EUROZONA: alla ricerca dell’equilibrio perduto

Scritto il alle 14:40 da Danilo DT

TARGET 2 e non solo. Come cercare di evitare la stagnazione e conservare l’Euro

Il progetto Euro è considerato da Mario Draghi come assolutamente irreversibile. In realtà per una serie di motivi, diventa veramente difficile poter pensare alla fine dell’Euro e ad un ritorno alle vecchie valute nazionali. Però non possiamo anche negare che i problemi non sono stati certo risolti.

La BCE ha messo delle toppe, il sistema politico dell’Eurozona sta timidamente spostandosi verso una maggiore coesione, ma la strada da percorrere è ancora lunghissima. Abbiamo trovato degli accordi in merito alla difesa dello spread (scudo anti spread composto da OMT e ESM), abbiamo fatto partire il progetto di Unione Bancaria, stiamo cercando di fare tornare la fiducia sulla Moneta Unica, però è prestittimo per cantare vittoria. Anche perché, come già ricordato più volte, i disequilibri nella stessa Unione Euroeepa sono numerosissimi.

In questa fase di mercato, con assenza di crescita e necessità di austerity e deleveraging (austerity fiscale e bisogno di diminuire il debito sotto tutti i punti di vista, in primis quello pubblico), le differenza tra Nord (Germania e co., ovvero gli Stati virtuosi) e Sud (Italia e co, ovvero i PIIGS) aggiungendo poi qualche storia che oggi si trova nel mezzo ma che si sta spostando verso di noi (mi riferisco alla Francia), sono sempre più accentuate.

Disequilibri, sotto tutti i punti di vista.
Quante volte abbiamo già parlato del cosiddetto TARGET 2? Il TARGET 2 è la seconda generazione del sistema di pagamento espresso trans-europeo automatizzato di regolamento lordo in tempo reale ed è il sistema di pagamento gestito dall’Eurosistema, ovvero dalla BCE e dalle banche centrali nazionali dell’Area Euro. Ogni trasferimento monetario tra i paesi membri di Eurolandia viene incanalato attraverso il sistema TARGET.

Per spiegare meglio il funzionamento del sistema facciamo un esempio. Un’impresa greca importa merci da un esportatore tedesco. I fondi vengono trasferiti dalla banca della società greca tramite la Banca della Grecia attraverso la BCE sul conto bancario dell’esportatore tedesco presso la Deutsche Bundesbank. Al termine di questo processo, la banca tedesca vanta un credito presso la Bundesbank che a sua volta vanta un credito con la BCE, mentre la banca dell’importatore greco ha un debito con la Banca della Grecia e la banca centrale greca ha un debito con la BCE. Se la banca tedesca decide di concedere un prestito alla banca greca sul mercato interbancario, i flussi di denaro invertono la rotta e la Bundesbank e i conti della Banca della Grecia con la BCE sono nuovamente in pareggio. (Source)

Questo grafico lo conoscete bene. E’ il bilancio della Bundesbank in ambito TARGET 2.

Vi sembra un grafico normale ed equilibrato? Direi proprio di no…Quindi, se veramente vogliamo una Unione Europea VERA, occorre guardare alla crescita, alla coesione e ricercare un maggiore equilibrio tra i vari paesi. Ma ce la faremo mai? Difficilissimo. Intanto compriamo tempo e…leggiamo questo interessante articolo scritto da J. Bradford DeLong, Professore di Berkeley e editorialista di grido.

BERKELEY – Le prime due componenti della crisi dell’euro – una crisi bancaria causata dall’eccessivo indebitamento sia a livello pubblico che privato e seguita da una profonda perdita di fiducia nei governi dell’Eurozona – sono state affrontate con successo, o per lo meno lo sono state in parte. Resta però il terzo fattore alla base della crisi, il più pericoloso e prolungato nel tempo: lo squilibrio strutturale tra il nord e il sud dell’Eurozona.
Innanzitutto, la buona notizia: il timore che le banche europee potessero collassare, con la fuga degli investitori in panico verso la sicurezza, producendo una Grande Depressione Europea, ora sembra essere superato. Allo stesso modo, il timore, interamente alimentato dalla politica disfunzionale dell’Unione europea, che i governi dell’Eurozona potessero andare in default, causando le stesse terribili conseguenze, ha iniziato a dissiparsi.
Che l’Europa evitasse una profonda depressione dipendeva da come sarebbe riuscita a trattare adeguatamente questi due aspetti della crisi. Ma che l’Europa nella sua interezza riesca ad evitare decenni perduti di crescita economica dipende ancora dai bilanci, e dipende dalla possibilità o meno che i governi del Sud Europa riescano a rilanciare rapidamente la competitività.
Il processo con il quale il Sud Europa ha perso competitività è stato guidato dai segnali sui prezzi di mercato – dagli incentivi che quei segnali hanno creato per gli imprenditori e da come le singole risposte razionali degli imprenditori hanno agito in termini macroeconomici. I cittadini del Nord Europa con il denaro da investire erano disposti a concedere prestiti con condizioni straordinariamente facili a coloro nel Sud che intendevano spendere, e l’ampia spesa pre-2007 ha fatto sì che i datori di lavoro in quelle zone fossero disposti ad aumentare rapidamente i salari.
Di conseguenza, il Sud Europa ha adottato una configurazione in cui i livelli di salari, prezzi e produttività avevano senso solo nella misura in cui spendeva €13 per ogni €12 guadagnati, con il Nord Europa a finanziare l’euro mancante. Il Nord Europa, nel frattempo, ha adottato livelli di salari e produttività che avevano senso solo nella misura in cui spendeva meno di un euro per ogni euro guadagnato.
Ora se, come sembra verificarsi nella fattispecie, l’Europa non vuole che il sud spenda più di quello che guadagna e che il nord spenda meno, i salari, i prezzi e la produttività devono cambiare. Se non vogliamo guardarci indietro tra una generazione e lamentarci dei decenni “perduti”, i livelli di produttività del Sud Europa devono aumentare rispetto al nord, e i livelli di prezzi e salari devono scendere all’incirca del 30%, così che il sud possa pagare la propria quota con le esportazioni e il Nord Europa possa spendere i propri guadagni su quei prodotti.
Per preservare l’euro ed evitare la stagnazione si potrebbero prendere in considerazione cinque misure:

