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Dalla GLOBALIZZAZIONE alla SEGMENTAZIONE
L’economia globale sta attraversando una trasformazione strutturale che merita attenzione. Stiamo assistendo al passaggio da un mondo caratterizzato dalla globalizzazione a uno sempre più segmentato, con implicazioni profonde per l’inflazione, i tassi d’interesse e le strategie d’investimento.
Diciamolo: se pensavamo che la globalizzazione fosse un sogno eterno di merci a buon prezzo e frontiere aperte, beh, svegliamoci. Il mondo si è trasformato in un puzzle, e ogni pezzo ha le sue regole, spesso scritte con inchiostro rosso di dazi e tensioni geopolitiche. E l’inflazione? È diventata l’ospite scomoda che non se ne va, nonostante le promesse dei banchieri centrali di una permanenza “transitoria” che passa da sola, come un mal di testa dopo una serata pesante.
GLOBALIZZAZIONE: ovvero integrazione
La globalizzazione, come descritta in articoli recenti come il World Migration Report 2024 (World Migration Report 2024 Reveals Latest Global Trends and Challenges in Human Mobility | International Organization for Migration), era sinonimo di integrazione: 281 milioni di migranti internazionali nel 2020, con flussi di merci che superavano i confini come uccelli migratori. Ma oggi, secondo il Global Trade Update di UNCTAD (Global Trade Update (December 2024) | UN Trade and Development (UNCTAD)), il commercio globale, pur raggiungendo i 33 trilioni di dollari nel 2024, mostra segni di rallentamento, con tariffe e sanzioni che limitano i flussi. Le restrizioni sull’immigrazione, evidenziate da report come quello di Pew Research Center (Key facts about recent trends in global migration | Pew Research Center), riducono la manodopera a basso costo, mentre politiche industriali divergenti, come quelle discusse nel World Economic Forum (Deglobalisation: here’s what you need to know | World Economic Forum), rendono le regole per le imprese imprevedibili e idiosincratiche.
Immaginate un arcipelago: ogni isola ha il suo re, le sue tasse e le sue leggi. Bello, no? Peccato che questo frammentismo costi caro, e non solo in termini di stress geopolitico.
L’inevitabile conseguenza: un tasso inflazione strutturalmente più alto
La conseguenza più evidente di questa transizione è un’inflazione permanentemente più elevata. E non è difficile capire perché:
- I beni importati costano di più a causa delle tariffe e delle interruzioni nelle catene di approvvigionamento
- I beni prodotti internamente sono più costosi perché manca la concorrenza globale
- La minore immigrazione rende la manodopera nazionale più costosa (e carente)
- Le diverse politiche industriali riducono la competizione tra paesi
Se la globalizzazione esercitava una pressione al ribasso sull’inflazione, questa nuova segmentazione sta creando una pressione strutturale al rialzo.
Risposta delle Banche Centrali e Tassi d’Interesse
Le banche centrali, come la Fed e la BCE, si trovano a navigare in acque turbolente. Secondo un’analisi di CEPR (Changing central bank pressures and inflation | CEPR), la credibilità delle politiche monetarie è messa alla prova da questi cambiamenti strutturali, con politici che spingono per meno austerità, complicando il controllo dell’inflazione. Il World Economic Outlook Update, January 2025 (World Economic Outlook Update, January 2025: Global Growth: Divergent and Uncertain) suggerisce che i rischi di nuove pressioni inflazionistiche potrebbero interrompere la svolta verso un allentamento monetario, mantenendo i tassi più alti per più tempo. E questo è stato oggetto proprio di un post che ho pubblicato nelle ultime ore.
Diciamolo: Powell e Lagarde sembrano due capitani su una nave che prende acqua, con il timone che non risponde come vorrebbero. E noi, poveri investitori, siamo lì a chiederci se mai vedremo tassi bassi di nuovo. Già, intanto però attenzione perché risulta evidentemente chiusa l’epoca dei tassi zero e della liquidità infinita.
A new normal?
Dobbiamo chiederci: siamo davvero preparati a questa nuova normalità? I modelli di rischio hanno incorporato questo cambiamento strutturale? Quanti analisti continuano a prevedere il ritorno a un mondo che, semplicemente, non esiste più?
Per i mercati, le implicazioni sono chiare ma forse sottovalutate. Le azioni growth, che vivono di promesse future, soffrono con costi del capitale più alti, come discusso in analisi di J.P. Morgan (Is the World Economy Deglobalizing? | J.P. Morgan). Le obbligazioni a breve termine potrebbero diventare più attraenti, ma scordatevi i bei tempi dei bond a lungo termine con cedole da capogiro. Le materie prime, con catene di approvvigionamento in tilt, vedono prezzi volatili, come evidenziato nel Global Trade Update (Global Trade Update (December 2024) | UN Trade and Development (UNCTAD)).
Mentre ci adattiamo a questa nuova realtà, vale la pena ricordare che la storia economica è fatta di cicli. La globalizzazione stessa è stata una risposta a un periodo precedente di maggiore isolazionismo economico.
Ciò che stiamo vivendo oggi potrebbe essere una fase transitoria verso un nuovo equilibrio, o l’inizio di un lungo periodo di segmentazione. Qualunque sia l’esito, l’adattabilità e la comprensione di queste dinamiche strutturali saranno fondamentali per navigare con successo i mercati finanziari dei prossimi anni.
Capire cosa sta accadendo è il primo passo per non farsi travolgere. La deglobalizzazione non è una moda passeggera, ma una realtà che sta ridisegnando l’economia globale sotto i nostri occhi.
Quindi, cari lettori, la prossima volta che sentite parlare di inflazione “transitoria” o di tassi che “tanto scenderanno presto”, fatevi una risata e guardate oltre. Il mondo è cambiato, e chi non se ne accorge rischia di restare fermo su un’isola deserta mentre gli altri si muovono.
STAY TUNED!