La crisi economica italiana è strutturale? Come uscirne?

Scritto il alle 10:50 da lampo

Puntate precedenti: 1 2 3 4 5 6 7 8 9

* * * * * *

Nella prima serie di post ho fornito un quadro complessivo della crisi economica italiana, cercando di rilevare gli elementi strutturali.

In questa serie espongo alcune potenziali soluzioni, in parte già adottate in altri Paesi.
E’ possibile coglierne gli aspetti più promettenti, adattarle alla nostra realtà ed attuarle?

A voi la risposta…

I post seguiranno lo stesso percorso dei precedenti: questo post n. 10 tratterà del tema presentato nel post n. 1, il n. 11 quello del n. 2, e così via. 

Forse la frequenza di pubblicazione sarà più sporadica delle precedenti puntate: è richiesta una ricerca più impegnativa e approfondita, da sintetizzare nelle poche righe di un post (per questo consiglio di spulciare le fonti riportate in fondo ad ogni post, dove troverete interessante materiale di approfondimento).

11. UN FUTURO SOSTENIBILE PER IL MERCATO AUTOMOBILISTICO

Auto per abitante

Nel 1960 soltanto il 4% della popolazione mondiale disponeva di un’auto, nel 1980 il 9% ([77]). Oggi abbiamo superato il 17% ([78].

Con la partecipazione consolidata dei BRICS e dei nuovi mercati emergenti (Next Eleven [Prossimi Undici]) alla “festa dei consumi“, è lecito aspettarsi un ulteriore aumento.

Attualmente nei Paesi sviluppati circa il 50% delle persone possiede un’auto, mentre nei Paesi emergenti soltanto il 12% ([81]). Divario destinato a colmarsi nei prossimi anni.

Sostenibilità non più rimandabile

Ovvie le conseguenze in termini di sostenibilità: consumo di materie prime, uso di combustibili, inquinamento, riciclo a fine vita, ecc.

Per questo è importante che la nostra concezione di automobile e soprattutto la sua funzione cambi radicalmente. Sia in rapporto ai nostri bisogni (reali o effimeri che siano) sia in termini di contributo allo sviluppo economico di un Paese (e di contributo al PIL).

Non si tratta di un semplice spirito “ambientalistico” ma è necessario visto che abbiamo superato il picco del petrolio, come dimostra questo grafico dell’Agenzia Internazionale per l’Energia (ringrazio John Ludd per la segnalazione in un commento):

E’ INDISPENSABILE!

Quindi proprio perché dobbiamo cambiare mentalità partiamo dalla… fine della vita dell’auto!

Riciclo

Un’automobile è formata da circa 20-30 mila parti. Si tratta di pezzi che neanche i grandi costruttori sono in grado di realizzare da soli ([79]).

Perciò tali componenti spesso girano (più volte) il mondo prima di raggiungere il loro destino: formare l’automobile dei nostri desideri… che ci possiamo permettere!

Esaurito il suo ciclo di vita, l’auto viene riciclata.

A livello mondiale ogni anno muoiono decine di milioni di auto ([80]).
Poche persone sono a conoscenza che la fonte più grande di rottami per l’industria del ferro e dell’acciaio proviene da automobili obsolete.

Il riciclo dei polimeri e di altre sostanze organiche, presenti nei residui dopo la frantumazione delle parti non metalliche di un’auto, fa risparmiare 23 milioni di barili di petrolio ogni anno (equivalgono a circa un decimo del nostro fabbisogno petrolifero annuale) oltre a 12 milioni di tonnellate di emissioni di gas serra (soprattutto anidride carbonica).
Inoltre con l’avvento delle auto ibride ed elettriche, che si stanno diffondendo sempre più, ci saranno nuovi sofisticati componenti da riciclare (anche in termini di funzionalità).

Attualmente nei Paesi sviluppati si stanno adottando normative che tendono ad imporre percentuali di riciclo sempre più alte. In primis il Giappone.

Quindi quando si acquista un’auto, oltre all’estetica e a quanti “cavalli” ha (aspetti che personalmente non considero mai), bisognerebbe valutare per primo quanto consuma, il peso complessivo dell’automobile, quanto sia riciclabile (e/o se già proviene da fonti riciclabili), il costo di manutenzione, il costo complessivo dell’auto nel ciclo di vita auspicato… e soltanto POI valutare il prezzo! Possibilmente confrontando tali parametri su più modelli.

Infine, dopo essere usciti dal concessionario con un preventivo, passato il momento di euforia propedeutico all’acquisto, è bene porsi la domanda fondamentale:

Mi serve veramente?

Acquistare un’auto, soltanto per averla sempre a disposizione, significa accollarsi il costo di acquisto, il bollo, l’assicurazione, il carburante, i costo di manutenzione ordinaria e straordinaria, la svalutazione annuale, ecc.

Voci di spesa che influiscono in maniera drastica sul bilancio familiare, al punto che… pare di lavorare per mantenere l’auto!

Esistono modi diversi per assolvere allo stesso compito?

Car sharing

Trasforma l’auto da bene di consumo a servizio.
In pratica si utilizza un’automobile su prenotazione, prelevandola e riportandola in un parcheggio. Poi si paga in proporzione al suo utilizzo (a tempo o chilometrico). Quasi sempre il carburante consumato è compreso nella tariffa.

Il vantaggio è conoscere esattamente (ed anticipatamente) la spesa annuale che si dovrà sostenere in base alle proprie esigenze, senza incorrere nei costi fissi: acquisto, manutenzione, assicurazione, tasse, carburante, ecc. Spesso di tratta di costi sottostimati; con tale servizio vengono distribuiti fra tutti gli utilizzatori.

Lo svantaggio principale consiste nella limitazione di offerta del servizio alle grandi città dove esistono più potenziali utenti (clienti).

Si tratta di un’apparente limitazione: infatti la maggior parte della popolazione mondiale vive nelle città e si prevede che sia destinata ad aumentare in futuro ([84]).

Un altro svantaggio è la necessità di restituire l’auto al parcheggio di partenza. Quindi, se devo fare un viaggio in un’unica direzione (senza ritorno), non è molto conveniente (a meno che sia sporadico).

Però in alcuni Paesi, Italia compresa, esistono già servizi che risolvono anche questo aspetto ([83]).

Altri vantaggi sono la parziale risoluzione di alcune problematiche che affliggono le nostre città. Ad esempio il parcheggio e il traffico, visto un veicolo in condivisione ne sostituisce da 4 a 10 di proprietà ([85]).

