Italian Style e il futuro che non c’è

Scritto il alle 15:15 da Danilo DT

GUEST POST: un testo scritto dall’amico lettore Ottofranz che denuncia un rischio tutt’altro che remoto: la morte di quello stile e di quel talento che da sempre ha contraddistinto l’Italia.

Ho avuto la fortuna ed il privilegio di cavalcare in prima linea questa “Italia da bere”del fashion degli ultimi quarant’anni. Potrei dire di essere un po’ il Forrest Gump dell’abbigliamento casual in quanto quando c’era qualcosa di importante io c’ero In un modo o nell’altro ho avuto modo di conoscere ed in alcuni casi anche di collaborare con i nomi che hanno contrassegnato il casual di questi 40 anni. Essendo figlio d’arte ho reminiscenze di quando durante la guerra i tessuti acquistabili erano due e quando tra gli anni 50 e gli anni 60 cominciarono anche da noi, dopo gli insegnamenti americani, a nascere i primi negozi con capi già confezionati.

Una roba senza futuro a detta di coloro che, vendendo tessuti in pezza, definivano appunto questi scriteriati destinati a sicuro insuccesso, “confezionisti” .

Un termine che ,anche se solo fra le righe, aveva un qualcosa di dispregiativo.

Ricordo quando i Saldi non c’erano ed i mesi di gennaio e febbraio venivano definiti “Fiera del Bianco”, facendo l’occhiolino a chi dovendosi sposare aveva l’occasione giusta per pensare al corredo.

Ricordo quando i primi si accorsero che era possibile acquistare un negozio e pagarselo abbondantemente facendoci anche un discreto guadagno nel giro di poche settimane, con le “Vendite di liquidazione”

Ricordo a Torino la nascita delle prime jeanserie, i Pant House, negozi specifici per un target fino ad allora inesistente. Idee prese al balzo dai risultati della genialità di certi “Benetton” capostipiti di catene create ad hoc chiamate “My Market”,
Specifiche per il consumo di quella generazione che d’ora in avanti avrebbe tracciato il solco del successo del marketing e di tutta la sfera che ad esso si sarebbe collegata.Non poco se pensiamo alla “Febbre del sabato sera”, quindi discoteche, radio libere e tutto quello che ne è derivato.

Ricordo le resistenze dei confezionisti che definivano questi scriteriati destinati a sicuro insuccesso “jeansaioli”

Un termine che , anche solo fra le righe , aveva un qualcosa di dispregiativo.

Ricordo che essendo Torino già all’epoca in eterna “crisi”, un po’ perchè mamma Fiat aveva messo le basi per la creazione di un consumismo proletario per definizione , e per l’innata capacità del Commerciante piemontese di piangersi addosso, fin da subito invece di puntare alla qualità ed all’innovazione , mentre in altre Regioni si misero le basi per un decollo Internazionale, in Torino si misero le basi del “Resistere,resistere ,resistere,” salvo pochissimi casi.

Si sviluppò nel mio settore una politica Commerciale del 9900 lire, che mise le basi per uccidere qualsiasi ricerca il cui risultato potesse superare cifre di vendita che in analisi tecnica potremmo definire “resistenze”

Ricordo ricordo ricordo….E non posso non far dei paralleli.

Emblematico il fatto che come negli sport , prendiamone alcuni particolarmente indicativi,come lo sci acrobatico, il trial, il freee style nel motocross, un qualsiasi mediocre di oggi sarebbe stato un campione ieri.

Oggi è tutto più difficile. Non è più sufficiente la genialità.

Essa deve essere accompagnata necessariamente dalla tecnica fino all’esasperazione e da un piano finanziario iniziale praticamente fuori portata

Non si può più pensare di iniziare da uno. Si comincia da mille o non se ne parla.

E’ per questo che non rivedremo nuovi Armani , Valentino Versace ecc.

