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Italia, Anno 2011, Economia: la Resa dei Conti

Scritto il alle 14:33 da gaolin@finanza

Guest Post: come è andato l’anno passato?

In questo periodo di festività capita per varie ragioni di avere modo di sentire anche da altri come sono andati gli affari, che prospettive ci sono, quali aspettative uno ha per l’anno 2012 appena partito, ecc. Devo ammetterlo, un tempo mai avrei pensato che le faccende in generale potessero diventare così gravi e, quel che è peggio, così tenacemente tenute nascoste dai media.

Oggi fare le cassandre è troppo facile ma qui si tratta di resocontare (scusate il neologismo personale) un anno, il 2011, che ha visto la situazione dell’economia reale dell’Italia in drammatica, anzi tragica evoluzione negativa .

A questo proposito mi sono andato a cercare un mio post, pubblicato un anno fa circa dove, a corredo di alcuni miei commenti sul vertice USA-Cina appena svoltosi, citavo alcuni casi di situazioni aziendali in vari luoghi d’Italia che allora erano sulla strada del deterioramento economico se qualcosa di positivo non fosse intervenuto.

Nulla di speciale ma un significativo elenco di cosa stava allora bollendo in pentola e su cui si potevano fare delle considerazioni/previsioni su cosa stava accadendo all’industria manifatturiera in Italia.

Il post datato 25/01/2011 è:

G2: USA-CHINA. Come è andata?

Per coloro che non se lo vogliono leggere riporto, di seguito, la parte utile per le finalità di questo post, consistente nella breve descrizione a fine 2010 di 4 casi aziendali emblematici, fra i tanti:

1° caso

Azienda di componentistica di qualità per il settore dell’arredamento cucine. Azienda che un anno fa andava ancora abbastanza bene, grazie alla tenuta dell’export in Sudamerica. Nel 2010 è accaduto che i 2 maggiori clienti brasiliani, dopo 2 decenni di reciproci profittevoli rapporti commerciali, sono stati tentati dalla produzione cinese, in grado di offrire a un prezzo del 65% inferiore lo stesso articolo. Persi questi 2 clienti, prima di fallire e perdere tutto quanto faticosamente costruito in 40 anni di duro lavoro, ha avviato la cessazione dell’attività. Questo imprenditore ce l’ha fatta a chiudere pagando tutto e tutti, mandando a casa però tutti i suoi 65 ormai ex dipendenti.

2° caso

Azienda del settore della ventilazione industriale. Questa da alcuni anni aveva avviato una succursale in Cina. I prezzi internazionali, determinati ormai dai produttori cinesi, avevano messo completamente fuori mercato, quanto a prezzo di vendita, quelli della fabbrica ubicata in Italia, dove fino 1 anno fa era allocato l’ufficio progettazione, nonché la ricerca e lo sviluppo di nuovi prodotti. Dopo 2 anni di rilevanti perdite dell’unità produttiva italiana, coperti con i dividendi inviati dall’azienda cinese, il titolare ha dovuto chiudere la produzione della fabbrica italiana, mantenendo solo un’attività di magazzino e distribuzione di prodotti Made in China/Marchio Italiano. Risultato 100 su 120 dipendenti mandati a casa.

3°caso

Azienda produttrice di sofisticati macchinari per l’edilizia, leader internazionale fino poco tempo fa nel suo specifico settore. Fino 2 anni fa i prodotti della ditta non erano troppo minacciati dalla produzione cinese, sì più economica ma di livello tecnologico ancora troppo inferiore. Nel 2010 questa società si è trovata improvvisamente a competere sul mercato internazionale con 2 produttori cinesi che, con grande sorpresa, si sono presentati sul mercato con una cospicua nuova serie di macchine simili come concezione e prestazioni. Nel 2010 c’è stato un sensibile calo di ordini e soprattutto un notevole calo dei margini, per aver dovuto ridurre i prezzi ai clienti. Per il momento la ditta ha mantenuto i livelli occupazionali ma per la prima volta, dopo 60 anni di attività, il risultato di bilancio 2010 sarà pesantemente negativo, ovvero in perdita. Visto poi che le commesse sono in drammatico calo, dovrà cominciare presto a fare cassa integrazione, per intanto. Insomma, anche per questa azienda modello è iniziato il calvario, che speriamo non raggiunga le estreme conseguenze.

