Macroeconomia e oro: vendite record di paper gold (oro cartaceo)

Scritto il alle 09:05 da Roy Reale

GUEST POST: il barometro settimanale dell’oro. Gli avvenimenti più importanti della settimana e il ruolo dell’oro nei portafogli di investimento e delle banche centrali.

La veemenza della recente ondata ribassista concentratasi in appena due sedute di contrattazioni (venerdi’ 12 e lunedi’ 15) ha creato alcune incertezze nel quadro tecnico previsionale di breve termine, mentre il contesto di medio-lungo termine rimane invariato al rialzo.

Pertanto, ai fini di una corretta analisi dell’attuale congiuntura, dobbiamo prendere in seria considerazione la violazione di alcuni importanti supporti tecnici i quali potrebbero cedere di nuovo nel breve periodo materializzandosi in ulteriori ribassi delle quotazioni.

Il metallo giallo ha sfondato al ribasso la media mobile a 200 giorni ($1.435,00) ed e’ fuoriuscito dal canale di consolidamento laterale in cui si era posto da settembre 2011. Se la correzione attuale dovesse riproporsi identica alla discesa che prese forma tra il mese di marzo e ottobre del 2008, potremmo assistere a un’ulteriore correzione verso il supporto posto a $1.280,00. La correzione, in termini percentuali, sarebbe identica a quella concretizzatasi nel 2008 (34%).

L’attuale decelerazione nelle quotazioni ha una parziale giustificazione macroeconomica consistente nell’ipotesi di una instaurazione di un periodo di deflazione a livello globale. Cio’ e’ confermato dalle quotazioni del rame, il quale e’ un indice anticipatore della forza espansiva (o di contrazione) dell’economia globale.

Il rame e’ utilizzato nell’industria manifatturiera, nell’edilizia e nell’industria elettronica. Un rallentamento delle sue quotazioni indica una contrazione dell’economia reale; per converso, un suo rafforzamento sta a indicare la forza espansiva dello stato economico globale. Il cedimento delle quotazioni del rame da sei mesi a questa parte e’ indice di una forte frenata dell’economia reale. Quindi la caduta delle quotazioni dei preziosi e’ da mettere parzialmente in relazione con l’instaurarsi di condizioni deflazionistiche globali.

I mercati azionari hanno espresso un movimento rialzista nettamente divergente rispetto all’andamento delle quotazioni del rame toccando i loro massimi settimana scorsa. E’ evidente che detta divergenza non e’ sostenibile a lungo in quanto il mercato azionario e’ altamente correlato al mercato del rame. Pertanto una forte discesa del mercato azionario dovrebbe essere alle porte.

Se questo cedimento dell’azionario dovesse verificarsi a breve termine non escludiamo un ulteriore cedimento del mercato dell’oro verso i $1.280,00.

Questo supporto e’ fondamentale in quanto sotto questo livello di quotazione una sostanziale quantita’ di produzione mineraria e’ a rischio collasso. Se prendiamo in considerazione l’analisi delle  altre materie prime industriali (alluminio, zinco, nickel, piombo) constatiamo che le quotazioni delle stesse sono anche’esse ai minimi da piu’ di sei mesi a questa parte. E’ evidente quindi che le forze deflazionistiche globali stanno prendendo il posto delle tensioni inflazionistiche.

E’ altresi’ palese che l’instaurazione di un periodo piu’ o meno lungo di deflazione potrebbe far collassare in modo definitivo la bolla mondiale del debito. Le pressioni deflazionistiche incidono in modo negativo sulla crescita del PIL mondiale il quale in queste condizioni economiche tende a contrarsi drammaticamente. Allo stato attuale la crescita del PIL globale non riesce neppure a garantire il pagamento di tre quarti di interessi sulla bolla del debito globale (il capitale non e’ gia’ piu’ rimborsabile). Una fase di forte deflazione inciderebbe sfavorevolmente sulla crescita del PIL erodendo ulteriormente la possibilita’ di saldare gli interessi sul servizio del debito. Il sistema finanziario si avvierebbe definitivamente al collasso finale.

Oltre a ragioni macroeconomiche, il crollo dell’oro verificatosi venerdi’ scorso e all’inizio di questa settimana e’ stato causato da movimenti ribassisti prettamente speculativi.

Le grandi vendite di oro cartaceo

L’inizio del cedimento e’ avvenuto venerdi’ sui mercati a termine statunitensi. Un ordine di vendita pari a 6 miliardi di dollari americani (ovvero per 124,4 tonnellate di oro – equivalenti a 4 milioni di once) ha causato il declino dei prezzi. L’ordine di vendita e’ stato piazzato da fondi speculativi riconducibili a Merrill Lynch. Non si trattava di oro fisico, ma di oro di carta (paper gold).