Uccisi ancora in pancia dall’avvento della nuova finanza mondiale. Anche qui un NWO. Le ultime notizie dalla Cina parlano di uno sconvolgimento ulteriore dei costi di produzione.
I fornitori concorrenti della Cina (Vietnam, Nord Africa, est europa ,Bangladesh ecc) vengono presi d’assalto dalle grosse catene che li cannibalizzano.
Nel giro di pochi anni tutti quei Brand che avevano fatto del “total look” delocalizzato il loro lato di forza finanziario, saranno fuori mercato e dovranno confrontarsi con chi arrivando direttamente al consumo con negozi di proprietà, potrà dettare legge.

Questo causerà un appiattimento del prodotto ed un divario enorme, che andando ad uccidere la proposta di mezzo vedrà anche in questo caso il formarsi di due soli mercati .Uno altissimo ed uno bassissimo.
Si rivedrà ,in modo opposto, la differenza fra il vestirsi ed il coprirsi e la massa cambierà addirittura i suoi gusti rinunciando a quella cosa tipicamente italiana che ha fatto da motore all’economia per almeno un trentennio..

Le catene avranno ancora al loro interno il genio creativo, ma non gli permetteranno di emergere in quanto figli di quel progetto “circolare” e non verticistico che ormai delinea il credo creativo di qualsiasi Azienda.

Non giudico questa evoluzione ,la prendo come un dato di fatto.

E i corsi e ricorsi storici potrebbe comunque determinare delle sorprese.

Rimane da considerare come questa evoluzione abbia un effetto assolutamente negativo sul nostro Paese, che vedeva nella voce abbigliamento e tessile una delle colonne portanti della nostra economia.

In questo momento storico, una politica accorta userebbe questa fase per aiutare a riqualificare le migliaia di laboratorietti ormai chiusi o in via di chiusura , aiutandoli con politiche fiscali e di sostegno, che creerebbero posti di lavoro in quanto nuovamente nel mercato.

Servirebbe inoltre un’educazione del consumatore ,una sorta di autarchia condivisa e non imposta, una specie di sana e cosciente istruzione al “comprare italiano” che crei la consapevolezza che acquistando un nostro prodotto salvaguarderemo anche il nostro posto di lavoro ed il futuro dei nostri figli.

Ma si può fermare la Storia?

Ottofranz

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21 commenti Commenta
hironibiki
Scritto il 28 Dicembre 2010 at 16:35

Dalle parti dove vivo io (Busto Arsizio) una volta mi raccontavano (io mi sono trasferito da due anni e mezzo) che c’erano molti laboratori tessili. Addirittura su una rotonda si erge un vecchio telaio di anni passati.. Antichi ricordi per chi è vissuto in quella città. Ora è tutto diverso. C’è solo l’usa e getta, frutto di un consumismo sfrenato che ci porterà solo alla rovina 😥

mattacchiuz
Scritto il 28 Dicembre 2010 at 16:57

porcaccia dillo che la storia è cambiata!! 🙂

io sono assente perchè sto preparando una cosa pazzzesca!! 🙂

alfio200
Scritto il 28 Dicembre 2010 at 16:58

“””Servirebbe inoltre un’educazione del consumatore ,una sorta di autarchia condivisa e non imposta, una specie di sana e cosciente istruzione al “comprare italiano” che crei la consapevolezza che acquistando un nostro prodotto salvaguarderemo anche il nostro posto di lavoro ed il futuro dei nostri figli.”””

Questa invece è l’ultima cosa che dovremmo fare!! Equivarrebbe a trasformarci in una specie di “vu cumprà prodotto italiano?” “Compra per favore, costa poco.” Compra, io ho fame e famiglia da mantenere”.

La verità, e parlo in particolare per il mio campo che è l’intrattenimento, ma anche per il resto, è che in Italia la MERITOCRAZIA è morta da tempo. Che ha talento, semmai, migra all’estero.

