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DEMOGRAFIA: il ruolo della crescita e dello sviluppo economico nell’era della robotica

Scritto il alle 11:16 da Danilo DT

Quella tra USA e Cina è molto più di una guerra commerciale. In palio la leadership economica mondiale dei prossimi anni. Ma la demografia e la robotica potranno influenzare non poco i connotati di questa sfida.

La componente demografica è da sempre uno dei miei pallini. La gente non considera quanto è importante valutare il tasso di natalità (ed il progressivo invecchiamento) della popolazione, soprattutto nei paesi che definiamo CORE, ovvero più sviluppati.

Ieri ho avuto il piacere di rileggere gli interessanti commenti dell’amico John Ludd che hanno ripreso la questione e mi hanno fatto pensare nuovamente alla questione. Nei commenti sopra citati, il buon John dice:

(…) Per esempio un cittadino del paese X che non si accontenta di vivere del sogno di qualcun altro ed è psicologicamente in grado di affrontare le cinque fasi dell’elaborazione del lutto potrebbe iniziare da queste:

A1) Dati i valori attuali del tasso di natalità e mortalità, quale sarà la popolazione autoctona (cioè quella depurata dall’effetto dei generalmente assi più prolifici emigrati) tra 25, 50, 75 anni?

A2) Poiché i modelli demografici sono estremamente solidi se i dati demografici storici sono affidabili (come nei paesi OCSE) e le dinamiche estremamente lente nel mutare, la risposta alla domanda precedente è compatibile con crescita economica, pensioni, servizi e quanto altro viene considerato come assodato o al più solo soggetto a decisioni politiche interne? (…)

Tralascio le altre parti del commento che sono altrettanto interessanti ed importanti (le potete leggere cliccando QUI)  e mi concentrerei un attimo proprio sulla componente demografica.

Quindi, la gente si rende conto di come sarà il futuro e quanto sarà determinante la componente demografica? Non ancora. Resta il fatto che paesi come la Cina, ad esempio, già adesso hanno tassi di crescita importanti ed in futuro saranno sempre più determinanti, visto che ci sono paesi e continenti con crescita demografica negativa. E allora il futuro sarà della Cina?
Per certi aspetti verrebbe da dire SI, ma non diamolo troppo per scontato, perché ci sono anche dei “rovesci della medaglia” che devono essere considerati.
Sempre dal commento di John:

(…) C1) Il paese X è autosufficiente da un punto di vista agricolo? L’autosufficienza piena pretende che anche le fonti energetiche per la produzione siano auto prodotte.

C2) Qual’è la superficie arabile pro/capite e la quantità di cereali per ettaro prodotti? E’ infatti intuitivo che per mantenere un certo numero di abitanti con cibo auto prodotto servono sia una quantità di terra adeguata che una eccellente efficienza.

C3) Da dove viene l’energia per il funzionamento del settore agro/alimentare, è sicura, è stabile?

C4) Il paese X è autosufficiente in modo sostenibile per ciò che riguarda le risorse idriche? Ovvero le risorse consumate ogni anno vengono ricostituite dalle precipitazioni oppure no? Ci sono differenze marcate tra le varie regioni del territorio del paese X?
Il concetto di capacità di carico di un territorio è fondamentale per comprendere dove siamo diretti con probabilità 100% (…)

Importante la crescita demografica ma anche la sostenibilità della stessa. In questo ragionamento di John trovate gli elementi che devono anche essere considerati, oltre al semplice tasso di natalità.
Ma non solo.

Quando pensiamo alla Cina, pensiamo all’1.5 miliardi di persone che la popolano. Quando pensiamo all’India ragioniamo sugli stessi numeri. Signori, si tratta di quasi la metà della popolazione mondiale! Manodopera sufficiente per conquistare il mondo!
Ma attenzione, ragioniamo un attimo. Proprio in questi ultimi anni si parla molto di robotica e del ruolo delle macchine che sostituiranno totalmente certe attività lavorative. E quindi, tutta questa manodopera che fine fa?
Molto interessante a questo proposito questo articolo apparso su Project Syndacate, scritto da Kenneth Rogoff, (autore tra l’altro con C. Reinhart del best seller “Questa volta è diverso” ), dove si parla proprio del ruolo della Cina in questo contesto. Potrà la Cina soppiantare la leadership degli USA?
Vi giro l’articolo in originale, credo la pena leggerlo tutto.

