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INVESTIMENTI e RISPARMIO: italiani, popolo di formiche ignoranti
In questi giorni post elezioni francesi, ho letto questa interessante analisi di Ferruccio De Bortoli, due volte direttore del Corriere della Sera, dal 1997 al 2003 e dal 2009 al 2015, nonché direttore del Sole 24 Ore dal 2005 al 2009.
Si tratta di un articolo che suona molto come una provocazione soprattutto per i tanti lettori che sono promotori finanziari, e da tutto il mondo del risparmio gestito. Ve lo propongo, chiedendo ovviamente, a chi lo vorrà fare, un commento per sentire anche il parere dei letori su questo spinoso argomento.
Risparmio gestito, attenti ai prezzi (sono troppo alti)
Il risparmio degli italiani è un patrimonio tanto rilevante quanto trascurato nel dibattito economico. Siamo un popolo di formiche virtuose (la ricchezza finanziaria delle famiglie era a fine 2015 di poco meno di 4.200 miliardi) ma ancora largamente sprovvedute nella gestione dei propri risparmi. Ci pensiamo poco, ci fidiamo troppo del sentito dire. Secondo il rapporto 2016 della Consob, soltanto il 40% degli investitori sa spiegare la relazione tra rischio e rendimento. La modesta alfabetizzazione finanziaria influisce sulle scelte di portafoglio. Circa il 30% di ciò che non consumiamo è tenuto in forma liquida o in depositi bancari con rendimenti pressoché nulli. Si è registrato, negli ultimi anni, un calo negli investimenti in titoli di Stato e obbligazioni bancarie. Compensato però dalla crescita delle polizze assicurative, in gran parte basate su Bot e Btp e obbligazioni emesse dagli istituti di credito. Solo un terzo affluisce al risparmio gestito contro una media dell’area euro del 41%. Il Regno Unito è a quota 60. Il divario con la media europea, nell’assistenza professionale a famiglie e imprese, si sta comunque riducendo. Ed è questo un bene. Lo sviluppo di un’industria del risparmio gestito aperta e soprattutto trasparente, dovrebbe mettere il risparmiatore al riparo delle infinite trappole del fai-da-te e dai troppi avventurieri in circolazione.
Lo sguardo degli altri
Si discute poco poi di quanto il risparmio italiano possa aiutare, con strumenti adeguati, la crescita dell’occupazione e del reddito. I Pir (Piani individuali di risparmio) sono indirizzati al sostegno della piccola e media industria e, grazie a un vantaggio fiscale, si stanno diffondendo rapidamente. Ma è un dato di fondo che ancora una minima parte del nostro risparmio sia destinata al finanziamento di società italiane, quotate e non. La relativa diffusione dei fondi pensione toglie al Paese una fondamentale leva di sviluppo. In Italia questi operatori istituzionali non raccolgono più del 5% del prodotto interno lordo. Nei Paesi più evoluti si arriva al 100%. E da noi quel poco che c’è è gestito dai sindacati, non sempre con adeguati livelli di professionalità. Al risparmio italiano guardano con interesse crescente gli operatori esteri (un esempio è la cessione di Pioneer, passata da Unicredit alla francese Amundi). In base alle stime di Bankitalia, la presenza straniera nell’industria del risparmio gestito è ormai intorno al 23-24%. Una maggiore concorrenza è garanzia di tutela dei diritti dei risparmiatori. Sempre che le regole siano chiare e la vigilanza attenta. Un mercato appetibile e in costante evoluzione premia bankers, consulenti e promotori migliori. Bene, chi vale è giusto che sia remunerato al meglio. Negli ultimi mesi è accaduto però che società di gestione e reti distributive si siano contese i promotori più bravi promettendo anche bonus pari al 3% delle masse gestite, cui si aggiungono poi le normali commissioni. E’ il mercato, bellezza! Emerge qui un dubbio del tutto legittimo in tempi di interessi tendenti allo zero. Come verranno recuperati questi extra costi? Con una maggiore aggressività negli investimenti forzando i profili di rischio della clientela? E perché, allora, non condizionare questi ingaggi alle performance future ottenute dai clienti che, grazie al patrimonio apportato, rendono così indispensabile e corteggiato il gestore?