A questo possiamo aggiungere l’assistenzialismo che lo Stato dà alla “cultura” intesa come cinema ed editoria. Il cinema americano fa utili per miliardi (di dollari) e non riceve un centesimo dallo Stato, quello italiano (con pochissime eccezioni) non incassa niente e qualche anno fa al festival del cinema di Berlino, si beccò la frase “Gli italiani si occupino di spaghetti e non di cinema”. Per aiuti all’aditoria si intendono aiuti a quotidiani di partito assolutamente defunti che nessuno legge. La piccola editoria, magari emergente…zero!

Questo sistema ha una sola possibilità di riformarsi: crepare e poi (magari) risorgere, ma al punto in cui stanno le cose, mi sembra molto difficile.

idleproc
Scritto il 28 Dicembre 2010 at 17:16

“In questo momento storico, una politica accorta userebbe questa fase per aiutare a riqualificare le migliaia di laboratorietti ormai chiusi o in via di chiusura , aiutandoli con politiche fiscali e di sostegno, che creerebbero posti di lavoro in quanto nuovamente nel mercato.
Servirebbe inoltre un’educazione del consumatore ,una sorta di autarchia condivisa e non imposta, una specie di sana e cosciente istruzione al “comprare italiano” che crei la consapevolezza che acquistando un nostro prodotto salvaguarderemo anche il nostro posto di lavoro ed il futuro dei nostri figli…”

Meglio non poteva essere detto… rispecchia la mia convinzione che per far ripartire il Paese e le sue capacità di innovazione e creatività in tutti i settori si deve partire da PMI, agricoltura e servizi ad alto valore aggiunto… in alternativa ci dovremo adeguare alla progressiva deindustrializzazione, all’essere solo un mercato coloniale e all’impoverimento “circolare”. Il problema purtroppo diventa “politico”: ciò che si cerca di far crescere deve essere, almeno all’inizio, protetto.

ottofranz
Scritto il 28 Dicembre 2010 at 17:30

@ Alfio
non ,compra costa poco.
Magari costa uguale o anche un po’ di più , ma i soldi restano qua. E il lavoro anche.

Il globalismo ed il liberismo sfrenato ormai ci sono entrati per osmosi, ed i risultati cominciano a vedersi.
E’ un problema anche di egoismo. Un po’ la storia del “non comprerò mai palloni cuciti con le mani dei bambini, ” ma quando un pallone costa 20 e l’altro 50 quello da venti va benissimo.

Mi rendo conto che pensare di esurire un argomento così delicato in poche righe sia troppo, ma è il paradigma che andrebbe cambiato.

Per quanto poi riguarda assistenzialismo meritocrazia ecc, beh ci vorrebbe una tavola rotonda e comunque non ne usciremmo sobri mi sa… sul Cinema discorso ancora più lungo. Comanda il mercato. Ma il mercato è dettato dal Marketing se no chi andrebbe a vedere i film di Natale? E il marketing USA (vedi Avatar) tocca il globo intero. Questione di numeri e di soldi . Il merito centra poco . A mio modesto avviso naturalmente. 😀

m75035
Scritto il 28 Dicembre 2010 at 18:29

bello l’articolo!

@Mattacchiuz
…ci tieni sulle spine ah?!?

mattacchiuz
Scritto il 28 Dicembre 2010 at 18:41

m75035@finanza: bello l’articolo!@Mattacchiuz
…ci tieni sulle spine ah?!?  

vedrai vedrai!
adesso mollo il colpo,stavolta sono stanco. finirò domani e pubblicherò, se ce la faccio, il 30, come augurio di buon compleanno a mio padre 🙂
no davvero, spero esca un buon lavoro…

Scritto il 28 Dicembre 2010 at 18:43

Ribadisco che questo fluire lentamente di forza vitale dall’occidente all’oriente sfociera’ in una guerra epocale, fortunatamente sembra ancora un po’ lontana per la mia generazione… la battaglia di Armageddon sara’ causata dal predominio commerciale dell’est sull’ovest, quando saremo minacciati piu’ concretamente da un diverso stile di vita e da una differente filosofia dell’esistere arrivera’ la guerra. Amen.

tengobotta
Scritto il 28 Dicembre 2010 at 18:52

sacrosanto Ottofranz!!!!

