazione delle economie prosegue e si vorrebbe che si riallineassero con le chiacchere.

ubersoft
Scritto il 23 Febbraio 2013 at 19:37

Scusate ma tra il 2000 ed il 2002 non c’è stata solo l’introduzione dell’euro, dimenticate l’ingresso della Cina nel WTO, avvenuta nel 2001. Questo non ha influito?

kry
Scritto il 23 Febbraio 2013 at 19:52

Il calo dell’import io lo vedo sotto un aspetto positivo, vuol dire che quello che prima importavamo non erano proprio tutte cose utili, forse erano futili. Invece se lo guardiamo come una diminuzione di merci da parte di piccoli e medi imprenditori che avevano delocalizzato allora la cosa è ” più seria” ma questo comporterà forse un rientro in patria di tale lavoro. Concordo che il nostro export non potrà resistere in eterno anche perchè la francia si sta muovendo con svalutazioni fiscali per aumentare la competitività ma tutto sommato ritengo nonostante tutto il nostro paese messo meglio della Francia e del Regno unito. Forse stiamo aspettando proprio che sia la francia a muoversi politicamente contro la germania se invece trovassero un ulteriore accordo al di la della percentuale del debito di bilancio non abbiamo scelta, dobbiamo trovare il coraggio di uscire dall’euro, anche perchè è la germania che ha tutto l’interesse a mettere le nostre imprese in difficoltà per spendere meno nel comprarci.

Taxus
Scritto il 23 Febbraio 2013 at 23:02

Comunque io sto per partire raga !!
DESTINAZIONE ?
Naturalmente i nuovi villaggi vacanze in Cinaaa dove si provano emozioni incredibili !! 😈

http://it.ibtimes.com/articles/43680/20130223/cina-inquinamento-villaggi-del-cancro.htm

bimbogigi
Scritto il 24 Febbraio 2013 at 11:57

gaolin@finanza:
andrea.mensa@finanza,

Il problema è la COMPETITIVITA’.
Se un paese non è competitivo perché quanto vi si produce, a causa del fattore CAMBIO, nel mercato globalizzato è considerato caro, rispetto a quello che si fa in altri paesi, succede quello che tutti sanno:

1- esportare diventa sempre più difficile, i margini operativi dei conti economici delle imprese si riducono fino ad azzerare gli utili ovvero a non poter esportare più;
2- importare invece diventa sempre più conveniente. Ciò fa sì che i prodotti importati prendono il posto nei centri commerciali di quelli prodotti all’interno;

A parte i problemi che crea a una nazione il dover finanziare dall’estero lo squilibrio della propria bilancia delle partite correnti (vedi : http://www.indexmundi.com/g/r.aspx?c=it&v=145), di cui la bilancia commerciale è uno dei fattore determinanti, succede quello che tutti constatiamo:

1- sempre più imprese chiudono e con esse sparisce gran parte del patrimonio da queste accumulato nel tempo e, cosa gravissima, viene perso il proprio know-how, fatto di uomini e tecnologie, di solito definitivamente.Fattori che sono quelli che generano la vera ricchezza di un paese;
2- con la chiusura delle imprese si perdono anche per sempre i posti di lavoro a queste collegati.

Non si può lasciare che questo processo vada avanti fino alla desertificazione del proprio sistema manifatturiero come sta accadendo in Italia.
In fondo la competitività del nostro paese sarebbe riguadagnata con una riallineamento delle parità monetarie non esagerata. Evento che per l’Italia ci sarebbe già stato se non fossimo nell’EURO.

Per sua fortuna, l’Italia ha ancora delle eccellenze e un sistema industriale- manifatturiero che potrebbe far risorgere il paese purché, alla svelta, ci si renda conto che l’irreversibilità dell’EURO è per l’Italia una terribile sciagura in corso ma ancora rimediabile.

Più aspettiamo più difficile sarà la resurrezione.

Poi c’è il problema della globalizzazione selvaggia ma questo aprirebbe un altro discorso.

Ma è proprio una mission impossible convincere il consumatore italiano a comprare prodotti made in Italy, “boicottando” quelli esteri? Io non dico di obbligare, tramize dazi o protezionismo che sia (solo in ultima istanza). Ma solo di risvegliare l’opinione pubblica, descrivendo a quali possibili scenari si andrebbe incontro continuando di questo passo. Faccio un esempio: io a 20 anni ero un fedele automobilista tedesco (VW prima e Audi dopo); da tre anni sono passato a Lancia. Risultato: mi trovo benissimo lo stesso, non ho avuto problemi e continuo ad avere la fortuna di girare in macchina, fregandomene dei commenti degli altri (sempre che ce ne siano a questo punto). Altro esempio: ieri ero in un noto supermercato e dovevo comprare del miele. Il più conveniente era un mix proveniente da Bulgaria ed Argentina. Ho preso la confezione che costava un attimino di più, ma prodotto e distribuito da aziende Italiane. Se per fare questo devo rinunciare a comprarmi l’Ipad o tenere l’abbonamento di Sky o andare in vacanza all’estero (non ho il primo, ho disdetto il secondo e da tre anni visito solo mete italiane) che ben venga. La mia vita va avanti lo stesso e non ho bisogno di andare dallo psicologo. Irragionevole pensare che tutti possano fare la stessa cosa? Chissà quanti di voi di questo blog già lo fanno…

kry
Scritto il 24 Febbraio 2013 at 14:16

bimbogigi@finanza,

Cerco anch’io di comprare il più possibile italiano. Per farlo bisogna leggere bene l’etichetta e ultimamente mi sono ritrovato con sgradite sorprese. ( es. una nota marca di succhi di frutta che confeziona il prodotto in albania e la fabbrica ( a questo punto mi tocca pensare ex) e il magazzino non dista molti chilometri da dove abito.

idleproc
Scritto il 25 Febbraio 2013 at 14:39

Concordo con te Gaolin (da sempre)…
Bellissimi interventi.

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