Mentre imperversa l’ultima baruffa commerciale tra Cina e Stati Uniti, gran parte degli economisti considera ormai certo che, nel lungo termine, la Cina conquisterà la supremazia economica a livello globale, a prescindere da ciò che succederà adesso. D’altra parte, con una popolazione che è quattro volte quella degli Usa e una forte determinazione a recuperare terreno dopo secoli di stagnazione tecnologica, non è forse inevitabile che la Cina assuma il ruolo di potenza egemone in ambito economico? Io non ne sarei tanto sicuro. Un certo numero di economisti, compresi molti degli stessi esperti che considerano l’immensa forza lavoro cinese come un vantaggio decisivo, si preoccupa anche del fatto che i robot e l’intelligenza artificiale finiranno per sottrarre parecchi posti di lavoro, costringendo molte persone ad ammazzare il tempo impegnandosi in attività ricreative. Quale delle due? Nei prossimi cento anni saranno i lavoratori cinesi a prendere il sopravvento, oppure i robot?

Quindi l’autore lancia un ragionamento forse controcorrente rispetto al pensiero comune ma estremamente interessante. Lo sviluppo demografico cinese potrebbe dominare il mondo come forza lavoro. Ma sarà ancora la forza lavoro a dominare il mondo?

Se i robot e l’intelligenza artificiale saranno i principali fattori della produzione nel secolo venturo, forse avere una popolazione troppo numerosa a cui badare – specialmente, una popolazione che deve essere controllata limitando l’accesso a Internet e alle informazioni – potrebbe rivelarsi più un ostacolo per la Cina. E ad aggravare la sfida c’è il rapido invecchiamento della popolazione cinese. Poiché la crescente importanza della robotica e dell’intelligenza artificiale indebolisce il vantaggio produttivo della Cina, la capacità di essere all’avanguardia nelle tecnologie diventerà ancora più rilevante.

E qui trovo molto interessante quanto scritto in un tweet proprio da Donald Trump nella giornata di ieri: “Ora abbiamo un deficit commerciale di 500 miliardi di USD all’anno con furti delle proprietà intellettuali per ulteriori 300 miliardi di USD all’anno. Non possiamo permettere che questo continui”. Tutto questo va a collimare con il ragionamento fatto da Rogoff. Occhio al deficit commerciale ma massima attenzione alle componenti intellettuali. Forse è propri in quell’ambito che gli USA si giocano il futuro a livello di leadership.

A tale proposito, l’attuale tendenza verso una maggiore concentrazione di potere e controllo nelle mani del governo centrale, rispetto al settore privato, rischia di costituire un ostacolo per il paese man mano che l’economia globale raggiungerà fasi di sviluppo più avanzate. La possibilità che la Cina non arrivi mai a strappare la supremazia economica agli Usa è l’altra faccia del problema della tecnologia e della disuguaglianza. In occidente c’è una diffusa preoccupazione per il futuro del lavoro, ma sotto molti aspetti questo problema riguarda più il modello di sviluppo cinese che quello americano. Gli Stati Uniti devono affrontare la questione di come ridistribuire il reddito internamente, soprattutto data l’elevata concentrazione di proprietà di nuove idee e tecnologie. Per la Cina, invece, c’è l’ulteriore problema di come mantenere la sua esclusiva di superpotenza esportatrice nell’era delle macchine.

Con i dazi di Trump ci sarà già un forte contraccolpo sull’export cinese. O per lo meno questo è l’obiettivo del governo USA.

Certo, è altamente improbabile che le intimidazioni e i bluff del presidente Donald Trump avranno per gli Stati Uniti un ritorno su vasta scala in termini di posti di lavoro nel settore manifatturiero. Ma gli Usa hanno comunque la possibilità di espandere le dimensioni del loro comparto manifatturiero sul piano della produzione, se non dei posti di lavoro. Dopotutto, oggi gli stabilimenti hightech producono molto di più con molti meno lavoratori. Inoltre, i robot e l’intelligenza artificiale stanno invadendo non solo il settore manifatturiero e delle automobili senza conducente. I robo-medici, i robo-consulenti finanziari e i robo-avvocati rappresentano solo la punta dell’iceberg in un processo che vede la sottrazione di posti di lavoro nel settore dei servizi da parte delle macchine. Certo, l’ascesa della Cina non è un miraggio e il suo esaltante successo non si basa solo sulle dimensioni della popolazione. L’India ha una popolazione simile (entrambi i paesi contano circa 1,3 miliardi di abitanti), ma, almeno per adesso, resta molto indietro. Alla leadership cinese va riconosciuto il miracolo dell’aver sollevato centinaia di milioni di persone da una condizione di povertà fino alla classe media. Ma la rapida crescita della Cina è dipesa soprattutto dallo sviluppo e dagli investimenti in ambito tecnologico. E mentre il paese, a differenza dell’Unione Sovietica, ha ampiamente dimostrato maggiori competenze sul piano dell’innovazione locale – le aziende cinesi stanno già aprendo la strada alla prossima generazione di reti mobili 5G – e la sua capacità sul fronte della ciberguerra è pari a quella statunitense, mantenersi all’avanguardia non è lo stesso che esserne l’artefice. I vantaggi della Cina, principalmente, derivano ancora dall’adozione di tecnologie occidentali e, in alcuni casi, dall’appropriazione di proprietà intellettuale. Trump non è certo il primo presidente americano a lamentarsi a questo proposito, e a ragione (anche se lanciare una guerra commerciale non può essere la soluzione).

