EURO e il circolo vizioso comandato dalla casta politica

Scritto il alle 15:14 da paolo41

 

Dietro alla crisi economica italiana c’è una ragnatela politica distruttiva ed un lassismo all’evolversi dei fatti [Guest Post by Paolo41]

Dobbiamo partire dal presupposto che prima dell’introduzione dell’Euro, Guido Carli e DeMichelis avevano già firmato il 7.2.1992 il Trattato di Maastricht che aveva l’obiettivo principale di favorire l’integrazione economica e finanziaria fra i paesi firmatari, lasciando comunque autonomia monetaria al singolo paese. A seguito di tale accordo l’Italia avrebbe dovuto intraprendere cinque anni duri di riforme, come dichiarò DeMichelis, ma tutti sappiamo che sono state fatte, invece, le solite inutili chiacchiere senza attivare azioni concrete e lungimiranti. Non contenti di questo “ non far niente”, l’ineffabile duo Prodi-Ciampi nel 1997 subirono le condizioni dell’egemonia tedesca accettando una rivalutazione della lira di circa il 20% e la camicia di forza del limite del 60% del rapporto debito/Pil, reso poi obbligatorio dal fiscal compact; entrambe quest’ultime due condizioni non erano previste nel trattato di Maastricht.

Dal 1997 al 2002, data di entrata nell’euro, con l’economia italiana che dava preoccupanti segni di rallentamento, mai denunciata e comunque forse o volutamente nemmeno compresa dai nostri governanti, ci sono stati circa cinque anni per decidere di rimanere sulla nostra moneta, ma l’egotismo e la superbia dei politici e dei “professori” di allora hanno impedito tale ovvia decisione. Fa senso leggere oggi (4/11/2013) su alcuni quotidiani un’intervista al “professor” Prodi dove denuncia, pari pari, quanto sopra scritto e che Maastricht debba essere rivisto, accusando la Germania di egemonia e ammettendo che così com’è la EU risulta un mezzo fallimento. Tanto tuonò che piovve!!!! E’ stato capace, nell’intervista, di girare la frittata addossando la colpa alla Germania,senza mai menzionare che è stato lui a fare carte false per entrare nell’euro. Eppure come ex-Amministratore dell’IRI doveva conoscere a menadito la situazione in cui si trovava l’industria italiana. Se poi pensiamo che potrebbe essere il prossimo Presidente della Repubblica …….!!!!

La successiva entrata nell’euro prevedeva, almeno nelle intenzioni, che la BCE potesse emettere moneta e quindi rappresentare un creditore di ultima istanza. Siamo sempre, come poveri illusi, qui ad ….. aspettare, mentre risulta evidente come la Germania, manovrando a suo piacimento i nostri incompetenti governi, sia riuscita a togliersi di mezzo la seconda e scomoda economia industriale europea.

Occorre ammettere che i primi segnali che qualcosa non andava nell’industria italiana si cominciarono a sentire già nella seconda parte degli anni ’80 come effetto delle azioni terroristiche degli anni precedenti; subentrò un certo lassismo nei confronti delle richieste sindacali, spinto da governi che, impauriti da eventuali moti sociali, invitavano le istituzioni industriali a fare concessioni a sindacati e lavoratori in cambio di importanti finanziamenti , specialmente per gli investimenti industriali nel sud-Italia. E’ pleonastico ricordare che l’intero stabilimento di Melfi della Fiat è stato finanziato fino all’ultimo centesimo con i soldi del contribuente.
Ma la Fiat, esempio classico del decadimento dell’industria italiana, dopo l’uscita di Ghidella, aveva già cominciato a dare segni di una gestione non appropriata; salvo un acuto temporaneo con l’introduzione della Punto, il trend della redditività era in continua discesa e molto era da attribuirsi ad un mismanagement sia in termini di gestione del prodotto , dei costi industriali e della qualità. In questo quadro il secondo grave errore fu quello di cedere settori industriali con elevate potenzialità di sviluppo per cercare di tenere in piedi i settori autoveicoli (vetture e camions) in profonde e croniche difficoltà e bisognosi di cassa. Fu ceduta Telettra , leader europeo nel campo delle telecomunicazioni (nel settore trasmissione) quando stava per concretizzare, in autonomia finanziaria cioè senza l’aiuto della Holding Fiat, importanti acquisizioni nel contesto europeo. Nel campo della commutazione operava su licenza Siemens, era forte nello sviluppo della Tv digitale allora agli embrioni, era leader nei ponti radio con grosse potenzialità per l’imminente sviluppo del businnes dei telefoni cellulari. Per dare un’idea delle potenzialità di Telettra, un’azienda che aveva impressionanti aumenti di fatturato annui e che, al momento della cessione, stava per toccare i 1500 Mld di lire, fu ceduta ad Alcatel per 3500 Mld di lire, più di due volte il fatturato. Dopo pochissimi anni il Know-how italiano fu trasferito in Francia e gradualmente anche la produzione fu accorpata alle fabbriche francesi. Oggi l’industria italiana dei prodotti per telecomunicazioni è praticamente insignificante.