In Italia il Ministero dell’Ambiente ha supportato l’Iniziativa Car Sharing che riguarda diverse città: Biella, Bologna, Brescia, Firenze, Fossano, Genova, Milano, Padova, Palermo, Parma, Roma, Savona, Scandicci, Sesto Fiorentino, Torino e Venezia ([86]).

Un appunto: mi lascia un po’ perplesso l’aggiornamento del sito, visto che i dati di utilizzo sono aggiornati a giugno 2012 (eppure gli utilizzi vengono generalmente rilevati con una tessera elettronica… per cui l’aggiornamento potrebbe essere quasi immediato!).

Ci sono anche altre città che offrono tale servizio, spesso in collaborazione con le amministrazioni locali.

Per chi sta pensando (in particolare tra gli amministratori) che il carsharing sia destinato a non decollare o a costituire una semplice moda passeggera, segnalo alcuni aspetti.

L’ultimo sondaggio internazionale condotto, dalla nota società KPMG, fra gli operatori del settore per comprendere lo stato attuale e l’evoluzione futura del mercato automobilistico, rivela che ben il 72% degli intervistati ritiene che la mobilità nelle città (utilizzo delle automobili e altre forme di trasporto) si svilupperà come servizio a consumo piuttosto che come proprietà individuale di un’auto ([87]).

Nel mondo ci sono oramai migliaia di città che adottano il sistema del carsharing (compresi molti Paesi emergenti).

Il carsharing incentiva l’uso del trasporto pubblico: l’importante è integrarlo bene con tale servizio. A tal proposito consiglio di leggersi un po’ di documentazione (in italiano) disponibile sul sito del progetto europeo MoMo a cui partecipiamo (siamo partner con il Ministero dell’Ambiente e l’Enea): il fine è creare un circuito unico internazionale di alleanze fra fornitori di servizi di trasporto in modo da permettere ai clienti di viaggiare facilmente da un punto all’altro senza usare l’auto privata ([88]).

L’esempio più noto è la città tedesca di Brema, che con i suoi oltre 500 mila abitanti: viene presa a modello per quanto riguarda il carsharing e la mobilità sostenibile.

Attualmente nella cittadina ci sono oltre 6.700 utenti che utilizzano tale servizio. Consente un risparmio in termini di parcheggi equivalente a 25-40 milioni di euro, senza contare 1.500 auto circolanti in meno (oltre agli aspetti ambientali). Un grafico mostra la crescita degli utenti ([89]) nel corso degli anni:

Per questo sono stati selezionati per partecipare all’Expo 2010 di Shanghai al fine di descrivere la propria esperienza in tema di carsharing, da cui è tratto questo video che ne spiega il funzionamento ([91]):

L’amministrazione di Brema, non ancora soddisfatta dei risultati (!), ha lanciato un nuovo ambizioso piano, puntando a raggiungere 20.000 utenti entro il 2020, quattro volte quelli del 2009 ([90]).

Se vi sembrano pochi, questo video vi fa capire come il carsharing sia soltanto uno dei vari aspetti del progetto di mobilità adottato dalla città ([92]):

Risulta evidente l’integrazione del carsharing con il trasporto pubblico.

Infine vorrei menzionare la possibilità di utilizzo proficuo del carsharing anche da parte della Pubblica Amministrazione. Perché? Per iniziare quel processo di cui quasi tutti (gli amministratori) parlano ma che poi, in base a quanto ci dicono le statistiche nazionali, pare dia pochi risultati concreti: la riduzione della spesa pubblica.

La Provincia autonoma di Trento l’ha adottato da alcuni anni, consentendo un risparmio di oltre 300.000 euro, rispetto al classico sistema adottato prima ([93]). Un video spiega i risultati, come funziona ed i futuri sviluppi ([94]):

Ma se non vivo in città?

Car pooling

Consiste nel mettere a turno a disposizione la propria auto a più persone, alternandosi nell’utilizzo. Oppure semplicemente trovare persone con cui condividere il percorso che si compie con il proprio automezzo.

In pratica si dà un passaggio a chi è interessato a svolgere lo stesso tragitto (sia che si tratti di un pendolare oppure di un unico viaggio), che partecipa con un contributo (pattuito precedentemente) per abbattere i costi variabili: carburante, autostrada, parcheggio, ecc.

Come pubblicizzo il mio tragitto o trovo un passaggio?

Semplice: ci si registra ad una delle piattaforme che li raccolgono (la registrazione contribuisce alla sicurezza, visto che si devono fornire i propri dati personali, anche se la consegna di un documento è spesso facoltativa) e poi si inserisce il percorso offerto, oppure si trova un passaggio.

In Italia ci sono diversi siti. Ne cito alcuni:

Il sito italiano del noto circuito internazionale: www.carpooling.it

Il Consorzio dei Comuni di Bolzano ha creato una rete di carpooling per l’Alto Adige, utilizzando proprio questo circuito, come spiegato in questa semplice guida ([98]).

Un progetto italiano, molto innovativo, che sta diffondendosi sempre piùwww.bring-me.it

Il sito di Autostrade per l’Italia (per il momento gli utenti si concentrano sulla Lombardia)www.autostradecarpooling.it

Le amministrazioni pubbliche possono incentivare la sua diffusione.

Un esempio. Il Comune di Bologna concede, nelle occasioni di blocco del traffico, di circolare sempre se si è in almeno 3 persone in macchina ([95]).

Infine, merita una menzione particolare, l’invenzione italiana chiamata Jungo ideata da Enrico Gorini ([96]). Non aggiungo altro, così guardate il video che ne spiega il funzionamento nel dettaglio ([97]):

La Provincia Autonoma di Trento, dopo aver svolto un approfondito studio sulla mobilità sostenibile e le principali soluzioni da adottare, ha deciso di promuoverne la diffusione, mettendo a disposizione uno sportello informativo ([96]). Altre amministrazioni italiane hanno dato seguito…

Non c’è dubbio che sia una trovata geniale… e con un potenziale di diffusione impressionante!

Tutte queste modalità alternative di mobilità hanno bisogno di raggiungere una “massa critica” per diventare consuetudine. Importante il passaparola!

Molti obietteranno che incentivare al minore uso dell’auto ha un riflesso negativo in termini economici. Vediamo se è vero il contrario!

Un esempio?

La Commissione Europea ha stimato che la congestione del traffico nelle nostre città ci costa annualmente circa 100 miliardi di euro, pari all’1% dell’intero PIL europeo ([113]).

