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Buon Compleanno EURO! E’ tutta colpa sua, oppure no?
Per certi versi sembra una vita fa, per altri invece si ha la percezione di un progetto nato da poco e profondamente incompleto. Forse entrambe le definizioni sono corrette.
Era il giorno 1 gennaio 2002. Ed è proprio in quel 1 gennaio che nasce l’Euro, o meglio, l’Euro era già nato nel 1999 ma in quella data il progetto diventa concreto e le monete in Euro iniziano a circolare.
Quanto cose sono successe da allora… e come sono cambiati i prezzi… Guardate qui.
(…) E’ lunga la lista dei beni e servizi che negli ultimi 15 anni, dall’introduzione dell’euro avvenuta il primo gennaio 2002, hanno visto salire il proprio prezzo. Ma c’è anche chi ha assistito al fenomeno inverso, in particolare tutto il comparto elettronico, dai telefoni alle macchine fotografiche. (…) E’ da quella data che l’euro è sul banco degli imputati come principale motivo della perdita di potere d’acquisto degli italiani, peggiorata dalla crisi economica che ha acuito le difficoltà del nostro Paese. Critiche che sono scemate nell’ultimo periodo, complice la deflazione che ha colpito il Vecchio Continente come ultimo effetto proprio della crisi economica mondiale. (ANSA)
Diamo a Cesare quel che è di Cesare, e quindi è giusto non piangersi troppo addosso, anche se a volte vien voglia di farlo. Poi è chiaro che nessuno può dire con certezza come sarebbe stata l’Italia SENZA Euro e dove saremmo oggi. Come pure rimane difficile disegnare un futuro senza Euro ma con un’economia sostenibile. E qui si aprono le più svariate ipotesi.
Certo è che ognuno (si intende i vari paesi) deve anche essere responsabile delle proprie azioni. Generalizzare non va certo bene. L’Italia in tutti questi anni ha perso delle occasioni importanti per “rimettersi in careggiata”. Invece il nostro debito pubblico non ha fatto altro ce salire ed oggi ci troviamo in una situazione di grande debolezza, soprattutto quando si discute coi paesi dell’Eurozona di solidità e sostenibilità del nostro debito.
Ma state pur certi che le diseguaglianze in Eurozona non mancano di certo. Ad esempio, lo sapevate che il 10% della popolazione dell’Eurozona possiede più della metà della ricchezza di tutta l’area?
(…)The median household in the euro area had a net wealth of 104,100 euros ($108,800) in 2014, about a 10th lower than in 2010, according to the survey. The richest 10 percent had 496,000 euros and the poorest 5 percent had a negative net wealth, with liabilities wiping out assets. The Gini coefficient, a statistical measure of inequality, rose to 68.5 from 68.0. A reading of 100 would signify maximum inequality.(…) (BBG)
Come vedete il progetto Euro è stato gestito molto male, con tante lacune che oggi non sono più giustificabili. Ecco perchè è necessaria una vera rivoluzione con nuovi trattati, nuovi accordi, nuove regole.
Quello che invece voglio tornare a proporvi è uno dei più importanti grafici livello macroeconomico per il nostro paese(secondo me) e ci illustra che, forse, non è solo colpa dell’Euro se l’Italia si trova in queste condizioni. Non possiamo certo dire che il potere di acquisto degli italiani sia salito più di tanto, non vi pare? Allora guardate qui sotto. Dal 1999, anno di nascita dell’Euro come valuta contabile, il costo del lavoro italiano, confrontato con quello tedesco, è diventato veramente impresentabile. Colpa sempre dell’Euro? Oppure ci sono problemi strutturali ben più seri che arenano la crescita del nostro paese, condannandolo ad un quadro di mercato sempre anemico? In altri termini, vi rendete conto che dal 1999 il costo del lavoro, in Italia, fa +46%, il tutto senza aumentare il nostro potere di acquisto, mentre nella solita Germania fa “solo” +21%? Vi immaginate cosa significa questo per contribuenti ed imprese?
