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WALL STREET: no fear, perchè l’inflazione non è un problema
Le mani forti non sono fatto preoccupate dall’inflazione, e difatti non mollano la presa. (Guest post)
Cari amici, nella settimana appena trascorsa, i mercati finanziari internazionali hanno un po’ attenuato le preoccupazioni, e forse addirittura le paure, maturate in quest’inizio d’anno. Appare infatti sempre più chiaro ed evidente che non siamo affatto alla vigilia di un periodo iper-inflattivo. Allo stato sembra più saggio ipotizzare, ed a mio avviso, sperare, di trovarci in un peculiare periodo di transizione. Transizione, da una lunga e brutta epoca deflattiva, durata ben 15 anni, ad un periodo affatto diverso, caratterizzato magari da un livello d’inflazione moderato ed accettabile. E’questo il mio augurio, e la mia speranza. Parlo di augurio e di speranza perché non né sono affatto certo. Nonostante le grida e gli allarmi lanciati in queste ultime settimane, io non vedo infatti in inesorabile ritirata i fattori e le forze della deflazione. Abbiamo unicamente assistito ad un grosso rimbalzo delle quotazioni delle commodities, ed ad una conseguente rapida ripresa dei rendimenti obbligazionari. Ma trattasi, a ben vedere, soltanto di un recupero delle quotazioni ai loro livelli pre-covid. Le commodities, dopo il recupero di questi ultimi mesi, sono oggi sugli stessi livelli di 2, 3, e 5 anni fà. Ed anche per i rendimenti dei bond, vale lo stesso discorso, rammento che all’inizio del 2020 il rendimento del decennale Usa era pari all’1,80 %. Oggi il rendimento è pari all’1,62 %, e ciononostante si parla non d’inflazione, ma addirittura d’iper-inflazione in arrivo. Insomma è evidente che trattasi di allarmi ingiustificati ed infondati. Magari questi allarmi avessero un qualche fondo di verità. Vorrebbe dire che siamo davvero alle soglie di una nuova epoca economica, certamente più equilibrata e più giusta di quella che abbiamo vissuto negli ultimi 15 anni. Gli ultimi dati in tema d’inflazione parlano, però, di un CPI Usa all’1,7 %. Un livello ancora largamente inferiore a quello che sarebbe necessario per alimentare una crescita economica più sostenuta dell’attuale. Nel contempo il livello del PPI Usa è pari al + 2,8 %. Insomma in questo momento le aziende Usa vedono crescere i loro costi di produzione ad un ritmo maggiore dei loro ricavi. Ciò non è certamente un buon viatico per i loro utili futuri. E ciò è già espresso nelle incertezze delle quotazioni di borsa delle ultime settimane. C’è pertanto da sperare che le politiche fiscali e monetarie iper-espansive proseguano, e che inducano presto una nuova stagione d’investimenti, e soprattutto un accresciuto livello di consumo da parte di famiglie ed imprese.
Dopo queste mie del tutto personali considerazioni, andiamo ad esaminare, cosa ci indica, in questo momento, lo scenario intermarket. Il dollar index, nell’ultima ottava cede lo 0,32 %, e retrocede a quota 91,67. Sembra comunque arrestata la fase di debolezza precedente. Le commodities, dopo una forsennata corsa al rialzo, si prendono anch’esse una lieve pausa, stornano infatti dello 0,2 % in termini reali. Negli ultimi 9 mesi, invece, la risalità è stata davvero forte, pari al + 30 %. Ma come già accennato gli allarmi su di esse appaiono davvero eccessivi, poiché il corposo recupero ha solo riportato le loro quotazioni ai livelli di 2 anni fà. Preoccupazioni esagerate giungono anche dal mercato obbligazionario. Il rendimento del bond decennale, come detto, lievita di altri 4 bps e raggiunge quota 1,58 %. Il rendimento dei bond a 2 anni, invece cresce di un solo bp e raggiunge quota 0,15 %. L’inclinazione della yield curve Usa, pertanto raggiunge il suo recente massimo, e si amplia sino a 147 punti base. indicandoci un’imminente e forte ripresa dell’economia Usa. Il mercato azionario, nonostante le tante incertezze del momento, regge comunque alla grande. In particolare, l’S&P 500 rimbalza del 2,64 % e si riporta nuovamente sui propri massimi storici.