4° caso

Azienda produttrice di componenti per grandi impianti industriali e infrastrutturali. Anche qui, da un po’, la pressione sui prezzi costringe a limitare il più possibile le lavorazioni in Italia e ad acquistare la componentistica semifinita o già finita dalla Cina, a prezzi 40-50% inferiori. In questo modo, per il momento, questa azienda sta mantenendo ancora una discreta redditività ma, pur avendo incrementato nel 2010 il fatturato del 25%, ha ridotto i dipendenti passando da 200 a 180 circa, non rinnovando contratti a termine o diminuendo i lavoratori interinali.

Ebbene volete sapere cosa è successo nel 2011?

Per quanto riguarda il 1°caso non c’è tanto da dire. L’ex imprenditore si è liberato dei fastidi che aveva prima di chiudere l’attività produttiva ed ora si dedica all’azienda vinicola che si era acquistato nei tempi floridi con discreto profitto ma niente di che. Però mi ha citato il caso di un’altra azienda, ex concorrente ormai, più grande della sua, che ha chiuso del tutto la produzione in Italia, in occasione della ferie estive e si è trasferita all’estero, lasciando a casa 140 dipendenti.

Relativamente al caso 2, l’imprenditore non aveva grossi lamenti da esternare, se non che il mercato dell’area Italia aveva subito una contrazione del fatturato del 30%, soprattutto per il pessimo 2° semestre 2011. Complessivamente però l’azienda cinese aveva incrementato le vendite del 25%.

Il caso 3 invece si sta evolvendo in modo più che preoccupante. Senza fare riferimenti a risultati di bilancio 2011 definitivi, le news sono a dir poco allarmanti. Fatturato in calo, prospettive di mercato ancora peggio e sistema creditizio sul “chi va là”. L’azienda dovrà ristrutturarsi con drastiche riduzioni di personale ma se non interverranno fatti straordinari personalmente temo che non ce la farà. Riacquistare competitività in Italia è una mission impossibile in queste condizioni. Per una delocalizzazione ormai il tempo è passato e non ci sono le risorse economiche e manageriali interne per farlo. Eppure fino 3-4 anni fa trattavasi di un’azienda leader mondiale, florida e in ottima salute finanziaria. Qui sono a grande rischio 500 dipendenti.

Il caso 4 è il più emblematico. In realtà nel 2010 l’azienda non aveva prodotto profitto, pur in presenza diun aumento del fatturato ma i prezzi di mercato erano scesi a tal punto, da compromettere la redditività dell’impresa. Cosa è successo nel 2011? L’azienda ha continuato ad acquisire commesse in perdita e, anche a causa dell’evoluzione dei cambi fra valute sfavorevoli, alla fine ha ceduto. A fine anno 2011 l’azienda ha portato i libri in tribunale e 180 dipendenti sono rimasti senza lavoro. Eppure era un’azienda uscita indenne dalla crisi del 2008-2009, di cui ovviamente quasi nessuno ricorda il dramma vissuto dal sistema produttivo industriale di quel periodo.

Se poi si vuole andare avanti su questa linea si può aggiungere qualche nuovo caso fresco, fresco, senza fare riferimento a nomi ma fra i più eclatanti dalle mie parti.

Caso a

Azienda del settore metalmeccanico termotecnico. Azienda che ha già collocato all’estero una buona parte della produzione ma che ci teneva ad avere ancora una base produttiva in Italia. A fine 2011 una parte delle linee produttive sono state trasferite, determinando 60 dipendenti su 150 in esubero, per il momento. Entro il 2012 lo stabilimento italiano sarà dedicato a magazzino per il mercato Italia e alle attività di promozione vendite e marketing di gruppo. Altri 50 dipendenti a casa, poi si vedrà.

Caso b

Questo accumuna 2 aziende degli impianti per la siderurgia. Fino a metà anno 2011 l’andamento erta stato buono ma il portafoglio ordini si stava assotigliando. Nei restati 6 mesi non sono state acquisite commesse significative. Con l’esaurimento delle ultime commesse, senza nuovi improbabili ordinativi, si dovranno avviare procedure di cassa integrazione e quasi sicuramente anche di drastiche riduzione del personale. In tutto sono coinvolti 350 dipendenti.