è come per l’alimentare, stessissima cosa!!! Qua ci vuole un pò di autarchia, parola che suona male, ma è l’unico modo per far riavvicinare il consumatore all’artigiano!

paolo41
Scritto il 28 Dicembre 2010 at 19:01

ottofranz,

analisi molto centrata e, fondamentalmente, vale anche per altri settori.
C’è un articolo, proprio oggi, su Yahoo! Finance che dice semplicemente agli americani che i nuovi posti di lavoro sono solo sulle attività delocalizzate all’estero da parte delle aziende americane, inclusi i lavori che richiedono skills superiori (R&S, progettazione, software, etc).

giandino
Scritto il 28 Dicembre 2010 at 20:02

Berlusconi è stato quasi sempre al governo negli ultimi 10 anni, e tutte le sue grandi promesse (Ponte sulla stretto, riduzione delle tasse, un milione di posti di lavoro … etc..) non sono mai state mantenute.
Ha preso bellamente per il culo gli italiani … i quali sono ancora disposti a credere alle sue promesse.
Se questo paese sta sprofondando nelle classifiche mondiali (siamo tra gli ultimi in tutto ciò che conta) è colpa di Berlusconi o degli idioti che credono ancora alle sue promesse?
E’ ovvio che Berlusconi non ha colpa, lui fa solo il suo mestiere, lo fa bene e mi è pure simpatico. Sono tutti quegli “ingenui” che, dopo l’evidenza di un lungo decennio, credono ancora nelle sue promesse, a portare le responsabilità totale del dissesto di questo paese.
E Bossi?
Predica secessione, devolution, federalismo dal 1990 …
Risultato?
Un cazzo.
E’ colpa di Bossi?
… Manco per la capa … lui tiene famiglia e sbarca il suo lunario in quella pittoresca maniera … sono i suoi milioni di seguaci che, dopo 20 anni di minchiate ad libitum, credono ancora nelle sue amenità a … meritare l’interdizione a vita.

lampo
Scritto il 28 Dicembre 2010 at 22:13

Io non sarei così catastrofista. Il problema è che in Italia i mass-media amplificano troppo i casi negativi ad un livello quasi morboso (forse perché è oramai diventato morboso anche l’italiano medio… 😥 ). Pensiamo oramai a come si arrovellano sui casi di cronaca.

L’altro giorno ascoltavo per radio un esempio di “made in Italy” di successo, in un settore che non è nostro… ma quasi monopolio degli americani e giapponesi: i cartoni animati.
Sto parlando della Rainbow, la società italiana famosa per aver creato la serie animata Winx, in onda in più di 100 Paesi in tutto il mondo.
Il titolare, Iginio Straffi, raccontava, con molta umiltà e pacatezza, che tali risultati sono stati il frutto di un piano ben preciso, molta passione (ha iniziato come disegnatore), motivazione del personale, e soprattutto pianificazione, oltre al reinvestimento di gran parte degli utili nell’azienda, in ricerche di mercato, ecc.

Il problema dell’Italia secondo me quindi non è la concorrenza… dei mercati emergenti. Abbiamo sufficiente creatività ed iniziativa per riuscire a creare alternative (lo dimostrano anche i notevoli risultati, numero di brevetti, conseguiti dai nostri ricercatori che emigrano all’estero… purtroppo).

Il fatto che i nostri mass-media, oramai troppo di parte ed in mano a poche persone, non riescono più a rappresentare quella piccola parte dell’Italia, fatta di persone che si appassionano ogni giorno in ciò che fanno, affrontando mille difficoltà e che, di fatto, riescono ancora a mantenere a galla l’economia “buona” di questo paese, cioè quella che non è in preda a lobbies, continua ricerca di finanziamenti a fondo perduto, incentivi, accordi politici, cartelli commerciali e tariffari, albi professionali e caste varie, ecc. Ovviamente non intendo solo imprenditori, artigiani o liberi professionisti ma anche dipendenti pubblici e privati che sacrificano gran parte della loro vita e, spesso, del loro tempo libero (che potrebbero dedicare invece alla famiglia) per riuscire a migliorare l’efficienza del proprio luogo di lavoro e di conseguenza dell’economia italiana.