Inoltre la sperequazione italiana regna anche a causa di forti iniquità a livello retributivo.
(…) La prima indagine Istat sulla variabilità delle retribuzioni: tra gli stipendi più grassi e quelli più magri “ballano” almeno 12,7 euro l’ora. Gli stranieri guadagnano il 18,6% in meno. La retribuzione cresce con la laurea, ma anche il differenziale tra uomini e donne. Gli stipendi migliori nella finanza, la beffa dei tempi determinati: aggiungono alla precarietà un trattamento economico di sfavore (…) [Rep]
O ancora le differenza tra uomini e donne…
(…) Resta urgente il tema della differenza di paga tra uomini e donne: le retribuzioni orarie di queste ultime sono di 13 euro, contro i 14,8 degli uomini (-12,2% il differenziale). La forbice si allarga laddove gli stipendi sono più alti e allora la frattura nell’ambito delle attività finanziarie raggiunge il suo picco: tra donne e uomini ci sono 28 euro di differenza ogni 100 di paga (…)
Oppure il rapporto tra retribuzioni medie orarie tra Nord e Sud…
E in questo ambito, quanto ha a che fare l’arrivo dell’Euro? Oppure anche qui ci troviamo davanti a problemi strutturali NOSTRI che poi, con l’Euro, hanno vissuto un loro corso?
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Ciao mitico!
Intanto buon anno e….grazie ancora per la botta di colesterolo che mi hai regalato! Eccellente come sempre!!!! 😀
aggiungo qualche chicca che pubblica oggi QN:
caffè al bar: da 900 Lire a 0,9/1,2 euro
pizza margherita: da 6500 lire a 7,5 euro
benzina: da 2000 lire a 1,5 euro
televisori: da 6,5 mln lire a 500 euro (elettronica uno dei pochi settori in calo)
Ricordiamoci che un operaio con un netto mensile di 1,5 Mln lire arrivava a fine mese e risparmiava qualcosina; oggi con 1200 euro mensile non arriva alla fine del mese ed è vicino alla soglia di povertà.
Naturalmente il discorso, come dice Draziz, è molto complesso……… ma l’euro e l’EU hanno grosse colpe. Se pensiamo che di cambiare strategie non ne parlano neppure e anzi la burocrazia diventa sempre più opprimente, il trend sarà sempre più negativo!!!!!
Fino alla rottura !!!!!
Costo del lavoro:
1. comprende anche lo stipendio, ovviamente, e sappiamo tutti cos’è il dumping salariale attuato dalla Germania in contrasto con il trattato di Maastricht, quindi è OVVIO che c’è una differenza abissale con la Germania
2. tant’è vero che rispetto agli altri paesi la differenza non è così ampia:
3. vale la pena leggersi anche il punto di vista opposto di Bagnai:
http://goofynomics.blogspot.it/2012/03/cosa-sapete-della-produttivita.html
Come sarebbe stata l’Italia fuori dall’euro non lo so, se non ci fosse stato l’euro invece sono certo che l’Italia sarebbe messa molto meglio di oggi, per un motivo semplicissimo: gli effetti nefasti sulle economie dei paesi membri tranne Germania e Olanda delle riforme del lavoro della Germania non ci sarebbero stati perchè l’aumento della produttività a scapito del reddito di una porzione della popolazione tedesca non avrebbe provocato l’aumento delle esportazioni e le relative conseguenze grazie al freno naturale dato dal cambio.
Sulla sperequità delle retribuzioni, ricordo che i contratti Hartz prevedono anche 3 euro all’ora, tant’è vero che poi ci sono i sussidi dello stato (aiuto di stato alle imprese mascherato da riforma del lavoro = altra violazione), e ricordo che la distribuzione della ricchezza in Germania è ancora peggio che in Italia.
