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Austerity: Molto rigore per nulla
Guest Post by Antala17: Vivere al di sotto delle proprie possibilità
“Primo saignare, deinde purgare, postea clysterium donare”.
Così rispondeva sistematicamente l‟austero Argante molièriano alla commissione esaminante.
Il paziente non dà a vedere alcun segnale di miglioramento? “Resaignare, repurgare, reclysterare!”. La parola d‟ordine che da qualche tempo a questa parte ha investito le economie dei Paesi avanzati, sia di qua che di là dall‟Atlantico, come noto, è:
“Austerità!”.
Un’insieme di misure improntate a tutt’altro che immaginari sacrifici, anche parecchio invasivi, a cui i governanti di (quasi) tutti i Paesi stanno assoggettando tutti (o quasi) i connazionali (in particolare quelli appartenenti alle fasce meno abbienti). Il tutto finalizzato al ripristino di una maggior sostenibilità dei debiti pubblici e della correlata preservazione di un minimo grado di solvibilità dei sistemi finanziari.
Trattasi indubitabilmente di una sorta di indirizzo terapeutico che nell‟immediato presenta evidenti spiacevoli inconvenienti collaterali di difficile accettazione. Quello della Grecia, che potrebbe rivelarsi un caso tutt‟altro che isolato, bensì precursore di un “filone” prossimo a venire, ne è un esempio lampante.
Ne corrisponderanno a fronte, più in là nel tempo, com’è auspicabile, benefici di portata sufficientemente risolutiva? Oppure sono tutte privazioni e patimenti inutili, perché siffatti rimedi si riveleranno non idonei in rapporto alla gravità della patologia e si dovrà pertanto comunque, prima o poi, ricorrere a misure più drastiche?
Se si volge lo sguardo addietro nel tempo spunti per dare risposta agli interrogativi sollevati se ne trovano in abbondanza. La problematica dell’eccessivo indebitamento pubblico – ma non solo pubblico, anche privato, quindi sistemico – che attanaglia oggigiorno le economie dei Paesi avanzati è infatti tutt’altro che una situazione senza precedenti. La storia è costellata da una vastissima casistica relativa a ad episodi di “crisi finanziarie” (o, meglio sarebbe dire, di “crisi economiche” originate da cause “finanziarie”).
Quali dunque le exit-strategies a cui in passato si è fatto ricorso per rimediare a situazioni analoghe di eccessivo (patologico) livello di indebitamento sistemico? E quali i risultati conseguiti?
Un robusto insieme di indicazioni al riguardo è contenuto in una indagine svolta da un Gruppo di ricercatori del Mc Kinsey Global Institute, i cui risultati sono riassunti in una pubblicazione (per la verità non tanto recentissima: gennaio 2010) dal titolo “Debt and Deleveraging: The Global Credit Bubble and its Economic Consequences”.
Nel lavoro citato è stato passato in rassegna il periodo che va dal 1930 ai giorni nostri alla ricerca di “casi di deleveraging” di sistema (con riferimento quindi al debito anche privato) da poter analizzare (le condizioni fissate per poter essere assunto come “valido” caso di “deleveraging” sono state che si sia avuto un calo di almeno il 10% del rapporto Debito(Aggregato)/Pil per almeno 3 anni consecutivi oppure un riduzione del debito di oltre il 10%).
Limitatamente al periodo post-bellico, l‟osservazione ha consentito di identificare ben 44 casi di deleveraging relativi a 35 diversi Paesi.
Analizzando i meccanismi alla base del processo intervenuto a determinare il rientro dalla situazione di eccesivo grado di indebitamento è stato possibile ricondurre i 44 casi a 4 diverse tipologie con riferimento al metodo su cui s‟è fatto essenzialmente leva per attuare il deleveraging.
Un ventaglio di opzioni strategiche utilmente a disposizione a ben vedere tutt‟altro che ampio, riconducibile ad alternative d‟azione terminologicamente così contrassegnate:
– “belt-tightening”, che tradotto in moneta corrente sta a significare “austerità”;
– “default”, dal significato del tutto intuitivo (semmai può essere proposto nella versione addolcita di “ristrutturazione del debito”);
– iper-inflazione (idem come sopra).