Caso c

Azienda del settore terziario metalmeccanico. Super tecnologica quanto a dotazione di macchinari. L’essere un’azienda sempre all’avanguardia nelle tecnologie produttive era il grande vanto dell’imprenditore titolare dell’azienda. In tempi di crisi di competitività, anche questo in Italia non basta più da tempo ormai. Risultato: anche lui, oberato dai debiti diventati insostenibili, ha dovuto portare i libri in tribunale e 33 dipendenti sono rimasti a casa senza occupazione, di punto in bianco.

E mi fermo qua, altrimenti annoio i lettori. Tanto ripeterei le stesse cose.

Leggo invece che Il direttore dell’Ufficio Studi di Confcommercio, Mariano Bella per chi non lo sapesse, non sa ancora che i consumi natalizi sono stati in drammatico calo. Anzi è infastidito dalle chiacchiere che girano senza una base dati certa che si avrà solo a febbraio prossimo. Già, questi qua che stanno nei loro comodi uffici romani non ci tengono a capire le cose per tempo, magari in anticipo.

Peggio di lui i politici ovviamente, che fanno ancora baruffa per cercare di dividere meglio, secondo loro, la torta che, ogni giorno in più, diventa più piccola. Non meglio i professori, che sono convinti che per risanare l’Italia necessitano i sacrifici. Sacrifici che però non saranno vani, visto che l’ha detto anche il nostro presidente Napolitano. Basta che in qualche modo alla finanza disastrata sia data qualche boccata d’ossigeno aggiuntiva per tirare avanti ancora un po’.

Di capire che invece è la produzione di beni e servizi utili che stimola l’economia sembra proprio che non interessi a nessuno di quelli che governano in qualche modo l’Italia.

Tragico errore che, guarda caso, in Cina si cerca di non commettere mai, tantomeno in tempi di crisi.

Buon 2012 a tutti lo stesso.

Gaolin

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14 commenti Commenta
leone51
Scritto il 4 Gennaio 2012 at 14:51

Ciao a tutti e buon 2012 ,

io vorrei condividere con voi questo mio parere .
In questi giorni riflettevo , su vari investimenti per il nuovo anno;
Ho iniziato a guardare l’andamento di vari ETf che replicano l’andamento dell’indice, asiatici, ecc.

La cosa che mi ha colpito è che se l’europa entra in recessione, per me nn esiste un economia che nn ne risentirà.

Allora la cosa che mi chiedo è proprio questa .

Quale di questi paesi riuscirà a peformare meglio?

o almeno ci sarà un mercato / economia che riuscirà a produrre profitto ?’
perchè penso siamo in una vera bello globalizzata e se scoppia da una parte , si propagherà ovunque, in poco tempo, ciè si sgonfierà di botto per poi ripartire.

Quando dicono che l’economia cinese sarà quella che consentirà di trascinare tutto , io penso che in realtà nn sia così, perchè per quanto pil facciano altrettanto si sta ingrossando la bolla che covano al loro interno

paolo41
Scritto il 4 Gennaio 2012 at 15:39

leone51@finanza,

…..pretendere di leggere l’andamento economico attraverso gli indici di borsa è deviante nè più nè meno come non trasmettere le reali situazioni da parte dei media, dei politici, degli economisti e dei professori…. Gaolin ha perfettamente ragione: tutto fa pensare che la situazione del lavoro tenderà a peggiorare… L’unica alternativa sarebbe cominciare a difenderci con barriere all’entrata e con adeguato protezionismo…. Può sembrare un paradosso ma è l’unica arma per combattere il selvaggio dumping che Cina e altri paesi stanno attuando…

hironibiki
Scritto il 4 Gennaio 2012 at 16:53

A me viene da ridere ad esempio quando sento nei Tg l’idea di Monti chiamata “Cresci Italia”.
Sembra più il nome di una pomata per la crescita dei capelli che non un’idea per uno stimolo all’economia.
Che poi stimolo… Ormai qui il paziente è moribondo, ci vorrebbe un cambio repentino e totale ma che ovviamente non ci sarà. Chissà se anche il 2012 sarà un anno di agonia economico-finanziaria come il precedente. Mah 😐

calciatore
Scritto il 4 Gennaio 2012 at 21:19

LE DIFFICOLTA’ del 2011 sono state l’antipasto di quello che avverra’ nel 2012-2013. Il crollo letterale della domanda in italia e la gelata degli investimenti porteranno alla chiusura di centinaia di piccole attivita’ e /o medie imprese, che saranno spiazzate dai prezzi di mercato e dal calo verticale della domanda. La deflazione non fa sconti a nessuno, chi potra’ acquistare qualsiasi articolo anche di dubbia qualita’ ad UN PREZZO RIBASSATO CIOE’ CINESE lo fara’ in barba alla italianita’ della produzione. Ormai non frega piu’ niente a nessuno di dove la merce e’ prodotta, importa solo che sia di prezzo BASSO, anche se spesso si consuma prima. Quello che conta nel 2012 -2013 sara’ il prezzo e’ la deflazione bellezza!!