E’ significativo ricordare che la mano dei politici (Craxi ) era in precedenza entrata per disfare l’accordo che Telettra aveva fatto per creare una joint venture con la Italtel, allora nel gruppo STET, al fine di creare un’azienda di telecomunicazioni di dimensioni sufficientemente competitive nel panorama mondiale.

La mano di politici si fece sentire anche quando Fiat fu costretta ad uscire dalla gara come secondo operatore per la telefonia cellulare; l’altro concorrente era la Omnitel di De Benedetti. Fiat era associata in tale gara con Vodafone e, purtroppo,anche con la Fininvest di Berlusconi. L’entrata in politica di quest’ultimo scatenò una serie di contrasti con l’allora PCI e attraverso manovre sotto i tavoli politici la concessione fu affidata “di forza” a Omnitel. E’ noto che, dopo molti cambi di “padroni”, Omnitel è finita comunque nelle mani di Vodafone. Il settore della telefonia vede oggi diversi operatori; chi ha perso le quote maggiori è Telecom che, dopo essere stata saccheggiata da un alternarsi di “capitani coraggiosi”, naviga oggi in acque oltremodo agitate galleggiando su un mare di debiti.
Fiat si è poi disfatta delle attività Centrali turbogas e Avio, della Sorin, del Ferroviario, della Toro Assicurazione, etc, la maggior parte passate in mani straniere e ha gradualmente raggiunto la soglia del fallimento se non fosse intervenuto l’accordo Marchionne/Obama sulla allora decotta Chrysler. L’attività industriale in Italia è ormai ridotta all’osso e se non riesce ad avere il controllo della risorta Chrysler (molto difficile e comunque molto costoso), quello che rimane della vecchia Fiat Group ( peraltro con un elevato D/E) ha scarse possibilità di creare redditività e lavoro.

Ho portato l’esempio di Fiat, ma potrei dilungarmi su altre aziende italiane che sono state costrette a passare in mani straniere o addirittura a chiudere l’attività; anche Telecom (ormai controllata dalla spagnola Telefonica) e Alitalia stanno da anni percorrendo strade molto impervie. Nell’agroalimentare (Parmalat è il più fulgido esempio), molti noti marchi sono nelle mani di multinazionali straniere, le filiere di produzione sono cambiate sempre a scapito del lavoro italiano. Nel cosi detto “bianco” siamo ridotti a mantenere in casa solo l’assemblaggio dei prodotti più sofisticati; il resto già da tempo è stato riallocato su paesi a costi generali più competitivi. Indesit ,nonostante abbia delocalizzato buona parte della produzione in altri paesi, ha proprio in questi giorni dato incarico a importanti banche di cercare un partner disponibile a creare una joint-venture. Per non parlare del settore “moda” : la maggior parte dei marchi più illustri è passata in mano francese e straniera in generale. Stiamo vendendo la cantieristica, le grandi catene di distribuzione, etc. Per chi, magari per semplice curiosità, avesse voglia di farsi una lettura ancora più deprimente di quanto sopra elencato, vada su Google alla voce “aziende italiane vendute” e avrà una panoramica più dettagliata. Occorre specificare che non tutte le cessioni delle aziende suddette è avvenuta perché, ormai in difficoltà, sono divenute facili prede degli acquirenti stranieri; alcune come Parmalat e i vari marchi della “moda” avevano delle intrinseche valenze e sono state fagocitate da competitors decisamente più importanti a livello internazionale. Altre sono state vendute perché l’imprenditoria ha perso fiducia nelle istituzioni del paese!!!!

Tutto questa premessa per dire che l’introduzione dell’euro è avvenuta quando l’industria italiana, nella sua accezione più generale, dava già i primi segnali di una crisi imminente, ma è doverosa una seconda premessa che riguarda lo stretto connubio che è sempre esistito in Italia fra imprenditoria e istituzioni statali a tutti i livelli, dal governo ai membri del parlamento con tutto lo stuolo di sottosegretari, dalle regioni fino alle provincie e ai comuni. “Mani pulite” ha avuto successo nel primo momento, poi , esaurendosi, ha lasciato una triste eredità: che le nuove generazioni hanno capito che entrare in politica significava avere la possibilità di fare una carriera molto redditizia (vedere anche quanti magistrati sono passati nelle file dei partiti). Si è assistito ad un paradossale incremento delle strutture, dove ogni partito spingeva per inserirvi i propri accoliti, creando anche enti e strutture ad hoc che non facevano che gravare sui costi dello Stato senza produrre alcun valor aggiunto o miglioramento dei servizi. Senza trascurare che spesso l’imprenditoria era legata alla malavita organizzata pur se provvista della necessaria targhetta “antimafia”.