Vi sarebbe una ulteriore quarta tipologia di modalità d‟uscita dalla crisi. In 3 casi si sono infatti affermate soluzioni di tipo definito come “Growing out of Debt”; cioè, in buona sostanza, di risanamenti riconducibili all‟intervento di imponderabili eventi favorevoli di forte impatto (es., scoppio di crisi petrolifere che hanno consentito forti, inattesi aumenti delle entrate per il Paese produttore). Dopo aver opportunamente depennato dal novero simili soluzioni di natura “miracolistica”, i 41 casi rimanenti sono stati fatti oggetto di opportuna elaborazione statistica.
Più esattamente si è proceduto a collocarli su di un asse cartesiano in relazione alla combinazione presentata fra il rapporto di indebitamento all‟inizio del periodo di deleveraging (“grado di indebitamento in origine”, asse delle ordinate) e la riduzione ottenuta del rapporto di indebitamento stesso al termine del periodo di deleveraging (“grado di rientro dall‟indebitamento”, asse delle ascisse) (vedere Fig. A).
Se si procede a bipartire l‟area su cui trovano collocazione i casi considerati tracciando una curva iperbolica è possibile ottenere, come si può constatare, una netta separazione dei casi di deleveraging da “default” (colore rosso) e/o “high inflation” (giallo) rispetto a quelli da “belt-tightening” (azzurro).
Il solo caso di deleveraging da austerity che andrebbe a collocarsi a destra dell‟iperbole sarebbe quello britannico: un episodio però durato ben 33 anni ed iniziato nell‟immediatezza della fine del conflitto (allorquando il Prodotto Lordo era ai minimi e poteva giovarsi delle immani prospettive di crescita offerte dalla ricostruzione).
La curva che separa i due universi considerati sembrerebbe costituire una sorta di soglia di “frontiera dell‟efficacia delle terapie di disindebitamento da austerità”.
I casi storici rinvenuti starebbero dunque a testimoniare quella che parrebbe una assoluta inadeguatezza delle terapie di tipo “belt-tightening” a risolvere i casi di “grave” dissesto dei conti (e la situazione complessiva di dissesto attuale ci sembra proprio debba essere contrassegnata con quest‟ultima aggettivazione).
Trattasi di una regola ancora valida che troverà applicazione anche alle vicissitudine prossime venture dei Paesi avanzati dalle contabilità nazionali afflitte da eccesso di indebitamento?
Il dato riguardante il “grado di indebitamento” (ad una data relativamente recente, metà 2009) delle 10 (più importanti) economie “avanzate” e di 4 (le più importanti) economie “emergenti”, è reperibile nella medesima ricerca sinora commentata del McKinsey Institute (quindi del tutto omogeneo con quelli utilizzati per i casi considerati addietro). A questi si è ritenuto di aggiungere Grecia, Portogallo ed Irlanda (il dato è stato stimato a fine 2010, quindi non omogeneo).
I 17 Paesi in esame sono stati posizionati in prossimità di quella che si è definita la curva della “frontiera di efficacia delle terapie di deleveraging da austerity” (Fig. B).
Come si può constatare solo i 4 Paesi dell’area Bric presentano potenzialità di disindebitamento di apprezzabile portata relativa (esigenza che peraltro per gli interessati si reputa essere di poca attualità) ricorrendo a misure di “austerità”.
Parecchio limitata al contrario la potenzialità in parola per quanto concerne gli altri Paesi avanzati.
Il Canada sarebbe quello messo meno peggio (con uno spazio del 25% del rapporto Total Debt/Gdp), seguito a ruota (chi se lo sarebbe mai aspettato) dalla Grecia (a conferma che coloro che la considerano virtualmente defaultata si sbagliano di grosso).
All‟estremo opposto Giappone, Irlanda e Regno Unito (con margini di manovra attorno al 10%). Un aggiornamento con dati più recenti probabilmente lascerebbe emergere un quadro ancor meno incoraggiante.
