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NAVI FALLATE, VERDI GERMOGLI e FLORIDE ERBACCE
Tutti ormai sapete come la penso. Inutile llludersi. La ripresa, quella vera, tarderà a venire. I motivi sono molteplici. E se volete rinfrescarvi la memoria, andate a rivedervi la categoria “Macroeconomia” del blog, troverete anni di pensieri ed elucubrazioni mentali del sottoscritto, e non solo.
Negli ultimi giorni mi è capitato di leggere un eccellente scritto di quel famoso professore della New York University, alias Nouriel Roubini, un personaggio ribattezzato Dr. Doom vista la sua perenne view negativa dei mercati finanziari.
Il suo articolo, apparso tra le altre cose , tradotto in italiano, su “Il Sole 24 Ore” , riassume in modo (secondo me) perfetto la situazione eell’economia e dei mercati. In linea di massima cercerò di riassumerne il contenuto in questa sede.
Erbacce tra i germogli della ripresa
(tratto in parte da un articolo di Nouriel Roubini)
Se andiamo a leggere alcuni dei dati più recenti, ci segnalano che forse il ritmo di contrazione dell’economia mondiale sta railentando. Ma le speranze di veder spuntare i germogli verdi della ripresa sono state spazzate via dal proliferare di erbacce. I dati recenti sull’occupazione, le vendite al dettaglio, la produzione industriale e l’immobiliare negli Stati Uniti rimangono molto deboli. Il dato sulla crescita del Pii in Europa nel primo trimestre è da brividi; l’economia giapponese è ancora in stato comatoso; e perfino la Cina – che si sta riprendendo – ha un export molto fiacco. Ecco perché la convinzione generale che la caduta dell’economia globale si avvicini a toccare il fondo si è dimostrata – una volta di più – eccessivamente ottimistica.
Dopo il crollo della Lehman Brothers nel settembre del 2008, il sistema finanziario globale si è quasi disintegrato e l’economia mondiale è precipitata in caduta libera. Il ritmo di contrazione dell’economia nell’ultimo trimestre del 2008 e nel primo trimestre del 2009 ha raggiunto livelli quasi da depressione.
A questo punto, i leader globali hanno visto la luce e hanno cominciato a usare quasi tutte le armi a loro disposizione: vaste politiche di rilancio dell’economia attraverso la spesa pubblica, espansione monetaria convenzionale e anticonvenzionale, migliaia di miliardi di dollari per sostenere la liquidità, ricapitalizzazione, garanzie e assicurazioni per contrastare la crisi del credito e della liquidità e infine massiccio supporto alle economie dei mercati emergenti. Solo negli ultimi due mesi si sono contate più di 150 misure d’intervento diverse in tutto il mondo.
Questo corrispettivo economico della dottrina dell’ex segretario di stato Colin Powell della forza soverchiante , unito alla brusca contrazione della produzione sotto la domanda finale di beni e servizi (che ha trascinato al ribasso le scorte di merci invendute), prepara la scena per un proseguimento della crisi nella maggior parte delle economie fino ai primi mesi del prossimo anno. Determinante per lo sviluppo, il ritmo con cui aumentare la domanda interna dei paesi caratterizzati da forti surplus nei primi mesi del prossimo anno.
Gli ottimisti che lo scorso anno parlavano di un atterraggio morbido o di una blanda recessione a V di otto mesi si sbagliavano, ormai è provato, mentre aveva ragione chi sosteneva che sarebbe stata una recessione a U di 24 mesi, più lunga e pesante (negli Stati Uniti siamo già al diciottesimo mese di vacche magre). E il recente ottimismo di chi diceva che il fondo sarebbe stato toccato a metà anno è stato spazzato via dai più recenti dati economici.
Il punto fondamentale, tuttavia, non è quando l’economia globale toccherà il fondo, ma se la ripresa globale – non importa quando arriverà – sarà robusta o debole sul medio termine. Non si possono escludere un paio di trimestri di forte crescita del Pii, una fiammata di breve durata dovuta all’avvicendamento delle scorte e alle forti misure di stimolo messe in campo. Ma questi titubanti germogli di cui tanto sentiamo parlare di questi tempi rischiano di venire soffocati a medio termine dalle erbacce, dando il via a due anni di ripresa debole a livello globale.
Il quadro della situazione: il DECALOGO
Primo: l’occupazione continua a calare bruscamente negli Stati Uniti e in altre economie. Di qui al 2010 la disoccupazione salirà ben oltre il 10% nelle economie avanzate e questa è una brutta notizia per i consumi e per le perdite delle banche.