lampo
Scritto il 4 Gennaio 2012 at 22:03

Bel post Gaolin… che descrive in tutta la sua drammaticità la situazione.
Aggiungo che proprio queste prospettive mi ha portato, circa quattro anni fa, a cambiare settore lavorativo e rifiutare un contratto a tempo indeterminato per uno a tempo determinato con una paga anche inferiore (non vi dico quanti mi hanno detto che mi ero suicidato)… visto che c’era già l’evidenza di elementi che erano il preludio a quello che sta accadendo oggi…e soprattutto deve ancora accadere.
Debbo dire che ero avvantaggiato nella mia previsione, visto che avevo incominciato ad interessarmi di economia e lavoravo per un grosso produttore/distributore di prodotti di pelletteria che aveva rapporti con la Cina e l’India. Quindi bastava fare due conti e comprendere la qualità sempre migliore e simile alla nostra della manifattura.

Peccato che (lanciando una provocazione), come vedi dai pochi commenti al post, questo sia un argomento che non interessa l’itagliano medio (quello del magnifico video che qualcuno ha citato in un commento poco tempo fa).

Dovrebbe invece essere traumatizzato come se stesse vedendo un film dell’orrore (come protagonista principale)!

Conosco molte persone in cassa integrazione o in mobilità, dovute, diciamo, a crisi aziendali (in realtà sappiamo bene entrambi che si tratta di una crisi di competitività, investimenti in ricerca per innovazione del prodotto e ottimizzazione dei processi produttivi per la riduzione dei costi, ecc.) che, invece di pensare a “crearsi” un nuovo lavoro, frequentando corsi, imparando nuove tecniche o impegnandosi in nuovi settori, preferisce stare tranquillamente a casa, spesso davanti allo scatolone racconta balle, ad aspettare l’accredito sul conto corrente dell’ammortizzatore sociale.

Anche alcuni miei ex colleghi di un’azienda decotta… che hanno aspettato il suo fallimento prima di andarsene, rimettendoci anche dei contributi non versati. In quel caso mi ricordo che compresa la situazione dell’impresa (che non andava) e affrontata (umilmente e costruttivamente) la direzione aziendale (i soci titolari) a costo di essere licenziato, per cercare di capire quale fosse la situazione reale e conoscere il loro piano industriale per riportare la competitività all’impresa, oltre a, nel mio piccolo, fornire qualche consiglio per migliorare la produttività a parità di ore di lavoro e impegno del personale… mi sono guardato in giro… e nel giro di meno di un mese, licenziato per altro settore (quello che citavo prima, con anche un miglioramento economico… pur partendo già da un buon livello di partenza).

Mi rendo conto di non essere normale e di essere sempre stato un temerario nel mondo del lavoro… ma non ho mai smesso di impegnarmi e di mantenere quel livello di curiosità e di passione per imparare nuove cose e affrontare un nuovo settore lavorativo, per quanto difficile che fosse (spesso inizialmente… non sapevo veramente dove sbattere la testa… ma poi con l’impegno, la costanza e la collaborazione… si riescono a superare anche le situazioni che sembravano irrisolvibili).

Mi dispiace dirlo… ma la situazione descritta nel post di Gaolin è oramai molto diffusa nel nordest, anche se poco pubblicizzata dai mass-media.

Conosco molte persone che hanno addirittura rifiutato l’occasione di un nuovo lavoro, remunerato magari poco di più dell’ammortizzatore sociale, e hanno preferito starsene a casa… spesso chiedendo al datore di lavoro, durante il colloquio, di essere ricontattato fra due mesi per la firma del contratto, dopo la scadenza della mobilità (caso reale raccontatomi da un parente che segue il personale in un’azienda di piccole/medie dimensioni).