Sul debito pubblico. è vero che è aumentato ma ricordo che in rapporto con il pil tra il 1994 e il 2007 era calato dal 120% al 105% mentre gli altri paesi europei lo aumentavano allegramente, sfruttando i tassi bassi per indebitarsi e spingere l’economia. Quanto successo dopo è ovviamente l’effetto della crisi, e anche l’effetto del salvataggio delle banche tedesche, inglesi, francesi che l’Italia ha contribuito a salvare pur non avendo problemi da asset tossici (le NPL sono una conseguenza della crisi, e ricordo che i Tremonti bonds non erano stati utilizzati per scelta delle banche).
Si può affermare con certezza che il progetto euro non ha funzionato se l’obiettivo era produrre convergenza economica; si può affermare con certezza che le regole previste non sono state rispettate prima di tutto dalla Germania; che sia stato gestito male è abbastanza evidente; io direi anche che la convergenza economica non era e non è realizzabile, e ne abbiamo l’esempio non solo con l’Italia (differenze Nord-Sud) ma anche con la Germania (l’unificazione è stata un fallimento se andiamo a vedere i tassi di spopolamento dei lander dell’Est), e quindi se non si riesce a uniformare uno stato di 60/80 milioni di abitanti, come si può pensare di uniformare un’area di 500 milioni di abitanti?
Sulla perdita di potere di acquisto, attenzione alla “bias” perchè si tende a ricordare gli aumenti (e anche le diminuzioni più evidenti) ma si dimenticano quei beni che hanno invece seguito un’inflazione “normale”. Esempio:
1995 lire 1995 euro 2016 Infl annua
Prosc. Parma 42000 21.69 38.90 0.028
Prosc. cotto 22000 11.36 24.80 0.038
Pane 4500 2.32 3.00 0.012
Inoltre anche i Francesi si lamentano dell'”inflazione da euro”.
Conclusione: è tutta colpa dell’euro? No, ma GRAN PARTE sì, e i motivi riportati nel post non provano in alcun modo le colpe dell’Italia.
P.S.: Scritto al volo e di fretta, scusate imprecisioni e mancanza di fonti (presenti comunque in commenti di altri post fatti in questi anni).
sinceramente non capisco…Il differenziale tra il costo del lavoro per l’impresa e il netto percepito dal lavoratore è dovuto ai contributi e alle imposte. Non si può volere il tutto e il contrario di tutto. Il carico fiscale in questi ultimi anni è stato spostato sui redditi medio bassi, con diminuizione dell’aliquota più elevata dal 51 al 43,ed aumento, delle aliquote intermedie. Non sto a citare le varie aliquote, chiunque può fare una verifica consultando le istruzioni delle dichiarazioni dei redditi degli ultimi 10 anni disponibili sul sito dell’Agenzia delle Entrate, oltre che prendersi pure la briga di andare a verificare i governi in carica nella data dei cambiamenti per vedere i partiti responsabili di tali scelte. Ovviamente se si caricano di imposte i lavoratori, diminuendo le imposte alla dirigenza media ed elevata, il costo del lavoro aumenta. Coloro che dispongono dei redditi più elevati, cioè i dirigenti di azienda non possono pretendere di essere detassati caricando il peso fiscale sui lavoratori, e poi che questi ultimi non vedano diminuito il potere d’acquisto, siccome il netto percepito ovviamente si abbassa. lo stesso dicasi per i contributi. Dopo la riforma Dini è stato istituito l’accantonamento del 33% per i lavoratori pubblici e privati: bisogna che lo paghino, sia i lavoratori che le imprese che le istituzioni pubbliche per i loro dipendenti, oltre che ovviamente i dipendenti stessi. La moglie piena e la botte ubriaca, come noto non esistono in concomitanza.