Tanto premesso, passo ad esaminare gli ultimi dati del COT REPORT settimanale, pubblicati solo ieri sera dalla CFTC (Commodity Futures Trading Commission), concernenti i valori aggregati dei Futures e delle Options su tutti gli indici azionari USA, che risultano essere i seguenti:
Commercial Traders : – 1.232
Large Traders : – 5.236
Small Traders : + 6.468
Anche in quest’ultima ottava, si riconferma, quindi, l’incerta e non proprio idilliaca configurazione del mercato dei derivati azionari Usa. Rispetto alla scorsa settimana, le variazioni, nelle posizioni dei vari operatori, sono state pari a soli 4.757 contratti. In particolare, le MANI FORTI, ossia i Commercial traders, continuano a non vedere particolari pericoli all’orizzonte, acquistano infatti l’intero lotto dei 4.757 contratti long, e riducono al minimo l’entità della loro abituale posizione di copertura, Net Short. I Large traders, invece cedono 696 contratti long, ed accentuano la loro attuale posizione Net Short. Gli Small traders, infine, vendono i restanti 4.061 contratti long, e riducono la loro, ancora solitaria, posizione Net Long. Le movimentazioni di quest’ultima ottava, sempre molto esigue e limitate, non apportano sostanziali cambiamenti al quadro di questi ultimi mesi. Appare comunque evidente che le Mani Forti non danno molto credito alle voci circa un’imminente e pericolosa spirale inflazionistica. Altrimenti il loro livello di copertura sarebbe ben maggiore di quello attuale. Al limite esprimono qualche incertezza circa la natura e la forza che assumerà la prossima ripresa dell’economia. Forse anch’io mi sono un po’ lasciato troppo influenzare dalle voci sul ritorno dell’inflazione, ed a torto ho assunto nelle ultime settimane un atteggiamento operativo più prudente del dovuto. D’altra parte un livello d’inflazione, ben maggiore dell’attuale, sarebbe un toccasana, soprattutto per l’Europa, ed in Italia in particolare. Segnalerebbe infatti una crescita dell’attuale livello dei consumi, di cui c’è un assoluto bisogno. Insomma come ho già accennato, il ritorno dell’inflazione non dovremmo temerla, bensì auspicarla. Sulla base di tali considerazioni, riconfermo, pertanto, la mia view di fondo rialzista sui mercati azionari, e riducò un po’ la mia prudenza ed il mio attuale livello di copertura sugli investimenti in azioni..
Mercato dunque in fase d’assestamento e di nuove certezze, che cercherò di tradare con il mio originale trading system, fondato sull’analisi del Cot Report, nonchè sulla valorizzazione dell’effetto “LONG TERM MOMENTUM“, descritto negli studi dei due professori Usa, Jegadeesh e Titman, ed illustrato nel mio sito https://longtermmomentum.wordpress.com/. Nel corso di quest’inizio del 2021, il mio portafoglio, denominato “ AZIONI ITALIA – LTM “, ha conseguito un guadagno dello 0,54 %. Nel contempo, il nostro benchmark di riferimento, il Ftse All Share, ha registrato un guadagno ben maggiore, pari all’ 8,44 %. Conseguita pertanto, sinora, una sotto-performance del 7,90 %. Pagata in pratica la nostra eccesiva prudenza. Negli ultimi 8 anni, invece, il mio trading system ha conseguito una sovra-performance media annua del 9,9 %, e presenta un’equity line in progresso del 165 %. Come accennato, questa settimana muto leggermente l’assetto del mio portafoglio, innalzo cioè dal 60 al 65 % le mie posizioni long, e riduco nel contempo dal 40 al 35 % le mie posizioni short, assumo cioè una posizione Net Long pari al 30 % del mio portafoglio. Chi desiderasse approfondire e ricevere maggiori informazioni sul mio trading system e sulla composizione del portafoglio “ AZIONI ITALIA – LTM “ può, se vuole, consultare direttamente il mio sito.
Vi ringrazio per la vostra stima e fiducia, ed auguro a TUTTI gli amici di intermarketandmore buon trading.
LUKAS