Il lato positivo però è che una minoranza di persone che hanno avuto la sfortuna di perdere il lavoro e essere a carico dello Stato (mediante appunto gli ammortizzatori previsti), hanno usato il loro improvviso tempo libero per dedicarsi in maniera approfondita ad un hobby che già curavano o che aspiravano a coltivare, trasformandolo nel giro di breve tempo in un’occasione di entrata finanziaria e di sviluppo professionale, spesso in proprio.

Come dire… il bisogno aguzza l’ingegno.

Eppure quando nel nordest le Regioni approvano i bandi di Lavori di Pubblica Utilità o Socialmente Utili, pur con adeguata pubblicità anche sui quotidiani locali (che non sarebbe prevista dalla normativa)… ci sono pochissime adesioni…e spesso scorrendo le graduatorie di chi ha aderito… molti rifiutano e non si arrivano a coprire tutti i progetti già finanziati!

L’Italia è veramente un paese complesso… e difficile 😕

gaolin
Scritto il 5 Gennaio 2012 at 09:48

E’ veramente incredibile come un post come questo, che definire terrificante è poco, non scateni preoccupazioni o perlomeno domande del tipo:

Ma se la produzione manifatturiera continua a sparire dall’Italia cosa succederà?
Ma se il sistema indistriale italiano continuerà a collasserare di cosa vivremo?
Ma se sostituiamo le produzioni interne con le importazioni cosa cambia?
Ma se ecc. ecc. ecc.

Purtroppo
molti anni di diseducazione all’amore per il lavoro che produce beni e servizi utili,
di esaltazione del guadagno facile creando valore sulle ricchezze prodotte da altri,
di educazione invece alla furbizia per guadagbnarsi il pane sulle spalle degli altri, di troppa accettazione del malaffare in tutte le sue forme più o meno perverse,
di quasi commiserazione verso chi invece è onesto e laborioso
ha portato a questa situazione.

Temo che questo “fare lo struzzo” per non volere vedere la realtà, a comincaire dai politici, costerà parecchio alla nostra Italia così complessa. difficile e per il momento ancora beatamente inconsapevole.

lukeof
Scritto il 5 Gennaio 2012 at 09:51

Purtroppo la situazione è tragica e sembra che non abbia nemmeno delle facili vie d’uscita.

Fatemi capire una cosa, quali sarebbero le conseguenze effettive (e se potrebbe essere considerata una soluzione valida) di mettere l’Euro (intero) a currency board con lo Yuan con una quotazione del 30-40% inferiore a quella attuale?
Capisco che il currency board è un attrezzo pericoloso, ma visto che la Cina non ha nessuna intenzione di interrompere il dumping valutario ed essendo essa stessa in currency con il dollaro, non potrebbe essere considerata una strada proponibile e/o fattibile, anche a costo di fre un “braccio di ferro” con i cinesi?
Vorrei capire chi ci guadagna e chi ci perde con una soluzione del genere, chi potrebbe osteggiarla (sia a livello di nazione che di “tipologia di lobby” e chi invece potrebbe beneficiarne.
E’ altresi’ chiaro che trattasi di soluzione drastica e ipotetica, ma mi interesserebbe molto avere il vostro parere.

gaolin
Scritto il 5 Gennaio 2012 at 16:50

lukeof@finanza,

Brevemente elenco alcune mie previsioni:
– Sarebbe uno sconquasso per gli attuali equilibri/squilibri della competizione economica globale
– Sarebbe una catastrofe immane per il sistema manifatturiero cinese ed est asiatico
– L’area euro al suo interno non avrebbe risolto nulla. Il totale disallineamento delle economie dei paesi appartenenti non sarebbe risolto come invece dovrebbe accadere in economie non vincolate da una moneta unica.
– Le multinazionali della distribuzione ne soffrirebbero molto
– L’Italia comunque nel medio termine sarebbe fra i maggiori beneficiari di una tale azione

Il sistema finanziario molto probabilmente perderebbe il controllo della situazione e ci sarebbe un lungo periodo di caos.

