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FED: quale direzione?
Ormai da diverso tempo si può leggere sui giornali, e non solo, della possibilità che il ciclo rialzista dei tassi USA sia ormai giunto a termine. Da più parti si dice che la FED prossimamente tornerà a tagliare i tassi, soprattutto per stimolare un’economia che è in rallentamento ma che si dimostra al momento solida, ma non solidissima, a causa di tante piccole magagne, tra cui la nota vicenda dei Subprime, che probabilmente è stata archiviata dal mercato in modo un po’ troppo zelante. Ma è veramente corretto questo ragionamento? Secondo me no, si fanno i conti senza l’oste che, come ho già detto più volte, è quella bestia brutta e cattiva chiamata inflazione.
Il Fondo monetario internazionale ha annunciato a giugno l’intenzione di aumentare le previsioni di crescita per il 2007, confermando un ritmo di sviluppo di oltre il 4% per il quinto anno consecutivo ed un aumento delle pressioni inflazionistiche. A giugno, l’aumento dell’inflazione e i dati economici positivi hanno spinto verso l’alto i tassi d’interesse su scala mondiale. Mentre la Federal Reserve dovrebbe lasciare invariato il costo del denaro ( e dopo spiegherò perchè uso il condizionale), ad un anno dall’ultimo rialzo, la Banca Centrale Europea ha portato il tasso di riferimento al 4%, come ben sapete, ovvero il livello più alto degli ultimi sei anni, non escludendo ulteriori rialzi gia già fin da settembre (25 bp).
I dati negli Stati Uniti mantengono una tendenza contrastante. La debolezza del settore dei beni durevoli e le correzioni del mercato immobiliare sub-prime risultano in netto contrasto con i dati relativi alla spesa per consumi superiore alle aspettative ed la ritrovata crescita del settore dei servizi. Inoltre ormai è chiaro: la crescita occupazionale statunitense ha subito un marcato rallentamento. Persistono inoltre notevoli incognite circa il vero ritmo di crescita dei posti di lavoro, poiché nel 2007 si sono invertite le tendenze di due indicatori: l’indagine dal lato delle imprese mostra un aumento superiore rispetto a quello che emerge dall’inchiesta presso le famiglie, un andamento opposto a quello del 2006. Se l’espansione del mercato del lavoro e quindi del reddito si sta indebolendo, mentre la produttività registra un rafforzamento maggiore a quello segnalato dai dati ufficiali, è possibile che le aspettative sulla crescita reale e sull’inflazione diminuiscano rispetto agli attuali livelli, ravvivando le speranze di un taglio dei tassi da parte della Federal Reserve. Secondo me questa ipotesi è di difficile attuazione.
Ed eccoci quindi ad un bivio. Come mai quindi i dati sul lavoro possono essere così determinanti per la politica monetaria della FED? Eccovi la spiegazione: per i mercati, un basso tasso di disoccupazione potrebbe rafforzare i timori della banca centrale circa i rischi inflazionistici, mentre un chiaro indebolimento dell’occupazione accrescerebbe la preoccupazione per la fragilità dell’economia.
Come potete vedere, capire e prevedere la politica economica non è mai stato così complesso, in quanto stiamo vivendo un fase di trasizione dove ci sono tanti rischi e pericoli che, se domati, porteranno nuova crescita economica. Ma gli stessi rischi e pericoli, se gestiti in modo sbagliato, danneggerebbero in modo vistoso il quadro macroeconomico. Concludo dicendo in massima sintesi qeusto concetto: se in Europa sembra chiara una politica monetaria che porterà ad un ulteriore aumento forse già fin da settembre, negli USA è tutto da vedere. E quindi chi già ora spara sentenze, dicendo che i tassi hanno finito la loro corsa al rialzo, forse fa solo un po’ di fumo in un mercato che già di per sè ha moltissime ombre…