refuso..la botte piena e la moglie ubriaca…ovviamente
perplessa@finanza,
Alcune cose che dice Bagnai le condiviso essendo in linea con il mio pensiero, apprezzo le sue analisi che mi hanno aperto un varco, ma è spesso estremamente prolisso, scrive a volte papiri lunghi eterni per esprimere un concetto che potrebbe essere sintetizzato per una migliore diffusione, in questo caso non ce l’ho potuta fare a leggere fino in fondo. mi sono chiesta più volte perché non sia più conciso, pare abbia pure una sorta di autocompiacimento a infiorire il discorso con varie divagazioni invece di stringere
gainhunter,
aggiungo, se poi si aumentano le imposte di consumo come richiesto nella famosa lettera Draghi Trichet, ovvio che questo si ripercuote sul potere d’acquisto dei redditi medio bassi e non solamente questo è avvenuto in Italia, Nel grafico aggiungo mancano i lavoratori della Pa fermi da anni e idem non solo in Italia
perplessa@finanza,
Concordo su Bagnai, penso che la sua estrema prolissità sia in parte una sua caratteristica personale (frequente tra gli accademici) e in parte sia dovuta al fatto che per lui sono concetti ovvi e ripetuti innumerevoli volte, e allora divaga e a volte schernisce le ideologie contrarie alla sua, forte dei dati che presenta. Probabilmente ci sono articoli più sintetici sul suo blog, devo dire che conoscendo la sua posizione in merito (avendola letta in passato) ho fatto una ricerca veloce per recuperarla e ho dato una lettura molto rapida dell’articolo, e ho messo il link giusto per “imboccare” il lettore che non vuole andare a cercarsi i suoi articoli sull’argomento CLUP.
Il senso è che un CLUP basso non è indice di produttività nel senso di efficienza nella produzione.
Sempre a proposito di costo del lavoro (o CLUP), interessante questo passaggio:
“Clup: un confronto possibile?
Vi sono molte perplessita’ al riguardo. La maggior parte degli economisti ritiene che i confronti di produttivita’ fra sistemi economici siano scarsamente significativi perché influenzati dai cambi e dalla diversa struttura delle quantita’ e dei prezzi relativi tra Paesi.
Nello specifico, la fonte dei dati Ocse sulla produttivita’ del lavoro e’ il Bureau of Labour Statistics degli Stati Uniti. Ebbene, alla pubblicazione dei dati, il Bureau ha premesso in copertina e a caratteri ben visibili la seguente informazione: “questi dati non debbono essere utilizzati per confronti internazionali perché:
1. la produzione manifatturiera e’ misurata nella valuta di ciascun Paese e non sono disponibili fattori di conversione affidabili per convertire i dati in una unita’ di misura comune;
2. vi sono alcune differenze fra Paesi nelle definizioni e nei concetti riguardanti i dati elementari. Queste differenze potrebbero avere effetti sostanziali sui confronti”.
Evidentemente; i ricercatori dell’Ocse non hanno tenuto conto di questo avvertimento”
http://www.sindacalmente.org/sites/www.sindacalmente.org/files/cose_il_clup_nel_1999.doc
A parte il punto 1 che per l’UEM non si applica, il punto 2 sì, e il “disclaimer” del BLS viene puntualmente ignorato.
Un altro articolo in merito che “smonta” il dato aggregato del CLUP:
http://www.lavoce.info/archives/8152/leuropa-disunita-di-salari-e-produttivita/
Quindi l’argomento è molto più complesso e articolato di un semplice “ecco, guardate l’aumento del costo del lavoro in Italia rispetto alla Germania”; l’Italia di punti deboli ne ha tantissimi, ma se c’è una cosa in cui il fallimento del “progetto euro” si è manifestato in tutta la sua grandezza è proprio nell’andamento della componente salari del costo del lavoro e nelle sue conseguenze.