Secondo: questa non è solo una crisi di liquidità, è anche una crisi di solvibilità, ma non si è ancora cominciato davvero a ridurre la leva creditizia, perché le perdite private e i debiti, delle famiglie, degli istituti di credito e delle grandi aziende non sono stati ridotti, bensì socializzati e messi in carico allo stato. Senza un deleveraging sarà più difficile per le banche prestare, per le famiglie spendere e per le società investire.
Terzo: nei paesi con un deficit negli scambi con l’estero, è necessario che i consumatori taglino le spese e risparmino molto più di prima per parecchi anni. Prosciugati dallo shopping, senza risparmi e oberati dai debiti, i consumatori sono stati investiti da uno shock patrimonilale (crollo dei prezzi delle case e delle azioni), dalla crescita del servizio del debito e dal calo dei redditi e dell’occupazione.
Quarto: il sistema finanziario – nonostante il puntello pubblico – è gravemente danneggiato. Il sistema bancario ombra è in gran parte scomparso e le banche commerciali tradizionali sono oberate dal fardello di migliaia di miliardi di dollari di perdite previste su prestiti e titoli, a fronte di una persistente, grave situazione di sottocapitalizzazione. Non sarà facile allentare la stretta creditizia.
Quinto: la scarsa redditività, causata dal debito elevato e dal rischio d’insolvenza, penalizza la crescita economica (e pertanto i ricavi) e il persistere d’una pressione deflattiva sui margini delle aziende continuerà a renderle meno disponibili a produrre, assumere e investire.
Sesto: il crescente indebitamento dello stato porterà alla fine a un incremento dei tassi d’interesse che potrebbe bloccare la spesa privata e perfino determinare un rischio di rifinanziamento del debito.
Settimo: la monetizzazione dei deficit di bilancio non produce inflazione sul breve periodo, mentre un mercato del lavoro e dei prodotti fiacco implica imponenti forze deflazionistiche. Ma se le banche centrali non troveranno una chiara strategia d’uscita da politiche che raddoppiano o triplicano la base monetaria, alla fine la conseguenza sarà l’inflazione o un’altra pericolosa bolla del credito e dei prezzi delle attività (oppure l’una e l’altra). I recenti aumenti dei prezzi dei titoli, de1le merci e di altre attività rischiose sono chiaramente Indotti dalla liquidità.
Ottavo: le economie di certi paesi emergenti, con fondamentali economici pi deboli, potrèbbero non riuscire a evitare una grave crisi finanziaria, nonostante il consistente supporto del Fmi.
Nono: per concludere, ridurre gli squilibri globali implicherà che nella bilancia dei pagamenti i deficit delle economie spendaccione (gli Stati Uniti e gli altri paesi anglosassoni) restringeranno i surplus dei paesi super risparmiatori (la Cina e gli altri mercati emergenti, la Germania e il Giappone). Ma se la domanda interna non crescerà abbastanza in fretta nei paesi in surplus, la conseguente carenza di domanda globale rispetto all’offerta (o, che è lo stesso, l’eccesso di risparmi globali rispetto alla spesa per investimenti) porterà a una ripresa più debole della crescita globale, con quasi tutte le economie che cresceranno molto più lentamente delle loro potenzialità.
Decimo: le conclusioni….
CONCLUSIONI
I germogli verdi della stabilizzazione rischiano dunque di cedere il passo alla gramigna della stagnazione se vari fattori di medio termine impediranno all’economia di tornare a crescere in modo sostenuto. Se queste debolezze strutturali nn troveranno soluzione, nel 2010-2011 l’economia globale forse tornerà a crescere, ma a ritmi da anemia.
E tutto questo va quindi a quadrare perfettamente con il nostro quadro macoreconomico.
Il quadro delineato non è certo brillante, ma senza dubbio non sarà condiviso da tutti. Anche perché, non dimentichiamolo mai, questa crisi è unica nelle sue caratteristiche e paragonarla con eventi passati non è certo facile. Le Banche Centrali hanno fatto il possibile per rattoppare come possibile le falle che stavano facendo affondare la nave dell’economia.
Ma non rallegriamoci troppo. Siamo ancora in alto mare, e il porto della vera ripresa economica, dove potremo arenarci, cone serenità e vera e fondata fiducia, è ancora molto lontano. Speriamo quantomeno di non ritrovarci con il mare in burrasca, anceh eprchè gli interventi governativi a sostegno dell’economia non potranno durare all’infinito.