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High Frequency Trading: evoluzione o tomba del mercato reale?
Già in passato abbiamo parlato, con l’assistenza dell’amico Mattacchiuz, degli ordini ad “alta frequenza” o se preferite degli High Frequency Trading.
Quindi la maggior parte dei lettori, per lo meno i più “fedeli” ed i più “storici” già sapranno molto su questa vicende e del peso che hanno sui mercati finanziari.
E’ successo in questi giorni di ricevere una segnalazione dall’amico Mauro il quale mi ha invitato a leggere un articolo apparso sul quotidiano IlSole24Ore, noto giornale di Confindustria, dove è stato tradotto un articolo scritto sul Financial Times di qualche giorno fa.
Vista la bontà e la chiarezza con cui viene esposto l’argomento, ho deciso di fare un bel copia/incolla dell’articolo mettendo in evidenza i punti nevralgici del discorso.
Proprio perché la gente deve sapere con che tipo di mercato abbiamo a che fare e che l’evoluzione tecnologica ha letteralmente rivoluzionato il mondo finanziario, addirittura arrivando al punto di snaturarlo.
La domanda che vi farete, dopo aver letto l’articolo, sarà la seguante: ma ha ancora senso investire in borsa?
Ne parleremo nei commenti, intanto vi lascio alla lettura dell’articolo, tratto appunto da IlSole24Ore e tradotto da F. Galimberti. Come dicevo prima l’articolo originale è stato scritto da Jeremy Grant e Michael Mackenzie sulle pagine del Financial Times.
Buona lettura!
Il trader? È una vera macchina da ordini (High Frequency Trading)
Un giorno di tre anni fa alla Borsa di New York, poco dopo l’ora di pranzo, cominciarono a succedere cose strane. Arrivò un’inondazione di messaggi di compravendita, con una serie di ordini emessi e simultaneamente cancellati.
Il volume dei messaggi inviati era talmente consistente che il traffico in ingresso da parte di migliaia di altre società di trading subì un rallentamento, penalizzando gli scambi dei 975 titoli in listino.
Il caso è stato reso pubblico solo il mese scorso, quando il comitato disciplinare della Borsa di New York ha multato il Crédit Suisse per non aver supervisionato in modo adeguato un algoritmo sviluppato e gestito dal suo reparto di proprietary trading, l’ufficio che ha il compito di comprare e vendere titoli usando il denaro della banca invece che i fondi dei clienti.
Gli algoritmi sono diventati diffusissimi non solo nella compravendita di azioni, ma anche nella compravendita di derivati come le opzioni e i futures. Si tratta essenzialmente di programmi software che decidono quando, come e dove scambiare certi strumenti finanziari senza la necessità d’interventi umani. Ma nel caso del Crédit Suisse la Borsa di New York ha scoperto che i messaggi in entrata si riferivano a ordini che, sebbene generati precedentemente dall’algoritmo, non erano mai stati inviati «a causa di un problema di programmazione imprevisto».
È stato un campanello d’allarme per la Borsa di New York. Alla domanda se la Borsa avrebbe potuto essere chiusa in caso di un bombardamento di falsi ordini di compravendita, un funzionario del New York Stock Exchange ha risposto: «Se questa cosa si fosse moltiplicata sarebbe stato un problema».
(…)
I progressi tecnologici negli ultimi cinque anni sono stati talmente grandi che i mercati sono trainati in larghissima misura da macchine, più che da umani che battono gli ordini su una tastiera. Lo scenario da incubo di una Borsa valori messa al tappeto da algoritmi fuori controllo, e che di conseguenza crea gravi sconvolgimenti nel sistema finanziario in generale, è vista da molti nel settore come un rischio reale.
La decisione di comprare o vendere può essere innescata da una notizia. Ci sono addirittura tecnologie a parte che “sgrossano” gli articoli dei servizi d’informazione per offrire agli algoritmi un indizio su dove potrebbe essere vantaggioso cominciare a trattare le azioni di una società. Altre categorie di algoritmi vanno a cercare, fra una serie di Borse e piattaforme di scambio, il posto dove si può trovare il prezzo migliore.