Poi…

Mezzi alternativi.

In Danimarca hanno condotto uno studio economico approfondito sugli effetti positivi nell’andare in bici. In pratica attraverso un’equazione che tiene conto di diversi fattori (costi di trasporto, sicurezza, comfort, turismo, tempistica del trasporto e salute) hanno scoperto che percorrere un km in bicicletta comporta un guadagno economico netto per la società, mentre lo stesso km percorso in auto genera una perdita ([101]).

Pensate soltanto ai minori costi del sistema sanitario, grazie all’effetto sulla salute degli abitanti (sia in termini di inquinamento che di attività motoria), oltre alla minore spesa procapite (non si deve mantenere un’auto), senza menzionare i costi per gli incidenti automobilistici, relative infrastrutture (strade, parcheggi, tangenziali, ecc) e loro manutenzione, ecc.

In una città come Copenhagen (circa un milione e mezzo di abitanti) oltre il 50% della popolazione arriva al lavoro o a scuola in bicicletta. ([102]).

Con qualsiasi condizione meteo… visto che in caso di neve, le piste ciclabili, vengono pulite prima delle strade…

Ma se devo trasportare qualcosa o qualcuno?

Ci sono le “cargo bike” ([106]):

Altro aspetto interessante è che gli investimenti pubblici spesi per tali infrastrutture generano un profitto ([103]).

Periodicamente vengono svolti monitoraggi al fine di migliorare sempre più la fruizione della bicicletta, oltre ad incentivarla ([105]).

Non per niente a Copenhagen ogni giorno vengono percorsi in bicicletta oltre 1 milione di Km ([103]).

Non mi pare che la Danimarca stia attraversando una grave crisi economica… dovuta al minore uso di automobili!

Nota: per gli amministratori che volessero adottare il modello danese consiglio di leggersi la pubblicazione riportata nella nota n. 103.

Mezzi pubblici

Non mi dilungo a spiegarvi quanto sia importante incentivare il trasporto pubblico nel contesto che abbiamo appena spiegato. Mi limito a citare un caso emblematico: Venezia.

La città ha un afflusso turistico annuale di oltre 25 milioni di persone. Comprendete bene quanto sia importante, visto anche la particolare posizione geografica, garantire la mobilità pubblica e soprattutto la sua efficienza.

Nel 2006 la Corte dei Conti aveva avviato un’indagine conoscitiva sullo stato di attuazione della pianificazione del Trasporto Pubblico Locale (TPL), da cui Venezia risultava inadempiente ([107]).

Ecco che l’anno seguente l’Amministrazione decide di lanciare un piano decennale per riorganizzare il trasporto pubblico locale, sulla base di uno studio approfondito delle varie problematiche territoriali ([107 e 108]).

Il piano ha previsto una diversa mobilità, dirottandola su una flotta piuttosto varia: autobus, vaporetto, treno, bici, carsharing (e bikesharing), parcheggi per lasciare l’auto, ecc.

Poi per semplificare la modalità di fruizione è stata creata una tessera unica che consentisse l’accesso al trasporto in tutte le sue modalità, parcheggi compresi (da quest’anno la tessera diventa elettronica [109]). Inoltre è stato aggiunto anche l’accesso turistico ai musei, a cui si verranno aggiunti altri servizi (palestre, biblioteche, ecc.).

Infine la società storica A.C.T.V., che gestisce gran parte del trasporto pubblico locale (di cui il Comune è il primo azionista), ha sviluppato un grande offerta di corse extraurbane (anche notturne!) che comprendono un vasto territorio della Provincia di Venezia, ampiamente usate da parte della popolazione (ne ho usufruito più volte).

Attualmente Venezia, tra le città con oltre 200.000 abitanti, è in cima alla classifica di utilizzi del trasporto pubblico urbano, con 571 viaggi per abitante all’anno ([110]), è al secondo posto come superficie di piste ciclabili (per abitante), ha il più basso tasso di motorizzazione (vista anche la sua particolarità) oltre a possedere la più grande isola pedonale ([110]).

Sicuramente c’è ancora spazio di miglioramento…

Complessivamente la situazione italiana del trasporto pubblico locale non è incoraggiante. L’Istat evidenzia nel 2012 un calo nella domanda di trasporto pubblico locale pari al 7,4% ([111]).

Ricerca ed innovazione

Adesso vediamo l’importanza della ricerca ed innovazione per il rilancio del settore automobilistico, soprattutto dal lato della domanda.

Come esempio adotteremo il Paese che, a partire dagli anni 70, ha letteralmente invaso il mondo il mercato automobilistico mondiale: il Giappone.

Non c’è dubbio che siano stati in grado di fornire un prodotto migliore, in termini di qualità e di costo, conquistando i clienti di Europa ed USA ([99]), ancora oggi.

Come ci sono riusciti?

Per capirlo bisogna rispondere ad un’altra domanda.

I soldi dell’acquirente dove vanno a finire?

Fino a qualche anno fa, il prezzo di listino di un’auto era così composto ([99]):
31% costi di distribuzione e marketing (incluso quindi il margine del produttore e rivenditore);
69% costi di fabbricazione così composti: 48% costi dei componenti dell’automobile e del materiale per produrla, 9% spese generali, 13% costi di produzione del veicolo.
A sua volta, questo 13% comprende principalmente il costo del lavoro e quello di ammortamento degli investimenti affrontati per la produzione (macchinari, stabilimenti, ecc.).

Emerge che il costo del lavoro ha un’incidenza maggiore sul segmento più basso del mercato (auto più economiche) mentre diventa sempre più irrisorio, man mano che si avanza nella gamma, dove incide sempre più l’innovazione tecnologica, il design e l’affermazione del marchio della casa automobilistica.

L’innovazione tecnologia ha permesso nel corso degli anni di ottimizzare i consumi ([79]):

Fonte: JAMA – The motor industry of Japan (maggio 2013).

Ciò grazie ad una serie di interventi, quali l’iniezione diretta del combustibile, la fasatura variabile delle valvole, riduzione del numero di pistoni e del loro attrito, lubrificanti evoluti a bassa viscosità, miglioramento dell’aerodinamica (studiando il comportamento nella galleria del vento), utilizzo di materiali più leggeri e contemporaneo rafforzamento della struttura del veicolo, pneumatici a bassa resistenza al rotolamento (con minore attrito), sistemi di stop&start, passaggio all’ibrido, ecc.