Probabilmente se ci fossero più riflettori puntati a raccontare questi episodi di successo (e ce ne sono tanti), molti disoccupati di una certa età, che hanno comunque una grossa esperienza alle spalle, potrebbero essere meno depressi ed iniziare nuove attività in grado di alimentare e diversificare il mercato interno. Inoltre sarebbero di incentivo a quella massa di giovani disoccupati (oramai cronici) che si ostinano a voler continuare a cercare lavoro come co.co.co, collaboratori, e via dicendo in settori oramai “superinflazionati” da altri coetanei aventi la medesima specializzazione ed in ricerca della stessa professione (avvocati, ragionieri, insegnanti, politici, ecc.), e che quindi vengono “sapientemente” e “volutamente” sfruttati (come carico di lavoro rapportato allo stipendio). Tali giovani pagheranno cara, in futuro, tale scelta, quando scopriranno la misera pensione a cui andranno incontro, oltre a generare un problema sociale non indifferente da affrontare per le casse dello stato (fra 20-30 anni) e per il governo che verrà.
Lo stesso vale per i loro genitori… che li hanno voluti, a tutti i costi, laureati in quelle specializzazioni… che il mercato del lavoro non richiede…(mentre mancano tecnici, matematici, disossatori di prosciutto, operatori cnc, sarti, calzolai, pizzaioli, infermieri, ecc).

Il peggior aspetto, secondo me, è l’effetto che i mass-media (in particolar modo televisivi) hanno svolto nei confronti della maggior parte della popolazione, oramai assuefatta dallo scatolone che parla, parla, straparla, consiglia,… e che non ci permette più di avere quelle piccole frazioni di tempo riservate a noi stessi, permettondoci di pensare con la nostra testa, analizzare i problemi da punti di vista differenti, sviluppare la creatività necessaria per migliorare la nostra qualità della vita, di quella delle persone che ci stanno attorno e con cui interagiamo, specie quanto tali persone non avendo tali qualità e capacità, sono però sempre pronti a supportarci e collaborare, senza secondi fini, ma con molta stima.

Per quanto riguarda il settore della moda… aggiungo solo un episodio: mia moglie è da 3 mesi oramai alla ricerca (per andare al lavoro) di uno stivaletto classico in pelle con tacchi classici (3 cm) e buona calzata. Ha girato invano oramai una ventina di negozi e centri commerciali…e macinato diverse centinaia di Km. Sembra che la moda abbia standardizzato oramai il mercato delle calzature (tacchi altissimi o ballerine, per non parlare dei gambali che mia nonna usava per andare nell’orto, con i colori fosforescenti…oppure le scarpe eleganti con la suola sportiva…). Eppure girando e chiedendo alle commesse ed ad altre signore che cercavano qualcosa di simile… è emerso che gran parte di questa nuova moda rimane invenduta…proprio perché non piace. Inoltre le commesse mi raccontavano che molti clienti che sono alla ricerca del classico, appena riescono a trovarlo lo comprano subito senza tanti problemi, portandolo a rapido esaurimento (prima dei saldi) e di difficile rimpiazzo, visto che sempre meno produttori lo realizzano. Molte volte indipendentemente dal prezzo, cioè anche scarpe molto care… spesso made in italy che pensavano di non riuscire a vendere per il target di prezzo che avevano, vanno a ruba.
Siamo proprio sicuri che gli italiani vogliono veramente comprare ciò che il mercato propina loro?

lampo
Scritto il 28 Dicembre 2010 at 22:22

Vi lascio due link dell’esempio che citavo:

Un articolo più vecchio: http://www.cgitalia.it/2006/11/22/nasce-rainbow-cgi-film-3d
Il rapporto con le università: http://www.econ.univpm.it/careerday/rainbow.html
La trasmissione radio che citavo: http://www.radio24.ilsole24ore.com/main.php?articolo=made-italy-winx-cartoni-alluvione-veneto-danni-mercati-borsa-azioni