La citazione al tweet da me menzionato è quindi evidente.

Nell’economia del ventunesimo secolo, altri fattori, tra cui lo stato di diritto e l’accesso a fonti di energia, terre coltivabili e acqua potabile, acquisteranno sempre più importanza.

Guarda caso, anche Rogoff riprende i ragionamenti di John Ludd.

La Cina sta seguendo la propria strada e potrebbe ancora provare che i sistemi centralizzati possono far avanzare lo sviluppo più velocemente di quanto si sia mai immaginato, ben oltre l’essere semplicemente un paese a medio reddito in crescita. Ma il predominio globale cinese non è quella certezza predeterminata che così tanti esperti sembrano dare per scontata. Sì, anche gli Stati Uniti affrontano sfide gigantesche, come, ad esempio, escogitare un modo per mantenere una crescita tecnologica dinamica evitando al contempo un’eccessiva concentrazione di ricchezza e potere. Essere una potenza egemone, tuttavia, non richiede di essere il paese più grande del globo – in tal caso, l’Inghilterra non avrebbe mai governato su gran parte del mondo come fece per più di un secolo. La Cina potrebbe orientare il futuro digitale se gli Usa rinunciassero a tale ruolo, ma non diventerà la potenza dominante a livello globale solo perché ha una popolazione più numerosa. Al contrario, l’avvento dell’era delle macchine potrebbe imprimere una svolta rivoluzionaria alla battaglia per l’egemonia.
[Source] 

Quindi la sfida non è solo commerciale. La sfida USA-Cina va molto oltre. Ed è appena iniziata.

STAY TUNED!

Danilo DT

(Clicca qui per ulteriori dettagli)

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5 commenti Commenta
john_ludd
Scritto il 5 Aprile 2018 at 12:26

Ciao Danilo, grazie per la citazione. Volevo fornire qualche spunto al di fuori dell’assordante rumore di fondo del flusso di informazioni inutili che vengono sparate ogni giorno. Il tema è sterminato, il mondo di una complessità inafferrabile, essere ben informati una meta irraggiungibile ma che si è obbligati a inseguire. Tuttavia seguendo un percorso adeguato è possibile se non altro evitare di farsi del tutto sorprendere dall’esito fallimentare di un investimento emotivo totalizzante in un futuro che si vorrebbe vedere realizzato sino al punto di non contemplare scenari diversi.

“It is better to be broadly correct than precisely wrong”
Alfred Marshall

john_ludd
Scritto il 5 Aprile 2018 at 12:56

Il think tank olandese GEFIRA ha maturato analisi originali proprie sul tema demografico realizzando un modello demografico e confrontandolo con quelli ufficiali. Il caso della Germania che ha caratteristiche demografiche simili (leggermente migliori in verità) dell’Italia è esaminato nel Gefira-Bulletin #22 (a pagamento) il cui riassunto è pubblicato qui:

https://gefira.org/en/2018/03/26/do-germans-still-belong-to-germany-in-the-near-future/

E’ interessante osservare l’approccio completamente diverso intrapreso dalle elite atlantiche e da quelle orientali (Cina, Giappone, Corea). Mentre le prime stanno attuando un esperimento su scala mai vista di rimpiazzo delle popolazioni autoctone con immigrati al fine di mantenere costante il numero degli abitanti (la popolazione italiana autoctona si ridurrà della metà tra oggi e il 2075) gli orientali mantengono rigorosamente chiuse le frontiere accettando che la loro popolazione si riduca seguendo dinamiche simili a quelle delle popolazioni autoctone europee. Da notare come il paese più avanti nel progetto di rimpiazzo della popolazione bianca sono gli USA dove i bianchi saranno minoranza già nel 2030 (non so tratta di popolazione autoctona ovviamente in quanto quella è stata sterminata dalla colonizzazione) seguita a breve distanza da UK dove a Londra la popolazione non autoctona eccede largamente quella autoctona. L’approccio EU si contraddistingue dalla velocità che si vorrebbe trasmettere a questo processo anti storico e fallimentare che porterà solo a violenza efferata come in passato. Paesi dove la popolazione è tuttora in forte avanzata come Egitto, Nigeria, Pakistan, Bangladesh e tanti altri paesi poveri sono con certezza assoluta condannati a un collasso ecologico che ne decimerà la popolazione portandola ben al di sotto della capacità di carico del territorio. Come sempre accade in un sistema ecologico a una fase di overshooting segue sempre una fase di undershooting in modo che l’integrale nel tempo sia simile al valore che avrebbe fornito l’integrale di una popolazione stabile nello stesso intervallo di tempo. Sono concetti direttamente collegati alla seconda legge della termodinamica, la legge delle leggi che tutto determina.