Tutto ciò è stato incentivato da un susseguirsi di normative sempre più stringenti, rivolte a penalizzare auto pesanti, con motori poco efficienti (c’è una tassa sul peso dell’automobile!) ed inquinanti. In ultimo si è intervenuto anche sulle emissioni di CO2 (anidride carbonica) non solo a livello di veicoli, ma anche considerando gli impianti produttivi (oltre all’impatto ambientale).

Molte di tali regolamentazioni sono state adottate in accordo con l’Associazione dei costruttori. L’aspetto più assurdo è che, varata una norma, l’industria automobilistica ha spesso raggiunti tali obiettivi con largo anticipo.

Dovrebbe far riflettere quanto un’accurata pianificazione normativa possa orientare allo sviluppo tecnologico di un settore industriale.

Certo dopo ci sono altri accorgimenti, quali una filosofia industriale e produttiva legata all’ottimizzazione continua.

Sicuramente avrete sentito parlare di concetti come la produzione “just in time”, ottimizzazione di processo grazie ai circoli della qualità (che coinvolgono le idee dei dipendenti), rivolti a ridurre il tempo di produzione di un’automobile in catena di montaggio, ecc.

Adesso, negli ultimi tempi siamo giunti a concetti “nuovi”, quali la produzione di un veicolo su misura del cliente (ultra personalizzato), oppure alla fornitura di un servizio di mobilità completo “a tariffa” senza tutte le incombenze derivanti dal possesso di un’auto.

Molti di voi si chiederanno se il governo giapponese ha favorito il possesso di un’auto ricorrendo ad una tassazione più agevolata?

Vi lascio riflettere su questo grafico in cui troverete la risposta ([79]):

Fonte: JAMA – The motor industry of Japan (maggio 2013).

Infine la più evidente anomalia presente in Italia nell’uso dell’auto è facilmente individuabile da questo grafico ([79]):

Fonte: JAMA – The motor industry of Japan (maggio 2013).

Siamo tra i primi Paesi ad avere più auto per abitante (oltre 600 ogni 1.000 [111]) e contemporaneamente siamo tra gli ultimi posti come numero di passeggeri per auto

E’ evidente che c’è qualcosa che non va… oltre a non potercelo più permettere.

Credo sia inutile elencarvi statistiche sulla percentuale di veicoli che non sono coperti da assicurazione RCA (obbligatoria), che non seguono una regolare manutenzione (a parte la revisione… se si ricordano), a cui non vengono cambiati i pneumatici entro ragionevoli parametri di usura, ecc…

Come vedete non è soltanto un problema economico, industriale, di competitività, ecc… è necessario cambiare mentalità ed investire di più in ricerca (magari incentivata da normative stringenti e finanziamenti pubblici rivolti a tale scopo).

Riflessi sulla nostra salute

In Europa è stato condotto un lungo studio, i cui risultati sono stati recentemente pubblicati sulla nota rivista The Lancet ([100)]. L’obiettivo era studiare gli effetti a lungo termine dell’inquinamento atmosferico sulla salute dei cittadini (le persone sono state seguite per 13 anni monitorandone gli spostamenti!). In pratica è stato misurato l’inquinamento dovuto alle polveri sottili tossiche presenti nell’aria (particolato PM 10 e PM 2,5) causate principalmente dalle emissioni di motori a scoppio, impianti di riscaldamento, attivita’ industriali, ecc.

Oltre ad emergere l’ormai noto legame con le malattie tumorali, purtroppo si è scoperto che siamo il Paese più inquinato tra i 9 esaminati. Ma l’aspetto più preoccupante è che l’esposizione ad una concentrazione di inquinanti inferiore agli attuali limiti europei (PM10: 40 µg/m³ e PM2,5: 25 µg/m³) è in grado di incrementare il rischio di tumore al polmone (in particolare l’adenocarcinoma), il più diffuso.

Tenete conto che in Italia tali limiti vengono oramai sistematicamente superati più volte nel corso dell’anno ([111]).

Conclusione

Quindi urge cambiare atteggiamento… e per farlo è richiesta la collaborazione di tutti: istituzioni, governo, associazioni industriali, produttori di automobili e componentistica, scuola, università, ricerca, consumatori e cittadini.

Non ci sono più scuse, neanche di consenso elettorale, visto che sono proprio i cittadini a chiederlo e volerlo, come emerge da questo sondaggio europeo ([112]):

Fonte: Commissione Europea. – Città in bicicletta, pedalando verso l’avvenire (1999)

In particolar modo gli italiani.

Dimenticavo… il sondaggio è del 1991!
Oggi tali richieste non sono cambiate ([113 e 115]).

Sono passati oltre vent’anni… con poche risposte concrete!

Molte soluzioni esaminate sono a costo zero… o addirittura generano un profitto (specie sul lungo termine).

L’ideale in questi tempi di recessione…

* * * * * *

Buona riflessione e alla prossima puntata

Lampo

Nota: si prega di leggere la premessa a questa serie di post.

Buttate un occhio al nuovo network di

Meteo Economy: tutto quello che gli altri non dicono

| Tutti i diritti riservati © | Grafici e dati elaborati da Intermarket&more su databases professionali e news tratte dalla rete | NB: Attenzione! Leggi il disclaimer (a scanso di equivoci!)

