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FED: aumento tassi a marzo. Ma il PIL viene rivisto al ribasso.
Sembra quasi un mondo perfetto. Ma a me proprio perfetto non sembra. Malgrado questo, è inutile e controproduttivo negare l’evidenza.
Dai dati che ho a disposizione sembra chiaro che negli Usa l’attività economica ha fatto segnare infatti una netta accelerazione nel secondo semestre 2016 e dovrebbe mantenere tale tendenza anche nei prossimi mesi. Tutto questo ha generato una fiducia che è ai massimi da nove anni. Il tutto poi alimentato da un tasso di disoccupazione che invece è ai minimi storici.
Il motore economico USA sta quindi andato a pieni giri, ma….ecco che arriva Donald Trump con la sua campagna espansiva, al momento confermata dai numeri e dai fatti solo in parte. Malgrado questo, però i mercati hanno fiducia nella Trumponomics e scontano un’ulteriore accelerazione. Più spesa pubblica, meno imposte per le aziende. Terreno veramente fertile per un ulteriore incremento del tasso inflazione che, proprio negli USA, si sta già dirigendo in territori importanti. Secondo diverse case di investimento, l’inflazione USA potrebbe arrivare al 2,5% a giugno. Un incremento importante che non poteva non allarmare chi vigila su questa problematica: la FED.
Ma attenzione. Occorre sottolineare, come già vi ho spiegato, che gran parte delle pressioni sui prezzi si deve alla ripresa delle commodity, petrolio in primis. Quindi componenti che spesso vengono addirittura scartate da certi conteggi e su cui la Fed non ha alcun controllo. E poi ci sono altri elementi che influiscono sul tasso inflazione, come la sanità e l’immobiliare.
Insomma, cosa sta accadendo? Semplicemente c’è il rischio che l’economia USA tenda ad andare “fuori giri”, ovvero a surriscaldarsi. Ed ecco spiegato il repentino “dietro front” di alcuni membri della FED. Le prospettive sul PIL sono buone e quindi, in un quadro macroeconomico positivo, la FED deve intervenire e rendere meno accomodanti le condizioni del credito, recuperando anche un po’ di quel gap che si era generato in passato a causa della volontà di bloccare la crescita economica. Oggi invece NON alzare i tassi potrebbe essere non proattivo ma addirittura distruttivo. E quindi…ecco che magicamente la possibilità di un aumento dei tassi a marzo 2017 decolli all’80%.
Quindi tutto bene? In apparenza si, anche perché il mercato vede questo fatto positivamente, proprio per il bene del mercato e del trend di crescita di economia e borse. In realtà poi alcuni recenti dati macro fanno contorcere un po’ il naso. Torniamo a parlare della Fed di Atlanta che ha rivisto in modo abbastanza drastico le sue aspettative sul PIL USA.
Ma questo, ovviamente, è un dato previsionale che potrebbe essere poi condizionato da nuove dichiarazioni e nuovi tweet di Donald il Magnifico.
Intanto però la FED, coerentemente con quanto annunciato dalla Yellen, non si farà prendere in contropiede ed aumenterà i tassi a marzo. Ovvia la reazione su mercato obbligazionario e dollaro USA che non si è fatta certo aspettare ed ha già iniziato a muoversi in quell’ottica. Ora bisogna solo capire se veramente il GDPNow della FED di Atlanta ha azzeccato la previsione. In tal caso potremmo assistere ad una motivazione per far partire una correzione. A meno che possiate pensare che il mercato possa salire all’infinito senza mai prendersi un momento “sabbatico”.
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Esatto.
Intanto il toro corre e mettersi contro alla sua corsa diventa pericoloso. Sui TBond lunghi ok ma con moderazione. Si compreranno meglio tra un pochino.
Il mercato obbligazionario non è morto, basta che si muovano i flussi finanziari e vedi come risorge
il tuo scetticismo è la miglior medicina per mantenere ancora i long.
trump costringerà la fed ad alzare i tassi e dopo i suoi mirabolanti risultati, manderà l’america in recessione. ma per intanto il toro corre!
azioni ok, ma in portafoglio incetta di treasuries lunghi