Molto meglio, anche se con gravi difficoltà da superare per i vari paesi, una bella dissoluzione dell’euro che, prima avverrà, meglio sarà per tutti.

gainhunter
Scritto il 5 Gennaio 2012 at 18:28

gaolin@finanza,

Mi sembra chiaro, anche dai tuoi post e commenti passati, che ritieni che il ritorno alle valute nazionali, o almeno la divisione in due monete diverse, sia la soluzione migliore per risolvere il problema del decoupling tra Nord Europa e Sud Europa.
Per quanto riguarda l’Italia, dato che c’è un grande disallineamento, su tutti i fronti, tra Nord e Sud, come vedresti l’adozione di due monete diverse, una per il Nord e una per il Sud, visto che le regioni del Nord sono equiparabili alle nazioni del Nord Europa e le regioni del Sud alle nazioni del Sud Europa, sia come economia sia come amministrazione (vedi spesa pubblica/pil regionale) sia come disoccupazione?

P.S.: Ottimi anche i tuoi post, come sempre

paolo41
Scritto il 5 Gennaio 2012 at 19:33

gainhunter,

lukeof@finanza,

sono d’accordo con Gaolin, tanto più che la Germania e altri paesi euro non sono inclini a mettersi in contrasto con la Cina, mettendo a repentaglio le proprie esportazioni.
Il vero problema è l’Europa con i suoi disequilibri degli scambi commerciali; la Germania, con l’euro, gode già di una sottovalutazione di circa il 30% rispetto al vecchio marco..
Fare due monete in Italia, peraltro, sarebbe un casino ingestibile e provocherebbe l’automatica scissione del paese.
Se si deve fare un salto… tanto vale uscire dall’euro. Sperare che sia la Germania a tornare al marco … è un’utopia!!!!

gainhunter
Scritto il 5 Gennaio 2012 at 21:40

paolo41,

Certo, la scissione dell’Italia sarebbe automaticamente legata all’adozione di due monete distinte. Il punto su cui vorrei ragionare è questo (sgombrando la mente da questioni storiche/culturali/valoriali/politiche): siamo sicuri che la gestione di un’eventuale scissione dell’Italia sia molto più difficile rispetto alla gestione di un’eventuale ritorno alla lira, in un mercato così integrato/colluso? Cioè, se gli ostacoli da affrontare per smantellare l’Europa non sono insormontabili, per smantellare l’Italia ci saranno gli stessi ostacoli più altri ostacoli, essendo l’Italia uno stato “completo”; siamo sicuri che gli ostacoli aggiuntivi non siano solo questioni burocratiche e legislative più semplici da superare rispetto ai primi?
Oltre a questo, se lo scopo è che l’Italia vada da sola per potersi slegare dall’Europa e essere libera di contrastare la Cina con le opportune azioni politiche/economiche/monetarie/valutarie, l’Italia dovrebbe dar fondo a tutte le sue risorse per contrastare le conseguenze dell’uscita dall’Euro; la domanda è: potrebbe farlo con il peso di tutte quelle regioni che producono poco e hanno sempre vissuto sulle spalle delle sole 4 regioni virtuose?

Altra questione: per contrastare il dumping l’Italia dovrebbe svalutare o mettere dazi legati alla sottovalutazione dello yuan. Nel primo caso si troverebbe o un aumento spropositato del debito (se lo paga in euro) e dei costi dell’energia o un aumento spropositato dei rendimenti dei titoli da rinnovare (se lo converte in lire). Nel secondo caso le conseguenze sul commercio con l’Europa (primo partner) non sono prevedibili. Mi sembra di capire che le prospettive per l’Italia fuori dall’Europa siano due:
– finire come Grecia e Portogallo (appendici vacanziere dell’Europa che produce)
– l’autarchia
Cosa ne pensate?

gainhunter
Scritto il 5 Gennaio 2012 at 22:01

Ancora: supponendo di rimanere in Europa, quali sono gli ostacoli da superare, a parte la Germania, per far sì che l’Europa adotti misure di contrasto al dumping della Cina?
Se risulta che l’unico ostacolo è la Germania, mentre gli altri paesi sarebbero favorevoli o neutrali, la soluzione è semplice: Italia, Francia e Spagna da sole contano più della Germania.