Questo primo ribasso e’ stato amplificato da una seconda ondata di vendite sui mercati a termine sintetici per lo stratosferico ammontare di 15 miliardi di dollari (equivalenti a 300 tonnellate di oro). Il tutto si e’ svolto nell’arco di soli 35 minuti di contrattazioni. Hedge funds, bullion banks, grandi fondi d’investimento, possono manipolare il prezzo dei metalli preziosi agendo sui mercati futures, costruendo un enorme castello di posizioni “corte” in vendita (short position). Questi fondi agiscono con leva finanziaria pari a 20:1.

E’ esattamente quello che e’ accaduto venerdi.

Da venerdi’ scorso a lunedi’ abbiamo riscontrato ordini di vendita sui mercati futures pari a 400 tonnellate di oro. 400 tonnellate di oro sono equivalenti al 15% della produzione annuale di metallo giallo. I ribassi sono amplificati all’inverosimile dalle vendite allo scoperto (naked short) e dai software di compravendita automatizzata (high frequency trading).

Ricordiamo che i magazzini del COMEX (mercato a termine sintetico di New York) riscontrano il maggior calo delle scorte da settembre 2009. Nei primi tre mesi di quest’anno i cali sono stati quasi superiori al 17% portando le scorte a un minimo di 286,60 tonnellate metriche di oro. I fondi speculativi e le bullion banks in meno di due giorni di trading hanno venduto oltre 524 tonnellate di oro di carta (paper gold), quasi il doppio delle riserve fisiche detenute al COMEX.

La richiesta fatta dai brokers (intermediari) dei mercati a termine ai propri clienti (fondi speculativi) di integrare i “margin calls” ovvero i depositi in garanzia che i fondi costituiscono per potere operare in questi mercati, ha autoalimentato la furia ribassista delle quotazioni. Quando sui mercati si instaurano forti pressioni ribassiste, i brokers dei mercati a termine richiedono l’aumento dei margini di garanzia per evitare di sostenere le perdite dell’investitore- cliente.

E’ evidente che coloro i quali hanno orchestrato l’attacco ribassista avevano previsto che i brokers, visti i consistenti ribassi delle quotazioni, avrebbero richiesto ai loro clienti le integrazioni ai depositi (margin calls) scatenando quindi ulteriori vendite da “stop loss”.  E’ stato un chiaro attacco di “guerra psicologica” (psychological warfare).

Il fine dell’offensiva contro i preziosi e’ indubbio: screditare il loro ruolo di “bene rifugio” ed evitare una fuga di capitali in oro e argento, trattenendoli presso il sistema finanziario.  A questo punto stabilitosi un clima di “panic selling” sono scattati i software di compravendita automatizzata che hanno fatto partire gli “stop loss” (stop alle perdite), quindi il crollo si e’ trasformato in una vera e propria valanga.

Contestualmente al crollo dei prezzi dell’oro sui mercati futures di New York, la LBMA di Londra (la piattaforma ove si compera e vende il metallo fisico reale) bloccava fraudolentemente ogni tipo di acquisto adducendo come giustificazione un improvviso guasto tecnico al sistema. Pertanto la LBMA “congelava” di fatto gli acquisti e le vendite di metalli preziosi fisici. I detentori di oro e argento fisico non potevano piu’ operare, ne’ in acquisto ne’ in vendita. In pratica, per non essere travolti dalle perdite, i possessori di metalli fisici sono dovuti ricorrere ai mercati sinteci “futures” alimentando le posizioni in vendita – “short” (per poi riconvertirle in “lunghe” – acquisto – non appena il mercato fisico si fosse sbloccato). Questo ha ulteriormente dilatato la pressione ribassista sulle quotazioni.

Il congelamento del mercato fisico alla piattaforma della LBMA sembra essere stato orchestrato con il fine di esasperare le vendite da panico (o comunque si tratta certamente di una inusuale “coincidenza”). L’unico evento che puo’ approssimarsi a quello accaduto venerdi’ 12 e lunedi’ 16, uguale per intensita’ e virulenza ribassista, e’ accaduto il 19 ottobre 1987.

In quella occasione la Bank of England, sotto pressione congiunta della Fed e del Dipartimento del Tesoro Statunitense, fu costretta a prendere in prestito un rilevante stock di oro dal Fondo Monetario Internazionale per rivenderlo successivamente sul mercato e farne crollare le quotazioni.  L’impatto ribassista fu rilevante: in una sola giornata le quotazioni dell’oro calarono di oltre $100,00. La Bank of England per innescare l’effetto “vendite da panico” (panic selling) dovette pero’ vendere oro fisico, non oro di carta. Al contrario della fase odierna, i mercati dei derivati (sebbene gia’ sviluppati), non erano ipertrofici come quelli odierni.  Dietro questo attacco premeditato ci sarebbe la Federal Reserve e le sue politiche di sostegno indiscriminato al dollaro e il suo status di “valuta di riserva mondiale”. L’opinione e’ del Dr. Paul Craig Roberts, Ex Assistente al Dipartimento del Tesoro con i governi Reagan. Secondo il Dr. Roberts la Fed avrebbe fatto filtrare la voce alle grandi case di brokeraggio (Goldman Sachs, Merrill Lynch), che molti hedge funds e altri grossi investitori stavano alleggerendo le proprie posizioni su oro e argento. Queste a loro volta avrebbero suggerito ai clienti di ridurre drasticamente gli investimenti nei metalli preziosi, contribuendo attivamente all’inizio del calo.