Scritto il 28 Dicembre 2010 at 23:43

Matta sta preparando una bomba… Vedrete…
Intanto mi sembra che il buon ottofranz abbia avuto successo di visite e di critica, il che è ottimo perchè si stimola la discussione e si approfondiscono le tematiche!
😉

ottofranz
Scritto il 28 Dicembre 2010 at 23:52

@ Lampo

Quando parlo di massificazione del prodotto intendo proprio l’esempio che hai portato relativo alla ricerca fatta da tua moglie.

Una volta i negozi multibrand portavano con la loro professionalità, il prodotto migliore di ogni Azienda alla scelta del consumatore. Inoltre assumevano il rischio della proposta fornendo esattamente quella diversificazione nella quale tua moglie trovava il suo segmento.

Oggi questi negozi sono praticamente spariti per lasciar spazio a Negozi Aziendali che producendo un total look hanno sacrificato la loro specializzazione alle esigenze di fatturato.

Inoltre, di fatto, i Brand che ancora sono presenti negli store multimarca, impongono acquisti su tutta la loro gamma ,dettando praticamente di fatto gli assortimenti acquistabili che dovranno essere obbligatoriamente proposti alla clientela.

Ecco quindi che magari andando a fare un acquisto da un’Azienda leader nella produzione del jeans, ti vedrai proporre una camicia di infima qualtà e molto cara in quanto facente parte del pacchetto globale.

Solo in rarissime occasioni il potere contrattuale del negoziante ,unito alla sua professionalità (sempre più scarsa) potranno salvarti da un acquisto dove il rapporto qualità prezzo non sia falsato da un’etichetta.

In fin dei conti noi consumatori abbiamo sempre associato il Marchio alla sicurezza sulla qualità del prodotto

Oggi proprio questa certezza è venuta a mancare e purtroppo il succo di tutto questo è che sempre più non potremo scegliere, in quanto dovremo mangiare la minestra … o saltare dalla finestra. 🙁

lampo
Scritto il 29 Dicembre 2010 at 07:36

ottofranz: In fin dei conti noi consumatori abbiamo sempre associato il Marchio alla sicurezza sullaqualità del prodottoOggi proprio questa certezza è venuta a mancare e purtroppoil succo di tutto questo è che sempre più non potremo scegliere, in quanto dovremo mangiare la minestra … o saltare dalla finestra.   

Anche se, in linea di principio, sono d’accordo sull’associazione Marchio=qualità e sicurezza, ritengo che una parte dei consumatori (tra cui anche io e mia moglle) si è accorta che tale associazione non è più valida. Quando sono in cerca di un prodotto di abbigliamento vanno alla ricerca sperduta dell’etichetta per sapere di cosa è fatto e soprattutto dove viene prodotto (anche se quest’ultimo dato non è attendibile visto che le etichette …si lasciano attaccare facilmente). Lo stesso vale per il mercato delle calzature, dove mi diverto a vedere sempre più gente annusare (di nascosto) le scarpe prima di comprarle per capire se è pelle o sintetico (anche se esistono già degli spray o lucidanti che hanno l’odore della concia…).
Poi ricordiamoci che si sta sviluppando nel consumatore anche la coscienza etica del prodotto che compra, per cui sempre più consumatori vogliono sapere come vengono prodotti e a che condizioni, ecc.

Quindi, concordo con la tua visione, ma ritengo che rimarrà una nicchia di mercato rivolta alla tipologia di consumatori che ho descritto, che vuole un prodotto di qualità non imposto dal mercato e non necessariamente di brand.
Questo è il mercato da intercettare da parte dei nostri produttori locali, in attesa dell’evoluzione dei gusti della gente e della loro assuefazione o meno.
Ritengo che il prodotto di bassa qualità anche se di brand noto, difficilmente riuscirà a predominare il mercato per lungo tempo, visto anche la crisi in corso (il consumatore si accorgerà che il prodotto dura poco, oppure che dopo due lavaggi rimane con uno straccio per pulire il pavimento o spolverare!).