Con l’avvento dell’euro, in brevissimo tempo, è esplosa una disponibilità di denaro a tassi bassi, credito delle banche a tutti, imprenditori e clienti, mutui facili, prezzi degli immobili che aumentavano ogni mese, investimenti in nuovi capannoni, nelle strutture turistiche e, naturalmente, senza alcuna difficoltà, anche alle aziende a sentore malavitoso protette dalla targhetta “antimafia”. Hanno staccato opere in ogni dove, ospedali, scuole, palestre, strade,carceri, case popolari, palazzi della regione, palazzi di giustizia, super strade che finiscono contro un monte , grandi parcheggi in zone disabitate, etc, tutte opere dove le mazzette hanno girato a pieno ritmo e che oggi, incompiute e spesso ridotte a ruderi o comunque inutilizzabili, completano il patrimonio architettonico del nostro paese. Beninteso che oggi il fenomeno legato a tali sprechi si è rallentato ma ancora esiste.

Per non parlare del “partito del no” che blocca o boicotta gli inceneritori di immondizia (e si spende € 30 Mld per spedire i rifiuti in Germania che li utilizza per riciclare i materiali utili e gli scarti per alimentare centrali termiche), o ritarda l’implementazione di rigassificatori, mentre nei porti del nord-europa stanno correndo per accaparrarsi il businnes di alimentare le condotte di gas metano verso le nazioni europee.
Nel frattempo l’Europa aveva imposto la cessazione di finanziamenti diretti alle aziende da parte dello Stato, ma l’euforia del momento ci passa sopra; non dimentichiamo che, dopo l’introduzione dell’euro, si verificarono incrementi superiori al 100% della borsa italiana. Il fiscal compact in tale periodo non faceva paura, abbiamo, credo unico paese dell’Eu, inserito nella nostra costituzione che non dobbiamo superare i limiti di bilancio imposti da Maastrich (la Germania e l’UK sono sicuro che non l’hanno fatto).

In questa confusa cronologia, un fattore determinante è stato l’esplodere della crisi della Grecia. Il duo Merkel/Sarkozy si autonominò gestore del problema al fine di evitare il fallimento della stato ellenico (che invece andava lasciato fallire) con lo scopo di recuperare in qualche modo la forte esposizione che le banche tedesche, francesi e inglesi avevano contratto negli anni con le banche e lo stato greco. Quello è stato un momento topico per l’unione europea, perché gli investitori istituzionali hanno avuto conferma che nella gestione della comunità prevalevano gli interessi nazionali a scapito di un disegno comune che avrebbe dovuto, in una pura ottica finanziaria, lasciare la Grecia al suo destino. La mancanza di una strategia unica ed uniforme causò una veloce fuga da tutto quel debito che non veniva in pratica più coperto dalla fantomatica “fortezza Europa” e i primi a risentirne furono quei paesi che presentavano situazioni debitorie elevate. L’Italia era uno di questi e, fra l’altro, uno dei più liquidi; lo spread che fino allora girava su 200 circa cominciò a salire velocemente con il risultato che di lì a poco siamo entrati sotto le grinfie delle commissioni europee e del FMI (senza sottovalutare l’indecente comportamento di Berlusconi che ha contribuito a peggiorare la situazione). Poi ci ha pensato un altro “professore” a mettere l’austerity in blocco, senza avere il buon senso di applicare una minima gradualità o di chiedere, come ha fatto ad esempio la Francia, dilazioni sui parametri del debito. Invece da buon teorico e scarso conoscitore della realtà economica del paese non ha fatto altro che dargli una mazzata che gli ha fatto piegare le gambe.

L’edilizia, già in crisi da diversi anni, si è bloccata del tutto con l’incremento delle tasse sulle abitazioni e sulle strutture aziendali. Anche il turismo continua a dare segni di sofferenza e le strutture balneari sono in continua agitazione per impedire l’applicazione della direttiva europea Bolkestein sulle concessioni demaniali. L’agroalimentare si difende a denti stretti mentre per l’industria manifatturiera continua l’esodo verso altri paesi dove è ancora possibile lavorare e non essere assalito dal fisco e dalla burocrazia fiscale.