Il punto dolente
I promotori, che oggi si chiamano «consulenti finanziari abilitati alle offerte fuori sede», sono, insieme alle persone fisiche che operano senza mandato e a quelle giuridiche, interessati a un cambiamento della vigilanza. Nelle prossime settimane andrà al consiglio dei ministri un disegno di legge che — accogliendo le novità della Mifid 2 — innoverà, entro fine giugno, il Testo unico della finanza (Tuf). In pratica, i promotori e i consulenti saranno vigilati da un organismo costituito dal loro stesso Albo. La Consob dovrebbe garantire una sorta di supervisione. Sarà in grado questa nuova struttura di vigilanza di individuare pratiche potenzialmente lesive dei diritti dei risparmiatori? Lo sviluppo del mercato del risparmio gestito necessita di professionalità e trasparenza. Ce n’è già tanta e di ottimo livello professionale. Manca però un dibattito più sincero sul peso, a volte eccessivo, dei costi. Secondo uno studio di Morningstar, commentato su La Voce.info da Angelo Baglioni e Roni Hamaui, i nostri fondi di investimento sono mediamente più cari, fino al 40%, soprattutto per i canali distributivi, di quelli degli altri Paesi. Baglioni e Hamaui criticano le commissioni d’incentivo (performance fee): « Se in un periodo il fondo fa meglio del benchmark, la società di gestione riceve un premio, mentre se in un altro periodo fa peggio non subisce alcuna penalizzazione. Il problema è ulteriormente acuito per i fondi di diritto lussemburghese, venduti in Italia, per i quali il periodo di confronto con i benchmark è molto breve». Le commissioni di ingresso e di uscita sono largamente abusate in Italia. Quelle di uscita sono assai poco giustificabili quando si tratta di vendere prodotti assolutamente liquidi. Alcuni grandi player si fanno pagare gestioni attive, ovviamente più costose, che poi diventano passive e su piattaforme digitali. Le commissioni per le gestioni attive variano dallo 0,25% all’1% sull’obbligazionario, dall’1,5% al 2,20% sull’azionario e dall’1,20% all’1,75% sul bilanciato. I promotori, sull’azionario, arrivano fino al 3%. Le reti bancarie, non raramente, incassano subito le commissioni per più annualità, salvo poi proporre al cliente, dopo poco tempo, di cambiare prodotto, riaccendendo altre commissioni di distribuzione. Nel mondo bancario assicurativo non sarebbe male discutere sul livello di trasparenza delle polizze, per esempio unit linked, del ramo terzo, per le quali si è esaurito il vantaggio fiscale. Non raramente è difficile per il risparmiatore sapere esattamente quanto sta guadagnando o perdendo. Sono solo alcuni esempi. Se ne potrebbero fare altri. L’industria del risparmio gestito è fondamentale. Con più concorrenza e una maggiore trasparenza sui costi e senza un mercato dei promotori simile a quello dei calciatori, lo sarebbe ancora di più. (Source)
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se è per questo siamo pure il paese delle scie chimiche e delle campagne contro i vaccini, capisco e approvo non fare l’anti influenzale ma gli altri ? leggevo di un genio che afferma che siccome la polio in Italia non c’è più, non bisogna vaccinarsi. Al genio non viene in mente che la malattia non c’è più perché il vaccino Salk si è rivelato eccezionalmente efficace e suo figlio vive circondato da bambini che non sono portatori. Si faccia un giro in uno dei tanti paesi poveri dove la polio ancora c’è, e da lì può tornare anche domani. Ma conoscendo bene USA e UK posso dirti con certezza che la coglioneria non ha confini.
il problema non è ovviamente il risparmio gestito in se, come suggerisce il titolo ma non l’articolo, ma alcune tipologie di prodotti.
L’ultimo della lista sono i fondi a tunnel (o come li si vuol chiamare) dove si nasconde in modo truffaldino la commissione d’ingresso inducendo il sottoscrittore a ritenerla una commissione di uscita.
Un’altra cosa improponibile sono i fondi di fondi….
Viceversa il fondo semplice ha secondo me un costo sostenibile e giustificato, soprattutto se si sceglie quelli meglio