Fonti ed approfondimenti:
[77] – Treccani.it – L’Innovazione Dell Automobile in XXI Secolo (2010).
[78] – World Bank – World Development Indicators: Traffic and congestion (2010).
[79] – JAMA – The motor industry of Japan (maggio 2013).
[80] – Argonne National Laboratories – End-of-Life Vehicle Recycling: State of the Art of Resource Recovery from Shredder Residue (settembre 2010).
[81] – BBVA Research – Economic Watch – Emerging market keyfor the automobile sector (ottobre 2012).
[82] – IEA – Meeting the World’s Demand for Liquid Fuels A Roundtable Discussion (7 aprile 2009). La traduzione in italiano del grafico riportato in tale report è stata curata dalla sezione italiana dell’ASPO (Association for the Study of Peak Oil).
[83] – car2go – Sito italiano: Milano (consultata il 18 agosto 2013).
[84] – UNFPA (United Nations Population Fund) – State of World Population 2012 – pag. 62 (14 novembre 2012).
[85] – University of California – Worldwide carsharing growth: an international comparison (2006).
[86] – Iniziativa Car Sharing – I gestori – Le città servite (consultato il 18 agosto 2013).
[87] – KPMG – Global Automotive Executive Service 2013 (gennaio 2013).
[88] – momo – Car-Sharing Fact Sheets – lista Documentazione in italiano (consultato il 18 agosto 2013).
[89] – Brema (Germania) – Car-Sharing in Bremen (2011).
[90] – Brema (Germania) – Action plan “Car-Sharing for Bremen” (2009).
[91] – Expo 2010 di Shanghai – Car sharing: An Example from Bremen (2010).
[92] – YouTube – GlotzRichter – Sustainable Transport in Bremen (visionato il 18 agosto 2013).
[93] – Provincia autonoma di Trento – Ufficio Stampa: il car sharing provinciale produce risparmi concreti (5 aprile 2013).
[94] – YouTube – Provincia autonoma di Trento – La Provincia informa: Risparmi ed efficienza con il car sharing (11 aprile 2013).
[95] – ATC S.p.A. – Car pooling (visionato il 23 agosto 2013).
[96] – Jungo.it – Sito Ufficiale (visionato il 23 agosto 2013). Profilo dell’ideatore: Enrico Gorini. – Provincia Autonoma di Trento – La Provincia di Trento favorisce sistemi di trasporto alternativi: l’esperimento “Jungo” (dicembre 2008).
[97] – YouTube – Jungo nel dettaglio (visionato il 18 agosto 2013).
[98] – Consorzio dei Comuni di Bolzano – La nuova rete di carpooling per l’Alto Adige (2010).
[99] – Matthias Holweg – Judge Business School, University of Cambridge – Build to Order: Chapther 2 The Evolution of Competition in the Automotive Industry – Springer London (2008).
[100] – The Lancet – Air pollution and lung cancer incidence in 17 European cohorts: prospective analyses from the European Study of Cohorts for Air Pollution Effects (ESCAPE)(10 luglio 2013). Breve sintesi giornalistica (in italiano): AGI – Dimostrato legame tumori-smog, Italia il Paese piu’ inquinato (10 luglio 2013).
[101] – Secretariat for The Cycling Embassy Of Denmark – Bicycle Account 2010 (maggio 2010).
[102] – Secretariat for The Cycling Embassy Of Denmark – Bicycle Account 2012 (3 giugno 2013).
[103] – Secretariat for The Cycling Embassy Of Denmark – Collection of Cycle Concepts 2012 (1 agosto 2013).
[104] – YouTube – Bicycle Rush Hour in Copenhagen (visionato il 31 agosto 2013).
[105] – YouTube – Bikeability: Research in bicycle behaviour (visionato il 31 agosto 2013).
[106] – YouTube – Copenhagen Cargo Bikes (visionato il 31 agosto 2013).
[107] – Comune di Venezia – Piano del trasporto pubblico urbano – Presentazione del Piano (visionato il 31 agosto 2013).
[108] – Comune di Venezia – Il Piano Urbano della Mobilità (visionato il 31 agosto 2013).
[109] – Ve.La S.p.A. – Venezia Unica (visionato il 31 agosto 2013).
[110] – Legambiente. – Ecosistema Urbano 2012 (ottobre 2012).
[111] – Istat. – Dati ambientali nelle città – Qualità dell’ambiente urbano (23 luglio 2013).
[112] – Commissione Europea. – Città in bicicletta, pedalando verso l’avvenire (1999).
[113] – Commissione Europea. – Eurobarometro: gli europei vogliono una mobilità migliore (26 luglio 2007).
[114] – Commissione Europea. – Clean transport, Urban transport (aggiornato al 17 maggio 2013).
[115] – Commissione Europea. – Staff Working Document – Public consultation in preparation for the Green Paper on urban mobility (25 settembre 2007).

22 commenti Commenta
draziz
Scritto il 3 Settembre 2013 at 11:45

Mi complimento per la qualità e la dovizia di informazioni dell’articolo.

Nel nostro Paese è più che evidente come sia colpevole e strumentale il ritardo accumulato nello sviluppo del trasporto pubblico (basta pensare alla difficoltà di realizzare nuove linee di Metropolitana a Milano, con la linea 5 che esiste prima della 4…) e del trasporto merci.
D’altronde le tasse sui carburanti sono un’ottima fonte di entrate, nonché quelle sulle assicurazioni (che guarda caso aumentano sempre con le solite scuse trite e ritrite), per non parlare dell’indotto generato dalle manutenzioni e dai pezzi di ricambio.
Fin che c’è guerra c’è speranza, titolava un film interpretato da grandissimo attore italiano…

L’economia ristagna, le possibilità economiche languono, allora ecco che per vendere un’automobile oggi si fa leva sul livello di “gonzaggine” del potenziale acquirente magnificando prestazioni da autodromo (e magari il “gonzo” tipo ha dei figli che a scuola fanno a gara per scrivere il tema più bello sulle tecnologie verdi e su come è bello il nostro pianeta…), mostrando nella maggior parte dei casi la vettura “dei sogni” su strade DESERTE ed in lande sconfinate (ma ‘ndo …zzo vive il “gonzo” tipo, in Patagonia?).

Il punto, come dici, è sempre lo stesso: bisogna cominciare ad accettare il fatto che… gli altri siamo noi!
Tutto l’inquinamento urbano, dell’aria, delle acque, prima o poi direttamente o indirettamente ci raggiungerà e dovremo farci i conti, sicuramente con un saldo negativo.
Perchè si tarda? Perchè certi bambini non crescono mai, si evolvono in “gonzi” con il denaro in tasca e con un egosimo da psicanalisi.

Alla prossima puntata

7voice
Scritto il 3 Settembre 2013 at 12:29

SE NE ESCE ? COME NO :TERZA GUERRA MONIDLE O PANDEMIA ………….SCEGLIETE VOI QUALE SIA MEGLIO ! 🙄 🙄 🙄

paolo41
Scritto il 3 Settembre 2013 at 13:06

aggiungi che abbiamo le strade intasate da SUV e superSUV, macchinoni tipo Mercedes e BMW, chi è contrario al trasporto su rotaia, i sindacati che vogliono ulteriori investimenti in Italia (investimenti senza speranza!!!) e che vanno a braccetto con i sostenitori della difesa dell’ambiente…. Una chiara dimostrazione di chiarezza di idee…

ilcuculo
Scritto il 3 Settembre 2013 at 18:11

7voice@finanza,

ma va…….o

lampo
Scritto il 3 Settembre 2013 at 19:40

draziz@finanza,

Interessante la tua interpretazione 😉
In pratica, permettimi di riassumere e semplificare, sostieni che in Italia negli ultimi decenni si è creato un sistema di mercato ad uso e consumo (e spennamento) del “gonzo” medio italiano.
In pratica lo si è educato, cresciuto e indottrinato al fine di rimanere il più possibile “gonzo” in modo da mantenere certe posizioni di rendita, grazie al suo spennamento e controllo, stile marionetta…

Proprio questo è il motivo per cui bisognerebbe ripartire dall’educazione, riformando la scuola… e facendovi entrare gente con vere credenziali, magari tramite colloqui di lavoro…
Non concorsoni a cui si accede con punteggi dati dal quel corso di specializzazione, servizio, ecc… in pratica ad uso e consumo di chi è già dentro (con contestuale appoggio dei sindacati).
Non sono contrario ai concorsi (ne ho fatte decine nella mia vita)… ma forse proprio per questo conosco quanto siano poco meritocratici in molti casi (non voglio generalizzare perché non sarebbe corretto, visto che ho riscontrato, sulla mia pelle, molte eccezioni a tale regola).