Tutti ci siamo resi conto che l’incremento delle strutture pubbliche e l’intrecciarsi delle stesse su qualsiasi decisione ha praticamente ingessato il paese, la burocrazia regna sovrana e, spesso, perché dietro la burocrazia si nasconde l’ormai famoso gioco delle “stecche”. Ma non è solo questo che frena; occorre aggiungere che le assurde imposizioni fiscali, i balzelli regionali e comunali hanno tolto qualsiasi entusiasmo a quei pochi che ancora avrebbero la voglia di lavorare. Con la disoccupazione oltre il 12% (esclusa la CIG )e con i giovani che non hanno altra scelta se non quella di emigrare, i consumi ristagnano, le importazioni a basso valore aggiunto e senza barriere tecnologiche imperversano e comprimono il commercio locale senza che intervenga qualcuno a livello governativo e/o europeo. C’è tanta rabbia in giro, c’è tanta protesta, ma si esaurisce nei dibattiti TV e nella deprecabile violenza e vandalismo dei black bloc; per il resto il paese è passivo all’evolversi dei fatti, é senza dinamicità, è inerte e inerme.

Paolo41

Questo post non è da considerare come un’offerta o una sollecitazione all’acquisto.
Informati presso il tuo consulente di fiducia. Se non ce l’hai o se non ti fidi più di lui, contattami via email.
NB: Attenzione! Leggi il disclaimer (a scanso di equivoci!)

I need you! Sostienici!

Buttate un occhio al nuovo network di Meteo Economy: tutto quello che gli altri non dicono

§ Tutti i diritti riservati © | Grafici e dati elaborati da Intermarket&more su databases professionali e news dal web §

Tags:   |
4 commenti Commenta
dfumagalli
Scritto il 9 Novembre 2013 at 16:45

“per il resto il paese è passivo all’evolversi dei fatti, é senza dinamicità, è inerte e inerme.”

Ed è per questa frase che vi meritate tutto quello che vi mandano e tutto quello che vi rubano.

Non reagite, non fate NIENTE. Provassero a fare 1/10 di queste schifezze ai Francesi, il giorno dopo avrebbero la rivolta nelle strade.

Ma in Italia no. Due bischerate sul Berlusca, due tettine in TV e due calciatori famosi (magari evasori) e tutti tornano bravi a cuccia, sazi e consenzienti.

bancabassotti
Scritto il 10 Novembre 2013 at 20:16

dfumagalli@finanza,

bah, io vivo in Francia e vabbe’ qua manifestare é culturalmente lo sport nazionale;certamente certe cose la popolazione non le manda giu’, basti vedere il caso del ministro delle finanze che aveva mentito sul conto in svizzera, e sulle rivolte contro la eco tassa in Bretagna, ma da italiana che guarda al suo Paese con amore e amarezza non sono contenta quando vedo da dati e reportage che molta gente sta male. Siamo daccordo sul fatto che molti non hanno voluto vedere e sapere e cambiare, e che molti continuano a non volere sapere,vedere e cambiare, ma mi spiace il declino che c’e’ e che penso che portera’ ad una ristrutturazione parziale del debito entro cinque anni. Peccato che si continui a perdere tempo, fingendo che si intraveda la luce fuori dal tunnel e che non si dica la verità al Paese e che si agisca con riforme strutturali importnti e forse impopolari, ma purtroppo nessuno vuole pagare pegno politico.

idleproc
Scritto il 11 Novembre 2013 at 19:28

Stasera me lo rileggo.
Da una “lettura veloce”, concordo largamente.
La “soluzione”, ormai, non è è “tecnico economico finanziaria”, è politica e nei termini di rapporti di forza sociali.
Lì si vince o si perde ed è lì che si disegnerà il destino dell’Italia e degli italiani, per ora segnato con questa classe dirigente teleguidata.

gaolin
Scritto il 12 Novembre 2013 at 20:04

Solo oggi leggo questo lodevole, sintetico ma dettagliato post sulle vicende economiche italiche trascorse. Complimenti Paolo 41.

Tantissimi attori di questi disastri sono ancora lì e quelli che non ci sono più sono stati sostituiti da incompetenti ancora peggiori, con i risultati che abbiamo sotto gli occhi.

L’incompetenza arriva al punto da non riuscire nemmeno a capire cosa sta accadendo oggi alla nostra economia reale. Un vero e proprio disastro storico su cui si scriveranno libri in quantità nei prossimi 20 anni.

I sondaggi di I&M

Come vorresti I&M?

View Results

Loading ... Loading ...