Faccio un esempio: nel settore abbigliamento vedo realizzare sempre più corsi di taglio e cucito e conosco sempre più persone che si fanno i capi più eleganti da soli, perché non sono contenti della qualità o dell’offerta proposta. Certo è sempre più difficile trovare stoffe di qualità (il titolare di un negozio in cui mi approvvigiono, che ha fatto il rappresentante di stoffe per circa trent’anni in giro per l’Italia, mi racconta che compra sempre più da liquidazioni e fallimenti piuttosto da chi realmente produce…anche se rimangono aziende che hanno aumentato fatturato e assortimento dei prodotti, conquistando altre aree di mercato).Poi in futuro, con la qualità sempre maggiore dei macchinari tessili che abbiamo venduto (li produciamo noi!) ai Paesi emergenti, avremo stoffe di importazione di qualità superiore che andranno a sostituire i prodotti mancanti.
Insomma ne vedremo delle belle… 😯

gainhunter
Scritto il 29 Dicembre 2010 at 08:05

Ottima analisi, Ottofranz!

@Lampo: concordo, stampa e tv parlano solo di cose negative, e anche sui forum si leggono solo critiche… ricordo di aver letto tempo fa che era nato un giornale con l’obiettivo di raccontare solo buone notizie, ignorando tutto il resto. E anche Famiglia Cristiana spesso fa articoli su aziende italiane di successo, io la leggo soprattutto per questo.

Una soluzione non potrebbe essere un aumento dei dazi sui prodotti extra-UE tale da portare i loro prezzi quasi ai livelli dei prodotti UE? D’altra parte, la globalizzazione abbiamo visto che ha portato più danni che vantaggi, e allora non è il caso di tornare indietro?
Scommetto che i francesi sarebbero d’accordo 🙂

hironibiki
Scritto il 29 Dicembre 2010 at 09:39

La cosatriste è che non c’è in realtà la volontà di cambiare..
Notizie come:

“Solo qualche giorno fa Juergen Stark, membro del comitato esecutivo Bce, ha spiegato che queste operazioni (gli acquisti di bond, ndr) non devono mirare ad aiutare i governi. A stretto giro, ieri è arrivata la risposta di Wolfgang Schaeuble: il ministro dell’EConomia tedesco ha avvertito che i Paesi dell’euro che non riducono il proprio debito in misura sufficiente rischiano sanzioni economiche. ”

Sono un chiaro segnale di come in realtà l’uonione Europea sia solo sulla carta.
Ci stiamo scavando la fossa da soli, e secondo me ancora non è percepita la reale malattia economica dalle persone comuni perchè ancora l’Italia “tiene botta”.
Ormai si parla di aumento età pensionabile, precariato ecc. sempre più spesso eppure nessuno si lamenta; in piazza i ragazzi scendono contro la Gelmini e poi tutti al Rave Party.

Non c’è al momento nessuna volontà di cambiare in nessun modo e in nessu ambito. Il petrolio ha piccato e bisogna diminuire i consumi? Il gas naturale si esaurirà tra 60 anni al max? Le centrali nucleari (nuove) dovranno sostenere lo svilupo economico negli anni futuri? Chissenefrega. Oggi consumo, domani si vedrà. E’ assurdo. Vogliamo fermare il volano economico ridimensionando lo stile di vita o no? Non possiamo pensare di andare avanti così stiamo distruggendo tutto, eppure anche in questo caso le nazioni sono tutte divise.
A parte la globalizzazione che sta drammaticamente portando sempre più in recessione l’Europa, a me viene da sorridere quando leggo da varie fonti (tip Ansa ecc) che si vuole tornare a crescere economicamente. Ma siamo sinceri questo è IMPOSSIBILE. Ed è una legge fisica. Oggi c’è anche la Cina che vuole (oh concedetemi il termine di Benetazzo) “il sogno americano” così come India e via via a ruota tutti gli atri, ma le materie prime non sono infinite.
Quindi è IMPOSSIBILE riprendere il livello economico “pre-crisi” aggiungendo anche tutte le altre nazioni. Allora non è forse meglio strutturare diversamente la società? Non è forse plausibile tornare qualche passo indietro e iniziare a produrre in modo diverso per necessità non per smodato guadadno?