La velocità a cui avvengono tutti questi scambi sta suscitando allarme. La tecnologia è talmente sofisticata che è possibile inviare migliaia di ordini al “motore di confronto” di una Borsa, che mette insieme gli ordini di acquisto e vendita e trova l’incastro in meno di 300 microsecondi (1.000 volte meno del tempo di un battito di ciglia).
Joe Ratterman, presidente della Bats Global Markets, una società che gestisce piattaforme di trading negli Stati Uniti, dice: «La natura stessa della velocità implica nuovi rischi, questo non c’è modo di evitarlo; è così e basta».
Nel frattempo si è affermata sui mercati la figura del “trader ad alta frequenza“, che fa affidamento sul connubio perfetto di tecnologia e velocità. Questi trader usano gli algoritmi per comprare e vendere a ritmi ultraveloci, cercando di lucrare sulle opportunità fugaci offerte dai cambiamenti di prezzo minuto per minuto sui mercati. Secondo il Tabb Group, una società di consulenza, il trading algoritmico e ad alta frequenza rappresenta oltre il 60% dell’attività sui mercati azionari Usa.
L’automatizzazione spinta dei mercati e l’espansione delle società di trading ad alta frequenza sollevano due interrogativi.
La tecnologia ha raggiunto un punto in cui le macchine rappresentano un rischio di sistema se vanno fuori controllo?
Se il settore ormai è dominato da una manciata di operatori in possesso di questa tecnologia, non è a rischio l’integrità dei mercati, che per molto tempo hanno visto coabitare categorie di trader di diverso genere?
Di fronte alla crescita del trading ad alta frequenza, la Sec ha lanciato una revisione generale delle strutture di mercato. In un documento pubblicato il mese scorso, la Consob americana pone interrogativi come: «L’elevata velocità e l’enorme traffico di messaggi dei sistemi di trading automatizzato mettono a rischio l’integrità delle operazioni di compravendita?».
La Federal Reserve Bank di Chicago, che fa parte del sistema delle Banche centrali Usa, in uno studio pubblicato questo mese dice: «L’ambiente di trading ad alta frequenza ha le potenzialità di generare errori e perdite in ritmi e proporzioni di gran lunga superiori a quelli di una sala contrattazioni o di un trading condotto attraverso monitor. Errori nel trading algoritmico si sono già verificati, ma è ancora poco rispetto a quello che potrebbe succedere».
John Jacobs della Lime Brokerage, che offre servizi di supporto per quelle che definisce «le strategie di trading elettronico più complesse, automatizzate ed estese», dice che errori dei sistemi algoritmici ci sono stati. In una lettera alla Sec del giugno scorso, Jacobs metteva in guardia: «Considerando la crescita e la natura di nuovi operatori di trading ad alta frequenza, esiste il rischio di fallimenti multipli a catena provocati dal trading».
In questa lettera Jacobs citava una serie di errori, come la Morgan Stanley che nel settembre 2004 ha inoltrato un ordine per 10,8 miliardi di dollari invece che 10,8 milioni, e un ordine da 31 miliardi di dollari da parte della Ubs nel febbraio 2009, centomila volte più consistente del voluto.
I timori si concentrano soprattutto sull’esplosione quantitativa del traffico di messaggi – segnali elettronici che contengono ordini d’acquisto e di vendita – e di dati, generato sui mercati non solo da trader ad alta frequenza ma anche da altri operatori come i gestori patrimoniali e le banche, anch’essi grandi utilizzatori di algoritmi.
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Il problema non è limitato alle Borse valori. Gerald Hanweck è l’amministratore delegato della Hanweck Associates, una società di gestione del rischio rilevata questo mese dall’International Securities Exchange, una Borsa opzioni controllata dalla Deutsche Börse. Dice Hanweck: «Con la crescita esponenziale del volume di scambi e del traffico per le opzioni, i sistemi di dati di mercato convenzionali fanno fatica a tenere il ritmo».