kry
Scritto il 5 Gennaio 2012 at 23:30

gaolin@finanza,

Il post l’ho appena finito di leggere e la mia riflessione è una conferma: chi dice che per sopravvivere bisogna investire in tecnologia e ricerca parla tanto per dire. Come si fa a competere con nazioni/mercati 20 volte(india e cina) o 5/6 volte (russia e brasile) più grandi del nostro. Dove sono differenti le regole del lavoro(sindacati),i salari,le regole produttive (inquinamento) senza tener conto di incentivi statali e burocratici. Come possiamo pensare che a essere stati fuori dall’euro FORSE e sottolineo FORSE saremmo stati meglio. Io sto pensando alla GB e ai suoi debiti nascosti che sta continuando ad aumentare grazie alla sua banca centrale. Ve li immaginereste gli stipendi dei politici sarebbero probabilmente il doppio di quelli attuali. Di persone amanti e appassionate per il lavoro ce n’erano molte,alla fine ti stanchi nel vedere persone che occupano posti che non dovrebbero o persone che percepiscono stipendi immeritati. Non può esistere CONCORRENZA se le regole non sono uguali o simili per tutti.

gaolin
Scritto il 7 Gennaio 2012 at 10:23

Questa replica giunge con un certo ritardo ma spero che ugualmente stimoli il dibattito sull’argomento che ostinatamente i governi dei vari paesi UE evitano ufficialmente di affrontare, per il momento. Cioè la dissoluzione dell’Euro.
Questa creatura, voluta dal sistema finanziario, si è rivelata una vera e propria trappola mortale per molti paesi. L’aver pensato di poter mettere insieme in un’unica moneta nazioni con economie e culture tanto diverse si è rivelato un errore colossale.
Lo sta a dimostrare il fatto che nessuno si è sognato di celebrarne il 10° anniversario, come invece hanno fatto i cinesi con il loro THE 10th ANIVERSARY OF CHINA WTO MEMBERSHIP, celebrato in pompa magna lo scorso 11 dicembre 2011. Fatto dalle nostre parti rigorosamente ignorato.
Infatti ci sarebbe da fare un tale resoconto di disfatte compiute e incombenti da provocare vere e proprie rivolte popolari.
L’EUR è stato voluto e imposto dal sistema finanziario i cui interessi sono il più delle volte sostanzialmente diversi, se non divergenti, da quelli dell’economia reale. Ormai il giusto lucro che le banche ricavano dallo spread fra impieghi e depositi è un business marginale per il sistema finanziario che conta. Molti più soldi si possono fare con gli strumenti più o meno creativi che, specie le grandi banche, utilizzano a piene mani per sottrarre dalle tasche di chi lavora sul serio ogni possibile risorsa.
L’ultimo, il LTRO è un vero e proprio scandalo. L’essere riusciti a metterlo in atto come un inevitabile provvedimento di salvezza per le disastrate finanze degli stati la dice lunga di quale potere ormai abbiano assunto gli interessi della finanza su quelli di tutti gli altri. Il paradosso è che riescono a convincere tutti, o quasi, che non ci sono alternative, che qualsiasi altra cosa sarebbe ancora peggio.
Il guaio è che i sistemi finanziari dei vari paesi sono così interconnessi che una soluzione semplice non c’è, se non quella del collasso totale e globale. Il che incute timori, paure e rischi che nessuno si arrischia ad affrontare.
Ad ogni modo quanto evidenzia Gainhunter sul disallineamento fra nord e sud Italia la dice tutta su quanto sia difficile, anzi impossibile, uniformare aree economiche tanto diverse socio culturalmente. Metterle insieme alla fine paralizza tutti e va a danno anche di coloro che avrebbero bisogno di un’altra moneta, sufficientemente svalutata, per avviare un processo di sviluppo della propria economia reale, che alla fine è la sola che crea ricchezza vera da distribuire più o meno equamente a tutti.
Riguardo il convincimento di Kry che teme che piccoli paesi non possano competere nello scacchiere mondiale non sono d’accordo. Lo dimostrano paesi piccoli come Korea, Taiwan ma anche tanti altri. Loro però gestiscono il valore della propria moneta. Hanno capito che il tasso di cambio è il fattore decisivo per garantire la competitività della loro economia e stanno attentissimi a non perderne il controllo e a non assumere vincoli esterni, come a suo tempo malauguratamente fecero.
La CINA questo lo ha capito talmente bene che ne ha fatto la chiave del suo incredibile sviluppo.
Ovviamente non basta.

Serve rieducarsi all’amore per il lavoro vero, ovvero quello che produce beni e servizi utili, tutelandolo come un bene prezioso da salvaguardare ad ogni costo.

Servirebbe creare difficoltà a chi vuole il guadagno facile, magari sulle spalle degli altri e non viceversa.

Serve rivalutare anzi onorare in ogni dove le persone che nella vita si impegnano in modo onesto e laborioso

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