Sono sicuro che molti rimarranno allucinati da tale mia affermazione, ma in molti Paesi nordici è normale fare un colloquio di lavoro per assumere un insegnante… specialmente nelle scuole di periferia, dove ci sono più immigrati e diverse nazionalità nelle classi. In pratica vogliono i professori più bravi e qualificati (in termini di conoscenze, capacità, curriculum, ecc), in modo che gli studenti, una volta che si affacciano sul mondo del lavoro, non vengano penalizzati dalle loro origini… rispetto agli altri, ma vengano scegli dal mercato del lavoro proprio per quel “quid” di conoscenze in più.
Insomma non rimangano emarginati… con relativi conseguenti costi assistenziali.

Bisognerebbe fare un blog o una rivista (settimanale) in Italia solo per descrivere e pubblicizzare le esperienze positive di altri Paesi e anche di realtà locali che possono essere applicate altrove.
Sarebbe già un buona partenza…

dfumagalli
Scritto il 4 Settembre 2013 at 01:50

“La crisi economica italiana è strutturale? Come uscirne?”

Io ne sono uscito andando a stare fuori dall’Italia.

Chi si è mangiato il mio futuro, chi ha distrutto la mia città, chi mi ha messo 33000 euro di debito sulla mia testa, chi ha votato delinquenti e incapaci di tutti i partiti… possono restare e rimediare alle loro schifezze.

draziz
Scritto il 4 Settembre 2013 at 08:30

lampo,

Confermo ed ottima la tua interpretazione del mio pensiero.

D’altronde, se uno Stato sovvenziona una sua industria automobilistica (non facciamo nomi…) è per averne o il controllo (dato che si sostituisce ad una banca) od un ritorno economico dall’economia che se ne crea.

Meritocrazia: è da decenni che è stata cancellata (anche qui: si dice il peccato, ma non il peccatore…) in nome di un’uguaglianza che si è tradotta in palese sperequazione generazionale, sperequazione ma al contrario, a danno di chi è venuto prima e di chi ha sudato per acquisire formazione ed esperienza, che per essere valorizzate vedrebbero un uso della componente retributiva che di fatto è insostenibile per le aziende in generale.
Per anni ho fatto colloqui per le assunzioni (io ero quello che valutava “i candidati”) e le domande più gettonate sono sempre state: quanto mi date di stipendio e quando faccio le ferie (tralasciamo la necessità o l’eventualità del lavoro di sabato o domenica…).
Rarissima la domanda: ma come fate la mia formazione? Oppure: cosa mi insegnerete?

L’automobile, come tanti altri beni voluttuari, sono da molto tempo uno status symbol: lo posseggo, quindi sono, in una distorta logica cartesiana che ci vede esistere solo se consumiamo.
Mi sento di affermare che la spasmodica ricerca del lavoro, in questo Paese, per lungo tempo è stato frutto della bramosìa di aderire ad uno schema sociale preimposto per la… guida del “gonzo”, non per una crescita personale di competenze e segreti da trasferire alle generazioni seguenti.
Ma ci si è messa di mezzo la globalizzazione ed il confronto con stili di vita ed esigenze quotidiane diverse dalle nostre, cosa che si riflette nel costo del lavoro e di unità di prodotto.
Sarebbe interessante chiedere a quel 40% di giovani, che costituiscono la schiera dei senza lavoro, perchè cercano un posto fisso: è evidente che non è solo per mangiare, che le aspirazioni sono anche altre.
Ma qual è il livello di quelle aspirazioni? E lo stesso è compatibile con il futuro di sovrappopolazione?

kry
Scritto il 4 Settembre 2013 at 13:13

lampo,

Quasi,quasi mi metto a rottamare auto. Visti i tempi potrebbe essere un’idea.
draziz@finanza,

Ma qual è il livello di quelle aspirazioni? E lo stesso è compatibile con il futuro di sovrappopolazione?………. e un presente in sovrapproduzione.

luigiza
Scritto il 4 Settembre 2013 at 13:39

kry@finanza:
lampo,

Quasi,quasi mi metto a rottamare auto. Visti i tempi potrebbe essere un’idea.
draziz@finanza,

Ma qual è il livello di quelle aspirazioni? E lo stesso è compatibile con il futuro di sovrappopolazione?………. e un presente in sovrapproduzione.

Già! Chissà perchè questa proposta di Decrescita felice alle mie orecchie si trasforma in Illusione pervicace?

draziz
Scritto il 4 Settembre 2013 at 13:42

kry@finanza,

Giusto.
Ma perchè la sovraproduzione non può essere assorbita?
Dove si è rotto il punto di equilibrio?
Con le pretese insostenibili dello stile di vita occidentale o con le nuove istanze delle popolazioni degli emergenti? O… ?

lucianom
Scritto il 4 Settembre 2013 at 13:54

draziz@finanza,

Nel fare il selezionatore puoi anche trovare elementi molto validi ma ciò non vuole dire niente. Una volta assunti sono comandati da manager “stupidi , dei quali non si conosce perchè sono li, certamente non per meriti” che non li sanno valorizzare ed anzi li boicottano, questo ho visto nella multinazionale per cui ho lavorato 35 anni che alla fine ha chiuso, per mia fortuna dopo che ero andato in pensione.La meritocrazia non esiste nemmeno nelle aziende private dove potrebbero attuarla tranquillamente con enormi benefici.