(…)
Dice Ratterman: «È dovere assoluto di un mercato applicare degli strumenti per limitare i rischi». Il Bats dispone di meccanismi di allarme sonori e visivi che allertano il personale quando le sue “porte” (i gateway attraverso cui arrivano gli ordini) sono interessate da un traffico di oltre 3mila messaggi al secondo. Le valvole di regolazione entrano in gioco ai 5mila messaggi al secondo. Quando gli chiediamo se accade di frequente, Ratterman risponde: «Non molto spesso».
Ma Doug Rivelli, amministratore delegato della Pragma Securities, una ditta che realizzata tecnologie per il trading, ribadisce l’opinione di molti operatori di mercato, che sostengono che i trader ad alta frequenza hanno riversato sui mercati troppa liquidità, e questo è un problema molto più serio di qualunque impazzimento della tecnologia. «La cosa fondamentale è accertarsi che esistano dei controlli preventivi, per consentire al settore di rintracciare e intercettare gli errori prima che si verifichino», dice.
Il problema è che la responsabilità degli strumenti di controllo antirischio non ricade solamente sulle Borse e sulle piattaforme di trading. Anzi, è soprattutto dei broker, che forniscono accesso a queste strutture in base a un accordo noto come “accesso sponsorizzato”, dove ogni società di trading che non fa parte di una Borsa può ottenere accesso diretto a essa sfruttando l’iscrizione di un broker.
(…)
Le autorità di regolamentazione ora devono decidere come reagire. David Wright, vicedirettore generale dell’unità mercato interno e servizi della Commissione europea, dice che è «un approccio pericoloso cominciare dicendo che vuoi regolamentare la tecnologia». Wright suggerisce invece di concentrarsi sul pericolo che una determinata tecnologia possa «mettere a rischio l’integrità del mercato e la concorrenza».
Jamil Nazarali, responsabile del trading elettronico per la società d’intermediazione finanziaria americana Knight Capital, propone di alzare le barriere d’ingresso per il trading ad alta frequenza, sostenendo che è indispensabile imporre a queste società il rispetto di requisiti patrimoniali minimi. «Il mercato dev’essere protetto meglio, ma in modo intelligente, per non perdere i benefici di spread più ridotti fra domanda e offerta e di una maggiore liquidità».
Sang Lee, socio gerente dell’Aite Group, una società di consulenza americana, dice che potrebbe essere possibile «imporre restrizioni comportamentali», come un parametro di velocità minimo per una compravendita, o l’obbligo per i mercati di «rendere un ordine valido per un certo numero di millisecondi».
Lee aggiunge: «L’argomento chiave per regolamentare il settore è che certi operatori con grosse risorse finanziarie hanno un vantaggio tecnologico. Il dilemma è: dobbiamo rallentare quelli più veloci oppure obbligare il resto del mercato a velocizzarsi?».
(Traduzione di Fabio Galimberti)
INGORGHI TELEMATICI
300 microsecondi
L’incastro tra acquisto e vendita
È il tempo – mille volte meno di un batter di ciglia – in cui vengono incastrati ordini di acquisto e di vendita.
31 miliardi $
Gli ordini “errati” di Ubs
A febbraio 2009 Ubs ha inoltrato un ordine da 31 miliardi di dollari, 100mila volte più consistente del voluto. Nel settembre 2004 Morgan Stanley aveva inoltrato un ordine per 10,8 miliardi di dollari, invece che 10,8 milioni.
60%
L’attività svolta con algoritmi
Secondo la società di consulenza Tabb Group, il trading algoritmico e ad alta frequenza rappresenta il 60% dell’attività sui mercati azionari degli Stati Uniti.
3mila
Messaggi in entrata al secondo
I gateway attraverso cui arrivano gli ordini sono interessati da un traffico di oltre 3mila messaggi al secondo: le valvole di regolazione entrano in gioco ai 5mila messaggi al secondo.
Altra lettura consigliata è questo articolo ancora sugli High Frequency Trading HFT è questo articolo- intervista a Capuano. Cliccate QUI.
Che dite? Che fine farà il mercato? E quale sarà ancora l’impatto dell’essere umano in un ambiente stradominato dalla tecnologia?
STAY TUNED!
PS: per avere un eccellente spiegazione su cosa sono questi sistemi automatici di trading, cliccate QUI (inglese).
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