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FOCUS: Italia e la Produttività che manca

Scritto il alle 09:20 da Danilo DT

Nelle ultime settimane in Italia si è parlato moltissimo di produttività, sull’onda del “Decreto Sviluppo” approvato dal governo e dell’Assise della Confindustria immediatamente successiva. Perché la produttività è così importante? Da cosa dipende?

Buongiorno a tutti!

Ennesima puntata della “piccola partnership” (non di tipo commerciale, ci tengo a sottolinearlo) con una casa d’investimento (AnimaSgr).

Tengo inoltre a precisare che questo video è dedicato soprattutto agli investitori magari non super professionisti, ma è anche interessante per coloro che sono più “navigati”. Piccola nota: il video è stato creato qualche giorno fa ma ritengo sia sempre valido.

Ovviamente sarò ben lieto di leggere i Vs feedback su questa iniziativa. Vi lascio al video e alla sua trascrizione. Buona visione!

http://www.youtube.com/watch?v=wQjj_QAzHJ0

Produttività: chi era costei?

Nelle ultime settimane nel nostro Paese si è parlato moltissimo di produttività, sull’onda del cosiddetto “Decreto sviluppo” approvato dal Governo ai primi di maggio e dell’Assise generale della Confindustria immediatamente successiva. Perché la produttività è così importante?

Di produttività si parla tanto, ma generalmente se ne capisce poco. La produttività occupa un posto d’onore nella teoria economica: da essa dipende la capacità di un paese di crescere e di competere profittevolmente, di controllare l’inflazione e di aumentare il proprio tenore di vita. Una produttività stagnante è quindi un pessimo indicatore ed è di conseguenza un problema rilevante per i policy maker. In Italia ad esempio la crescita della produttività troppo bassa è un problema da tempo irrisolto. Nel 2008, in uno studio comparativo condotto su 30 paesi, l’OCSE ha stimato che nell’ultimo decennio l’Italia era – tra tutti – il Paese in cui la produttività oraria del lavoro era cresciuta di meno. A parità di altri fattori, ciò ha significato costi unitari più elevati dei concorrenti esteri e quindi un sistematico svantaggio nella competizione internazionale; ed ha voluto anche dire una minore crescita del reddito pro-capite per i cittadini italiani e quindi una limitazione al miglioramento del loro benessere materiale.

In passato la perdita di competitività connessa allo sfavorevole andamento della produttività poteva essere recuperato attraverso la svalutazione delle lira, un’opzione non più percorribile con l’entrata nell’euro. Il divario di crescita rispetto agli altri paesi si è andato continuamente allargando: il Pil europeo è oggi di quasi il 20% superiore a quello di 10 anni fa, mentre quello italiano è cresciuto solo del 3%. Il divario di produttività sempre più ampio è il cuneo che si è inserito tra il 20% dell’Europa ed il 3% dell’Italia.

Da cosa dipende la produttività?

La produttività è definita dai libri di testo come la quantità di output (cioè di prodotto) generato da ogni unità di input (cioè di lavoro e capitale) in un’unità di tempo. La sua misura più comune è la produttività oraria del lavoro, cioè la quantità media di produzione associata ad ogni ora lavorata. Per questo forse spesso il concetto di produttività viene confuso con la “voglia di lavorare”. Ma non è così. Facile a definirsi, la produttività è in realtà molto più difficile da manovrare. In primo luogo è difficile da misurare. Una misura adeguata non dovrebbe infatti tenere conto solo del contributo del lavoro (le ore lavorate), ma anche del capitale. Il lavoro applicato a tecnologie più efficienti è ovviamente più produttivo: in un’ora di lavoro un contadino che usa un trattore produce molto di più che se disponesse solo di un aratro trainato da buoi. Misurare i servizi da capitale è però complicato, sia perché il concetto di capitale si riferisce a tecnologie e processi produttivi molto diversi tra loro (dal cacciavite ai robot), sia perché il contributo del capitale alla produzione (l’ammortamento) è più una convenzione contabile che una grandezza economica vera e propria.

Il problema principale è però che la produttività è il risultato -anche e soprattutto- di moltissimi altri fattori indiretti che possono favorirla od ostacolarla. Talvolta sono fattori apparentemente marginali. Basti pensare, a titolo di esempio, che una delle innovazioni di maggiore impatto sulla produttività dell’intero sistema è stata -nel 1300- la scoperta degli occhiali, che ha reso d’un tratto di nuovo produttivi gli artigiani più abili ed esperti, vale a dire gli artigiani più anziani, quelli a cui la presbiopia prima precludeva di continuare a lavorare dopo i 40 anni.