kry
Scritto il 5 Settembre 2013 at 00:08

draziz@finanza,

O……? La sovrapproduzione non può essere assorbita perchè non è più possibile crescere a debito. Le banche centrali compresa la bce hanno come scopo ( mandato ) di non far aumentare l’inflazione, solo per far contenti i loro più influenti/potenti clienti (multinazionali). Il punto d’equilibrio si è rotto proprio in una crescita economica grazie al debito e inflazione inesistente. Quando è mai successo che le banche centrali stampino moneta e l’inflazione non cresce perchè tale moneta viene trattenuta dalle stesse banche e preferiscono investirle in debito sovrano piuttosto che prestarlo ai propri clienti. Si è passato il tempo in cui per ottenere un mutuo casa bastava presentarsi allo sportello con l’asse del water, in futuro se non diventerà obbligatorio il pagamento elettronico la carta per il gabinetto si passerà a prenderla in banca.

lampo
Scritto il 5 Settembre 2013 at 00:41

lucianom,

Quanto ti capisco… 🙄 anche se c’è qualche eccezione, per fortuna!

schwefelwolf
Scritto il 6 Settembre 2013 at 02:30

Scusami, Lampo, ma di cosa parliamo?
Leggendo il tuo post non posso che farti i complimenti per l’attenzione – direi quasi meticolosa – che hai rivolto alle mille possibilità che ci sarebbero… se solo l’Italia non fosse quella che è.
A leggerti mi verrebbe da pensare che sei uno svedese, o un tedesco: tutte cose sensate, giuste, documentate/documentabili. Ma non fattibili: non in Italia, non a sud di Grosseto.
Mi chiedo: non guardi mai la TV? Non vedi i politici italiani, non li senti? Non senti le dichiarazioni dei falsi invalidi che difendono il proprio diritto alla truffa? Non vedi che stiamo/stai parlando di un Paese irrecuperabile (a meno di una guerra civile)?
A parte ciò: come fai a vivere in Italia senza una macchina – per scassata che sia? Siamo in un Paese – e parlo del nord! – che non ha neanche un funzionante servizio di corriere (parlo della vecchia “corriera”, non della UPS). Se vuoi andare in treno da Milano a Castelletto Ticino (45 km) ci metti due o tre ore – a seconda dell’orario. Vuoi andarci in bicicletta? Con tutte le buche sulla strada?
Goditi le tue belle teorie….

PS. Senza offesa: trovo che tu abbia fatto una splendida ricerca. Solo che – vista dall’Italia – mi sembra una favola da Alice nel Paese delle meraviglie…

lampo
Scritto il 6 Settembre 2013 at 15:59

schwefelwolf@finanza,

A me non pare sia una favola, visto che molte delle realtà descritte provengono dall’Italia.
Prova a farti un giro a Ferrara o a Pordenone e vedi quanti usano la bicicletta e quante piste ciclabili ci sono (a Pordenone è da poco che hanno trasformato le strade tirando via spazio alle macchine per le biciclette!).
Prova ad andare in Trentino…
Certo rimane il problema del Sud… ma sono sicuro che anche lì c’è ancora una minoranza della popolazione che sarebbe disposta a uscire allo scoperto e a lottare per riuscire a realizzare qualche progetto del genere.
Il problema è che in Italia chi vuole che il Paese funzioni veramente e fornisca dei servizi è una minoranza… che però incomincia a venire allo scoperto… anche perché è stufa di subire.

Io spero che una parte della politica lo capisca (lo dico in maniera apolitica senza nessun colore o schieramento), anzi sono convinto che l’hanno capito, ma sono ancora titubanti… nel senso che preferiscono mandare avanti gli altri per non bruciarsi.

In questo caso più si parla di queste cose (anche nel piccolo come sto facendo)… più c’è la possibilità di affermare quel poco di speranza di miglioramento pacifico della situazione italiana.
Ne guadagnerebbero anche gli scettici come te (e me per certi versi… sì mi metto tra quelli!)

Non voglio dire cosa succederebbe nell’altro caso…

gainhunter
Scritto il 8 Settembre 2013 at 10:27

lampo, non ho ancora trovato il tempo di guardare con la dovuta attenzione e calma la documentazione, ma ti faccio da subito i complimenti, non solo per l’ottimo lavoro ma per l’atteggiamento costruttivo nel mostrare le soluzioni possibili e quelle già adottate, anche in Italia. A dimostrazione del fatto che l’Italia non è quella feccia che appare guardando la televisione, che i politici non sono tutti ladri e approfittatori (distinguo per persone, non per partiti), che gli Italiani non sono un popolo di m…., come spesso purtroppo si legge e si sente.
Dare voce agli aspetti positivi, non continuare a evidenziare solo quelli negativi e andare a vedere il meglio degli altri paesi, fingendo di non vedere quegli aspetti che all’estero sono peggio che da noi. Questo è l’atteggiamento costruttivo che può far cambiare quello che non funziona.
Spesso la buona amministrazione, la partecipazione del popolo, le idee innovative restano limitate a ambiti locali, e uno dei motivi è la scarsa informazione positiva e la scarsa informazione locale, oltre alla limitata autonomia delle amministrazioni locali; più autonomia, più trasparenza e più informazione fanno più controllo e più partecipazione del popolo.

Passando all’argomento specifico del post, ci sarebbero diverse considerazioni da fare sul possesso vs noleggio e simili, ogni soluzione ha vantaggi e svantaggi, ma per ora mi fermo qui. Bravo, bravo, bravo!

lampo: A me non pare sia una favola, visto che molte delle realtà descritte provengono dall’Italia.

Quoto.
C’è poca informazione su queste cose, e anche su molte altre, e questo è un danno anche per l’immagine dell’Italia.

perplessa
Scritto il 8 Settembre 2013 at 22:54

draziz@finanza: in nome di un’uguaglianza che si è tradotta in palese sperequazione generazionale, sperequazione ma al contrario, a danno di chi è venuto prima e di chi ha sudato per acquisire formazione ed esperienza, ch

in quale film hai vista sta storia?se gli scatti di anzianità, almeno nel pubblico impiego, sono stati eliminati dai contratti nel lontano ormai remoto 1987,se sono decenni che per gli avanzamenti di carriera conta solamente il titolo di studio e i master ?se è noto che in alcuni settori sono state fatte pressioni sui dipendenti, tramite premi di produttività, e pressioni di altro tipo, per soverchiare i clienti a vantaggio dell’azienda?se vi sono vari ricorsi, alcuni vinti, in settori sia pubblici che privati, per le pari opportunità, in seguito al fatto che persino il part-time è stato penalizzante ai fini di carriera, perchè l’anzianità è stata decurtata in proporzione?