I media mainstream hanno motivato il ribasso adducendo il fatto che alcuni Stati Occidentali fortemente indebitati (tra cui l’Italia), sarebbero costretti a svendere le riserve auree sul mercato per fare fronte ai propri debiti. Tesi priva di qualsivoglia fondamento; argomentazione esposta in malafede o giocata sulla mancanza di conoscenza del mercato dei metalli preziosi da parte del grande pubblico. Le Banche Centrali Occidentali non posseggono tutte le riserve che dichiarano di detenere. Parte delle stesse, negli anni scorsi, sono state date in prestito come collaterale o ipotecate per altre operazioni finanziarie. Parte sono collocate fuori dal territorio nazionale e non se ne ha la immediata disponibilita’.

Prendiamo l’esempio della Germania. La Bundesbank ha chiesto il rimpatrio di 300 tonnellate di oro dagli USA. Gli Stati Uniti restituiranno quanto richiesto dai tedeschi nel lasso di tempo di 7 anni. E’ evidente che non ne sono in possesso, altrimenti non avrebbero atteso 7 anni per restituirle. Oppure, se ne sono in possesso, ne centellinano la consegna in modo tale da detenere sul proprio territorio la maggior parte di riserve possibili in caso di stress finanziario. In secondo luogo, anche se gli Stati in difficolta’ dovessero svendere sul mercato parte delle riserve auree, la domanda sarebbe assorbita facilmente dalla Cina. Il Paese del Dragone possiede riserve in dollari americani tali da acquistare tutto l’oro detenuto dalle Banche Centrali, per ben due volte.

Riccardo G. – Deshgold

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6 commenti Commenta
andrea4891
Scritto il 22 Aprile 2013 at 11:04

“Le Banche Centrali Occidentali non posseggono tutte le riserve che dichiarano di detenere. Parte delle stesse, negli anni scorsi, sono state date in prestito come collaterale o ipotecate per altre operazioni finanziarie. Parte sono collocate fuori dal territorio nazionale e non se ne ha la immediata disponibilita’.”

fa piacere leggere quello che sostengo da sempre quando si parla dell’oro italico 😀

ottofranz
Scritto il 23 Aprile 2013 at 19:21

Gran bel post
Questa è la dimostrazione che quando il problema è di carta…chi di carta ferisce di carta perisce

schwefelwolf
Scritto il 24 Aprile 2013 at 11:48

Leggo, in proposito, sull’Handelsblatt, un paio di dati che mi sembrano interessanti.

Nei primi 4 mesi di quest’anno si è registrato un calo di “oro cartaceo” (ETP) nell’ordine di 277 tonnellate – e quindi un quantitativo quasi pari a quello registrato su tutto il 2012 (279 tonnellate). Nel solo mese di aprile (2013) il calo è stato di 117 tonnellate – il record di tutti i tempi.

Per contro – e qui viene la cosa a mio avviso veramente interessante – la zecca degli USA ha venduto nel solo mese di aprile monete d’oro (quindi: FISICO) per un totale di 167.000 once – il piú alto quantitativo registrato dal maggio 2010 (190.000 once). Nei primi 4 mesi di quest’anno la zecca americana ha venduto monete per un totale di 460.000 once – e quindi il 61% del totale registrato nell’anno 2012, in un solo quadrimestre.

Domanda: come va letto questo “piccolo divorzio” fra carta e metallo? Non sarà un segno allarmante, anticipatore di pesanti nodi che vengono al pettine?

ottofranz
Scritto il 24 Aprile 2013 at 13:54

schwefelwolf@finanza,

aspetta…io ne avrei anche un’altra di domanda …di chi era quell’oro che hanno fuso ? :mrgreen:

schwefelwolf
Scritto il 24 Aprile 2013 at 14:49

ottofranz,

Bella domanda, veramente bella – e carica di potenziali significati…
Purtroppo io non sono in grado di rispondere…

kry
Scritto il 25 Aprile 2013 at 23:38

Se non è solo teoria questa volta qualcuno ( Le banche centrali ) si fa male sul serio. Si possono comprendere le finalità dei vari QE a sostegno delle borse. http://www.rischiocalcolato.it/2013/04/e-tempo-di-vendere-il-vostro-oro.html

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