E se c’è una cosa difficile da quantificare, capire e definire è proprio la competitività.
mi ha colpito un passo che incollo qua “Ma in Germania ciò non accade per un complesso di cause interrelate: una politica di crescita che comprime la domanda interna, una politica dei redditi fortemente punitiva verso i salariati (con buona pace di chi pensa il contrario), e un bel po’ di disoccupazione nascosta” e mi chiedo, se è così, come facciano i tedeschi ad accettare di prenderla in quel posto senza fiatare, come giustifichi il governo di fronte agli elettori certe scelte, e cosa si dica in quel paese.una volta in vacanza in un posto remoto, durante la crisi dell’euro ho conosciuto un tedesco, un autotrasportatore, (del resto quelle sono zone frequentate da backpackers, mica da dirigenti d’azienda).dovevamo aspettare un autobus che sarebbe passato dopo un paio d’ore, gli chiesi cosa pensasse la gente in Germania della crisi dell’euro, mi rispose che lui aveva un pezzo di terra che si teneva stretto, e i suoi conoscenti pensavano fosse un imbecille, ma che se in futuro se la fosse vista brutta almeno avrebbe potuto coltivarla e mangiare. ovviamente il tizio non fa testo, ma mi mette a fuoco maggiormente la frase di Bagnai virgolettata (con buona pace di chi pensa il contrario). Bagnai cita del protettorato germanico, e tale protettorato mi irrita fuori misura, ma ha citato anche quel tema.Allora la competitività è un problema o è una scelta politica precisa generale europea di compressione dei salari che fa comodo a chi i salari li corrisponde? siccome non essendo un accademico non ho necessità di giustificare il mio pensiero in maniera scientifica e meticolosa propendo per quest’ultima ipotesi e forse per questo mi annoia l’argomentazione finale che non sono riuscita a leggere, della quale si serve Bagnai per argomentare le sue tesi.
gainhunter,
Può essere una serie di concause: uno sbilanciamento di poteri tra industria e sindacati, la corruzione dei sindacati, una questione di minoranza (i lavoratori con un buon stipendio poco toccato dalla perdita di potere d’acquisto sono molti di più di quelli con stipendio ipercompresso), il fatto che tramite i sussidi pubblici lo stipendio viene alzato (mentre il costo del lavoro per l’impresa scende il bilancio pubblico peggiora, come evidente dai dati), l’aumento della concorrenza nell’offerta di lavoro (i lavoratori dell’Est), una questione culturale (la paura endemica dell’inflazione che porta a accettare una crescita minore degli stipendi pur di evitare il “mostro”), ma anche aspetti positivi che rendono accettabile una già poco evidente in quanto progressiva perdita di potere di acquisto: l’integrazione scuola-lavoro che porta all’azienda manodopera a basso costo in cambio di esperienza per lo studente, la possibilità di lavorare qualche ora o giorno in attesa di un full time invece di stare a casa a non far nulla, la percezione di una crescita economica che crea speranza nel futuro (sopportare oggi per godere domani), la “scusa” dei costi dell’unificazione.
Tutti fattori che in uno stato sono validi e in un altro no: ecco perchè l’euro non può funzionare, perchè non può “appiattire” gli stati membri.
Suggerisco:
http://www.bertelsmann-stiftung.de/fileadmin/files/BSt/Publikationen/GrauePublikationen/Studie_NW_Increasing_Wage_Inequality_2015.pdf
– riunificazione a pag. 13
– si può notare l’aumento del 20% nella “wage inequality” tra l’85 e il 2005 in confronto al 10-12% di UK, US, Canada (e i minijobs sono partiti nel 2004-2005):
– riduzione quota degli accordi collettivi a pag. 25
– conclusioni da pag. 34: altri fattori sono il settore delle esportazioni e le differenze in skill
Per capire l’unione monetaria, consiglio video gioele dix su targhetta finestrino treno, semplice e chiaro.
https://www.youtube.com/watch?v=8xuAw0_6qwE
che aiutano la decisione di alimentare i profitti
gainhunter: Può essere una serie di concause:
e alla fine facendo una sintesi spicciola, perché uno stronzo qualsiasi deve avere uno stipendio di 20 o 30 milioni di euro, che ci fa? se li lecca la sera?