Se le indicazioni rivenienti dai casi storici analizzati si dovessero alla fine rivelare attendibili? Cioè, se il problema dell’eccesso di indebitamento dovesse permanere irrisolto a lungo – nel frattempo, vien lecito chiedersi, quanti buchi si dovranno aggiungere nella cintura? -, quale l’alternativa terapeutica alla quale ci si dovrà rassegnare?
Anche in questo caso il rifarsi ai precedenti storici può essere di utilità a fini premonitori. Risalendo parecchio addietro nel tempo, ad esempio, nell’Antico Testamento si trovano tracce delle metodologie di deleveraging più in voga all‟epoca.
“Alla fine di ogni settimo anno farai la remissione. Ogni creditore rimetta ciò che avrà prestato al suo prossimo; non lo riscuota più dal suo prossimo, né dal suo fratello, quando sia proclamato l’anno della remissione in onore del Signore” (Deuteronomio 15).
In “moneta corrente”, cioè, una bella “ristrutturazione del debito” (inclusiva di parziale cancellazione). Il tutto molto probabilmente in un bel contesto (iper)inflazionistico (se non stagflazionistico) a corroborare il processo di riequilibrio contabile. In attesa di poter prendere atto al di là di ogni dubbio (ragionevole e non) che la strategia dell‟austerità non potrà mai funzionare a sufficienza?
Re-ces-sio-ne.
Si lasci correre per un attimo l‟immaginazione.
Apparati produttivi largamente inutilizzati, gradualmente abbandonati e lasciati ad arrugginire; infrastrutture che non vengono fatte oggetto di manutenzione e che cadono a pezzi; case disabitate, uffici sfitti, capannoni deserti.
Servizi sociali sempre meno adeguati e sempre più inefficienti. Buche nelle strade; calcinacci che cadono sulla testa degli studenti; reparti di Pronto Soccorso con la fila che arriva fuori dalla porta; drastico rallentamento del turn-over della flotta elicotteristica di Stato; etc. etc. Attivi bancari di riflesso sempre più intossicati e sempre meno esigibili (niente paura! Ci pensa Basilea 3).
Corsi azionari sempre più depressi.
Una forza lavoro in ampia e patologica misura non occupata; una disoccupazione giovanile che si è evidentemente deciso di fronteggiare (Totò docet) facendo molto semplicemente leva sul rimedio della “vecchiaia”, in un contesto socio-economico improntato a progressivo degrado che lascia sempre più adito a forme di crescente malessere e relativo incattivimento sociale.
Una situazione, in definitiva ed estrema sintesi, di madornale spreco di risorse. Un livello generale di vita, quindi, (ben) al di sotto delle potenzialità. Vien da porsi (retoricamente) un interrogativo spontaneo: è il caso di tutto sto rigore al solo fine di rimandare sine die una evenienza dalla talmente evidente manifesta ineluttabilità, in difesa di un mantenimento meramente formale del potere d‟acquisto di attività finanziarie virtualmente già svalutate?
Antala 17
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occhio che qualcuno potrebbe interpretarlo come un aumento del pil pro capite…
Quello a cui dobbiamo prestare attenzione è che non ci portino verso il “deleveraging classico”: ‘na bella guerra con distruzione di “capitale fisso” e “capitale mobile”. Dato che noi, qualsiasi ruolo possiamo ricoprire nel processo di produzione, siamo la parte “mobile”, temo molto questo particolare tipo di “clysterium” che poi “storicamente parlando” sarebbe l’ennesimo “reclysterium”. Per poi ricominciare daccapo…
…il problema è che per la Grecia sono necessari tutti e tre gli interventi: uscire dall’euro e lasciar correre l’inflazione, fare una sostanziale ristrutturazione del debito (default pesante) e …stringere la cinghia per diversi anni…. Poi vedremo chi va a ruota!!!!!!
proprio bello.
il salvataggio greco ormai è chiaro essere stato il salvataggio delle banche.