La performance di un’economia non dipende infatti solo dall’elettronica, dai master all’estero dei suoi manager e dalla scolarità media dei suoi dipendenti; dipende anche in modo determinante dall’ambiente competitivo (che spinge o ostacola l’innovazione); dalla flessibilità dei mercati di riferimento; dalle infrastrutture (ad es. i trasporti); dall’efficienza dei servizi pubblici e dalla semplicità degli adempimenti amministrativi; dall’esosità del sistema fiscale ed anche dalla la certezza dei diritto (che riduce le inadempienze contrattuali ed i rischi di illegalità). Che in Italia ci sia molto da fare su questi terreni non c’è più alcun dubbio. Secondo la Banca Mondiale, su 183 paesi l’Italia è 80ma dietro a tutti paesi dell’Unione Europea per “facilità di fare impresa” (davanti solo alla Grecia) e dietro a Vietnam, Mongolia e Bielorussia; 157ma nella capacità di rispettare i contratti (dietro a Kossovo e subito prima del Congo) e così via.

C’è però ormai anche un ampio consenso sulla necessità di affrontare di petto queste componenti “di sistema” ed è incoraggiante che adesso si ricominci a parlare tanto di questo.

Avere gli occhiali oggi non basta più.

STAY TUNED!

DT

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3 commenti Commenta
paolo41
Scritto il 16 Maggio 2011 at 14:03

Il problema è ancora più complesso di quanto riportato nell’articolo sia per i fattori diretti che indiretti. Purtroppo la ricerca e l’innovazione, di cui tanto si parla, non riguardano solo il prodotto ma, ancora più importante, il processo.
“Ai miei tempi” era facile per i giapponesi e i coreani ( e oggi per i cinesi… vero Gaolin?) copiare i prodotti europei, ma quando si andava a visitare le loro fabbriche… ti facevano vedere solo quelle aree produttive che, come processo, erano allineate alle produzioni europee e/o americane. Le aree dove avevano introdotto significativi miglioramenti del processo e, quindi, della produttività erano tabù.
In altri termini si può anche copiare un nuovo prodotto o farlo simile o prendere la licenza, ma quello che conta è come lo produci; è ovvio non sto qui a parlare dei prodotti ad alto contenuto di manualità dove i costi del lavoro cinese o vietnamita fanno la differenza, bensi di quei prodotti dove la tecnologia di processo, l’automazione e la lean-production superano, come importanza, il costo del lavoro.
Ma per ottenere risultati economicamente validi, sia in termini di ammortamento delle spese di ricerca, sia per giustificare gli investimenti produttivi occorrono i volumi!!!!!
Quando esprimo le mie critiche a tutti quelli che hanno portato alla deindustrializzazione delle aziende italiane ( e che magari ora si ergono a critici dell’attuale contesto), occorre fare notare che nel nostro paese ci sono solo aziende di medie e piccole dimensioni e non esistono più (salvo rarissime eccezioni) aziende di dimensioni tali da permettersi investimenti in quella innovazione di processo che è fondamentale per un significativo aumento della produttività.
Probabilmente occorrerebbe una strategia univoca sui distretti industriali e sulle linee di prodotto omogenee; qualcuno sta cercando di percorrere tale strada, unendo i loro sforzi per un obiettivo comune e meritano il nostro plauso.
In conclusione, non sono negativo sui contenuti dell’articolo, voglio solo evidenziare che i problemi sono ben più profondi.

andrea.mensa
Scritto il 16 Maggio 2011 at 18:38

paolo41,

vero, ma esiste un altro problema.
il valore del denaro è in fin dei conti legato al prezzo delle merci pagato dall’acquirente, e non dal prezzo della merce all’uscita dalla fabbrica, per cui rientra a pieno titolo anch etutta la rete distributiva.
quando Marchionne sostene ch eil costo del lavoro per produrre un’auto è l’8% del suo prezzo di vendita, sostiene questo modo di calcolare la produttività.

paolo41
Scritto il 16 Maggio 2011 at 19:29

andrea.mensa@finanza,

sono rientrato a casa solo ora e trovo il tuo commento….. hai ragionissima…….si potrebbe stare a discutere fini a domani….

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