 

• Il Nord Europa potrebbe tollerare un’inflazione più elevata – due punti percentuali extra per cinque anni basterebbero a coprire un terzo dell’aggiustamento totale nord-sud;
• Il Nord Europa potrebbe espandere la democrazia sociale rendendo la previdenza sociale più generosa;
• Il Nord Europa potrebbe ridurre in modo sostanziale tasse e servizi sociali;
• Il Sud Europa potrebbe riconfigurare le imprese affinché diventino motori di produttività;
• Il Sud Europa potrebbe applicare la deflazione.


La quinta opzione è forse la meno saggia, perché implica quei decenni perduti e il collasso dell’Ue che l’Europa sta cercando di evitare. La quarta opzione sarebbe splendida; ma se qualcuno sapesse come portare le imprese del Sud Europa ai livelli di produttività del nord, l’avrebbe già fatto.
Quindi non ci resta che una combinazione delle prime tre opzioni, altrimenti note come “politiche per rilanciare la crescita europea” – una frase che appare in ogni comunicato internazionale. Ma i comunicati non entrano mai nello specifico. I tecnocrati europei sanno cosa significa adozione delle “politiche per rilanciare la crescita europea”. E così anche alcuni politici europei. Ma gli elettori europei no, perché i politici temono che parlarne sarebbe una mossa politica sbagliata.
Ma se l’Europa non si pone come obiettivo politico la combinazione delle prime tre opzioni nei prossimi cinque anni, si troverà di fronte a una dura scelta: o i decenni perduti per il Sud Europa (e forse anche per il Nord Europa) oppure continui squilibri nord-sud che dovranno essere finanziati mediante trasferimenti fiscali, ovvero tassando il nord.
I politici del Nord Europa dovrebbero essere più espliciti su cosa si intende realmente con “politiche per rilanciare la crescita europea”. Altrimenti tra dieci anni a partire da questo momento saranno costretti a confessare che le esitazioni odierne hanno imposto enormi debiti fiscali aggiuntivi sul Nord Europa. E ciò potrebbe rivelarsi una vera seccatura a livello politico. (Source)

STAY TUNED!

DT

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3 commenti Commenta
calciatore
Scritto il 28 Settembre 2012 at 20:17

Il semplice fatto che Draghi, in modo ripetuto ed ansioso, dica che l’euro e’ irreversibile significa che e’ sul tavolo l’opzione opposta, cioe’ il disgregamento della zona euro, senno non vi sarebbe il motivo di negare un evento che non si e’ ancora manifestato. La fine dell’euro sara’ una sola: la differenza e gli squilibri tra le nazioni PIIGS ed altre che tempo fa si aggiustavano con il mercato dei cambi. C’e’ poco da fare o negare. La moneta euro ha condotto alla reale e dimostrata rovina delle middle-class dei paesi piu’ “deboli” , facendo perdere competitivita’ alle aziende , vincolando la politica fiscale ai diktat di Bruxelles, imponendo cure da cavallo con aumento della pressione fiscale aggravando in una spirale senza fine le gia’ deboli economie provate dalla crisi internazionale. Lor signori vorrebbero un euro duraturo? Non sanno neanche da che parte sono girati, saranno spazzati via dagli eventi e verranno ricordati nei libri di storia come gli autori del fallimento della moneta chiamata euro.

idleproc
Scritto il 29 Settembre 2012 at 11:33

Disponibile a mettermi sotto e a prenderla in braccio se dovesse cadere…

paolo41
Scritto il 30 Settembre 2012 at 11:43

DeLong fa giustissime considerazioni ma le sue ipotesi rasentano l’utopia, perchè sorpassano i nazionalismi e gli egoismi dei vari Stati dell’Unione Europea, che, invece, continuano ad essere dominanti.
E’ di questi giorni l’opposizione di Germania, Olanda e Finlandia alla possibilità che l’ESM sia utilizzato per ricapitalizzare le banche spagnole, che mi sembra fosse stato approvato non più tardi di due mesi fa. In altre parole siamo tornati alla ormai collaudata prassi oggi dico e domani non dico, tanto per guadagnare tempo e lasciare ampliare il divario fra paesi “virtuosi” e “non virtuosi”.
Nel frattempo si inseriscono le battute ormai “senili” di Berlusconi che ipotizza un’uscita della Germania dall’Euro; non ha ancora capito che i teutonici non usciranno dall’euro nemmeno se ce li spingono.
Purtroppo, invece, il quadro politico italiano, come avevamo previsto, con l’avvicinarsi delle elezioni, si fa sempre più caotico e l’unica nota positiva è l’apertura di Monti a continuare una seconda fase governativa, naturalmente a certe condizioni.
Sotto certi versi non è un’ipotesi entusiasmante, perchè Monti e i suoi ministri devono ancora dimostrare di essere capaci a favorire lo sviluppo e non solo a emettere tasse, ma è ancora il minor male rispetto alla sciagurata ipotesi di avere al governo partiti che sono capaci solo a litigare.

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