Per non volere rimanere troppo distante dai temi tradizionali del blog un’altra domanda sulla quale si preferisce sorvolare preferendo ancorarsi a certezze ereditate da un epoca che poco o nulla condivide con l’attuale: se il debito in TUTTE le sue forme sale esponenzialmente mentre la qualità prima e la quantità poi delle risorse naturali cala mentre la popolazione continua ad aumentare sebbene nelle modalità distorte di cui ho accennato, è sano ritenere che esistano ancora asset class risk free ?

Scritto il 5 Aprile 2018 at 13:13

john_­ludd@fi­nan­za:
(…)

Per non vo­le­re ri­ma­ne­re trop­po di­stan­te dai temi tra­di­zio­na­li del blog un’al­tra do­man­da sulla quale si pre­fe­ri­sce sor­vo­la­re pre­fe­ren­do an­co­rar­si a cer­tez­ze ere­di­ta­te da un epoca che poco o nulla con­di­vi­de con l’at­tua­le: se il de­bi­to in TUTTE le sue forme sale espo­nen­zial­men­te men­tre la qua­li­tà prima e la quan­ti­tà poi delle ri­sor­se na­tu­ra­li cala men­tre la po­po­la­zio­ne con­ti­nua ad au­men­ta­re seb­be­ne nelle mo­da­li­tà di­stor­te di cui ho ac­cen­na­to, è sano ri­te­ne­re che esi­sta­no an­co­ra asset class risk free ?

Risposta fin troppo semplice. Ovvio che NON esiste il risk free. In nessuna forma, quantomeno dal punto di vista tecnico. Poi per carità, la fiducia farà si che certi asset continueranno a godere di questo status ancora per molto tempo, anche per la mancanza di alternative

john_ludd
Scritto il 5 Aprile 2018 at 14:37

Da­ni­lo DT,

la fiducia funziona sino a un certo punto. Il fondamentale paper di Carmen Reinhard di cui ho pubblicato il link ieri dimostra che quando la situazione debitoria è di un certo tipo, il potere dello stato utilizza quella fiducia per annullare il potere di acquisto dei titoli di stato risk free. L’ultimo periodo dove il debito è stato così alto in USA è stato durante la seconda guerra mondiale. Il governo fissò il tasso del decennale al 2,5%, ma comprese le cedole l’inflazione si mangiò gran parte del potere di acquisto. In UK la repressione finanziaria fu ancora più violenta. D’altra parte è intuitivo, se un titolo è risk free non può fornire un tasso reale positivo, tanto varrebbe accreditare direttamente l’ammontare della cedola sul C/C senza dover passare attraverso il processo di emissione e rimborso. Questo accadeva quando la banca centrale era sotto il governo, quasi tutte le emissioni a M/L termine erano sistematicamente in perdita reale per il sottoscrittore. Per 30 anni l’economia post bellica crebbe costantemente e quanto si poteva ricavare dall’economia reale era di gran lunga superiore a quello che si poteva ottenere dall’economia finanziaria quindi non c’erano problemi, solo opportunità. Ma tutto terminò nel 1973 e da allora siamo nella parte terminale del macro ciclo di lunghissimo termine. L’economia finanziaria ha sostituito quella reale nella produzione dei sogni, ma sono solo valori contabili non realizzabili che devono tassativamente restare nei database dei computer. Se tentassero di uscire, iperinflazionati come sono, non troverebbero liquidità neppure lontanamente corrispondente (quella che usi per comprare le cose vere) e se lo stato decidesse di convertire quei valori non fungibili in denaro fungibile avremmo iperinflazione. Quello che non avremo è la crescita per le ragioni demografiche espresse in precedenza, restano solo default o iperinflazione oppure prima una e poi l’altra. La tecnologia, moderna versione del credo popolare che una volta si rivolgeva alle reliquie dei santi, è condizionata dal ben notto effetto dei ritorni diminuiti e per ciò che riguarda l’energia da qualcosa di ben più sinistro: alimentata da credito gratis e a perdere per l’implicita opzione put delle banche centrali, l’unico risultato è l’estrazione delle residue risorse alla massima velocità possibile per mantenere viva la finzione di una crescita economica che è essenzialmente un costo non un ricavo.

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