perplessa@finanza,
stasera sono di pessimo umore sono 24 ore che a casa mia manca l’acqua, come in una bella fetta della mia pseudo civile città Bologna, in un paese che si si ritiene fra quelli civili. intollerabile una regressione del genere con Hera che da 24 ore prende per i fondelli i cittadini procrastinando il disservizio di ora in ora. questo grazie al mito (mito?)della produttività, tira di qua, tira di là, per far guadagnare di più qualcun altro, alla fine non si è in grado di garantire un servizio essenziale come quello dell’erogazione dell’acqua. tutti i servizi di somministrazione dei servizi fanno schifo, ma con questa qua abbiamo raggiunto il culmine. le ore saranno se va bene 36, siccome l’operatore mi ha detto che di notte non lavorano, alla faccia della segreteria automatica che ti risponde che l’acqua sarà erogata alle 24. e l’operatore chi è?un tizio che non sa neppure come è fatta la mappa di Bologna, e non sa un cazzo, tanto meno dove realmente si sia originato il guasto, ti risponde quello che legge in un foglietto che ha scritto un altro, sotto dettatura di un altro, sotto dettatura di un altro ancora.già è qualcosa che risponde dalla Romagna e parla italiano, invece che dall’Albania.
Buon Anno DT!
Interessante, come hai fatto notare, il fatto che il costo del lavoro, nota componente penalizzante del comparto produttivo Italiano in quanto a zavorra marzatamente contro la competitività, sia cresciuto del 46% mentre il potere di acquisto non solo non è aumentato ma è tornato addirittura indietro, se non erro stava salendo e poi è ritornato più o meno in area 1999…
E’ evidentissimo che il problema fa parte di una situazione STRUTTURALE NOSTRA, denunciata da più anni e da più parti ma che non si cambia perchè sulla componente costo del lavoro campano i più disparati soggetti, i soliti noti…
Al di là dell’uso che si fa dei versamenti dei contributi sociali, utilizzati in modo trasversale da tutte le gestioni che pescano nel calderone e per mantenere anche pensioni immeritate assegnate con il vecchio sistema figurativo, devi pensare al semplice costo di gestione di ogni posizione individuale attiva ed anche nel momento in cui avviene una cessazione per almeno un altro anno.
Il costo di cedolini mensili, dichiarazioni ex CUD/Unico e 770, assegni famigliari, permessi e malattia che ogni azienda sostiene in ogni esercizio non è indifferente ed entra a far parte di quella percentuale che hai esposto.
Ma guarda caso rientra pure nella formazione del PIL perchè la maggior parte sono servizi erogati da Studi di Consulenza del lavoro.
Perchè pensi che che la nuova geniale trovata del cosiddetto Spesometro trimestrale, al posto di quello annuale, non andrà ad aumentare il costo delle consulenze dei Commercialisti?
Uno strano modo di aumentare la base imponibile vero?
Semplicemente un trasferimento di ricchezza, sottoposta a IVA e tassazione, da un settore ad un altro.
Si crea PIL, nel settore dei servizi, e si aumentano i costi delle imprese, ma senza creare altri beni vendibili per compensare l’esborso.
Se poi pensi che in Italia abbiamo un’imposta, l’IRAP, che attua un prelievo in base ad elementi che affidano arbitrariamente una “ricchezza” ad una impresa, invece che in base alla normale differenza tra ricavi e costi (e quindi anche se sei in perdita) hai già chiaro quale livello di degrado sia stato raggiunto nel nostro Paesello.
Ci si meraviglia che si assista a licenziamenti continui e chiusura di imprese o nel migliore dei casi alla loro acquisizione da capitali stranieri?
Dato il permanere degli elementi di cui sopra, ho la certezza (una volta era un’impressione…) che si voglia deliberatamente distruggere il tessuto economico del Paese.
Hai mai visto un parassita preoccuparsi del benessere dell’essere che infesta?
Io no.