Io sono convinto che presto le cose cambieranno, prima però ci sarà una grande enorme crisi.

ottofranz
Scritto il 29 Dicembre 2010 at 10:02

Beh, mi fa piacere che questa discussione abbia toccato più argomenti e che ci sia stata una buona condivisione della visione. Per concludere vorrei lanciare un messaggio di speranza a cui pensavo quando parlavo di corsi e ricorsi storici e che rivedo trasparire nell’ultimo commento di Lampo.

Un piccolo aneddoto storico che forse non conoscete.

Dopo la seconda guerra mondiale la Levis alienò i telai che usavano pezze di dimensioni ridotte e che producevano tessuti che lasciavano imperfezioni.
Inoltre la pezza era di dimensioni piccole rispetto alla richiesta crescente ed il fine pezza finiva con una cimosatura che fermava il tessuto e che riduceva la quantità prodotta di uno ,in quanto l’ultimo capo uscitoveniva considerato di seconda scelta.

I telai furono acquistati , manco a dirlo, dai giapponesi. I cinesi di allora. Non sto a raccontarvi tutta la storia, ma oggi quel prodotto col difetto di tessuto , ormai irreplicabile, è diventato un sinonimo di qualità ricercato in tutto il mondo. L’ultimo capo , con cimosa (o cimossa) viene replicato industrialmente ad arte e spacciato come esclusività

Allo Shibuya, un quartiere commerciale di Tokio, esiste un intero piano dedicato al vintage di questo tipo e c’è la fila dei ricercatori di prodotto mondiali (anche noi italiani) a fare ricerca.

Quindi è vero che non bisogna farsi condizionare troppo dagli eventi visibili. Esiste sempre una seconda faccia della medaglia. In cinese “crisi” significa anche opportunità.

Si può scegliere fra cavalcare e farsi cavalcare

Buon anno a tutti

Scritto il 29 Dicembre 2010 at 10:37

ottofranz,

😀 Ottimo ottofranz!

g.luca
Scritto il 29 Dicembre 2010 at 20:03

Ottofranz volevo farti i miei complimenti per l’articolo scritto ed estenderli anche alle persone che sono intervenute.
Credo di poter dire la mia sull’argomento visto che ho un piccolo laboratorio tessile di artigianato Made in Italy. Condivido l’opinione in cui si parlava della poca cultura dell’acquisto, che purtroppo devo ammetterlo, c’è, e diffonderla, farla conoscere, non è creare un mercato “vu vumprà” ma tutt’altro. Difendere il Made in Italy non è facile, io per mia scelta e con i miei rischi, ho deciso di puntare tutto sul totale Made in Italy (inteso come fornitori visto che la produzione la faccio io) ma il mercato attuale è sempre più complesso. Molti si lamentano che le aziende non assumono, che non ci sono posti di lavoro, che alcune professioni stanno scomparendo, che le ditte delocalizzano la produzione all’estero ecc ecc, ma cosa si fa per limitare questo? poco o nulla. Se per esempio preferisco:
1)a parità di prezzo comprare un cappello di un brand conosciuto, in materiale sintetico e prodotto in Cina, rispetto allo stesso articolo, fatto qui in Italia, di materiale puro e vero;
oppure
2)allo stesso prezzo comprare 5 cappelli direttamente dai cinesi (sorvolando sulla qualità).
poi non posso lamentarmi di tutte le cose che ho scritto prima. Anche io, nel mio piccolo, contribuisco alle assunzioni o al lavoro, dei miei fornitori italiani, e se domani, malauguratamente chiudessi, toglierei una parte delle risorse anche agli altri.

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