schwefelwolf
Scritto il 9 Settembre 2013 at 17:41

lampo,

D’accordo: se mi parli del Trenino o del Friuli, magari anche di regioni come Vento, Lombardia, Emilia Romagna… Regioni che non hanno praticamente nulla da dire – tanto meno da decidere – a Roma. Piú spingi a sud la “rassegna” delle regioni, piú dovresti renderti conto dell’inutilità di ogni progetto. E’ da sessant’anni che si continua a rovesciare valanghe di soldi pubblici (generati al nord) nel buco nero del sud. E’ una cosa che alla grande massa degli italiani non ama sentirsi dire. Se rileggi il “Sacco del Nord” di Ricolfi – che non mi sembra né un razzista né un facinoroso – dovresti renderti conto dell’impossibilità di uscirne.
Non basta un 10% di “cellule sane” (sempre piú in difficoltà) per rimettere a posto un organismo malato in avanzata metastasi. Comunque è vero, hai ragione: quel 10% c’è ancora. Mi chiedo solo per quanto ancora…

schwefelwolf
Scritto il 9 Settembre 2013 at 17:55

lampo,

Scusa Lampo, ho inviato la replica un po’ di fretta. Rileggendola vedo una serie di strafalcioni: ovviamente parlavo di Tren[t]ino, di Ven[e]to e cosí via.

Colgo l’occasione per un mini-appunto integrativo. Leggo che il ministro Saccomanni sta predisponendo una nuova task-force per l’ormai mitica “spending review”. Domanda: non ti senti attrocemente preso per i fondelli? Quante “spending review” vogliono ancora fare, a Roma, prima che qualcuno non decida di mettere finalmente fine a questa “farsa infinita”? Ma neanche in Turchia arrivano a tanto…

gainhunter
Scritto il 9 Settembre 2013 at 18:39

schwefelwolf@finanza,

Ecco, appunto, allora quando spariamo a zero sull’Italia vediamo di distinguere, perchè una parte funziona come, se non meglio, di altri parti d’Europa.
Se guardiamo sempre alle medie facciamo del male soprattutto a chi contribuisce a alzare la media.

lampo
Scritto il 9 Settembre 2013 at 21:44

schwefelwolf@finanza,

Sì hai ragione, per certi versi mi sento preso per i fondelli, ma oramai quel 10% (spero veramente che non sia così bassa la percentuale!) si è abituato ed ha imparato a non credere alle frignacce che raccontano… ma andare a consultare i dati economici o le fonti originali (o semplicemente documentarsi sulla stampa estera… sigh!).

Faccio un esempio attuale per far comprendere il mio pensiero.

In questi giorni Saccomanni & C. continuano a dire (leggo dai mass-media), semplificando e riassumendo, che la ripresa è all’orizzonte (mi pare di averla sentita già da un po’ questa cantilena… ma soprassediamo) e che praticamente quasi tutto va secondo le aspettative.

In realtà sembra che la situazione dei conti stia peggiorando a vista d’occhio. Alcune evidenze tratte da un resoconto che riassume bene la situazione (l’ho scelto apoliticamente per la sintesi e obiettiva analisi di varie fonti):
https://www.facebook.com/permalink.php?story_fbid=479574705473818&id=461258893972066
1) Abbiamo perso posizioni in termini di competitività (7 per l’esattezza);
2) L’OCSE e altri organismi internazionali abbassano le stime sull’Italia… mentre il Tesoro rimane ottimista (pur cannando le precedenti stime);
3) viene proposto di aumentare l’emissione di debito pubblico di ulteriori 18 miliardi per “affrontare i primi mesi del 2014 con sufficiente riserva di liquidità”. Nota che era già stato approvato un aumento da 24 a 80 miliardi di emissioni (che adesso probabilmente arriverà a 96!);
4) c’è un netto peggioramento del saldo primario (e deficit);
5) si slitta ulteriormente l’approvazione dei bilanci degli enti locali (provvedimento già approvato), Mi chiedo: serve per far slittare i trasferimenti agli enti locali, INPS, ecc al prossimo anno? Così abbelliamo i conti di quest’anno? Oppure serve a rispettare la soglia del 3% deficit/PIL quest’anno (visto il peggioramento del numeratore e denominatore… sigh!)… poi il prossimo anno chi ci sarà, vedrà?
6) il debito pubblico continua ad aumentare (ma ci siamo abituati oramai…) con conseguente aumento delle emissioni necessarie per pagare soltanto gli interessi (siamo arrivati alla cifra monstre in 450 miliardi).

Adesso mi chiedo: ci stanno prendendo per scemi o lo siamo veramente?

La relazione la trovate qui:
http://www.camera.it/_dati/leg17/lavori/documentiparlamentari/IndiceETesti/057bis/002/INTERO.pdf
E’ interessante notare, a mio giudizio, delle stime previsionali ancora ottimistiche, mescolate a dati di fatto che evidenziano un peggioramento delle precedenti stime.
Un esempio per chiarire: impatto dei pagamenti arretrati della PA (che qui viene passato quasi come “anticipo”!).
Vengono date delle stime sulla futura crescita del PIL (grazie a tali pagamenti) che definire FANTASIOSE è poco. Provo a spiegarlo con un semplice ragionamento.

Io imprenditore ho dei debiti con la PA per forniture degli anni precedenti. Supponiamo che vantare un credito pari 100.000 euro relativo ad una fornitura compiuta 4 anni fa (siamo ottimisti!).
Mi restituiscono 100.000 euro oggi (anzi domani, visto che devono ancora darmeli!).
Nel frattempo l’inflazione mi ha eroso il valore di quei soldi: stimo una perdita pari a circa il 11-12% (vado a memoria con le statistiche quindi potrei errare di uno o due punti).
Nel frattempo, per continuare la mia attività, probabilmente, visto la crisi in corso, ho dovuto chiedere un finanziamento alle banche, spiegandogli che devo vantare dei soldi dalla PA (la mia garanzia… assieme a qualche firmetta proforma di qualche familiare… per fiducia nei miei confronti). Le banche, gentili, mi hanno concesso ben la metà di quel credito ad un tasso del 6% (incluso lo spread). Ciò equivale (visto che il finanziamento è pari alla metà del debito) ad una perdita pari a circa quella derivante dall’inflazione.
Per cui i 100.000 euro che mi vengono restituiti in realtà, con le spese sostenute per il finanziamento e per la perdita del potere d’acquisto mi valgono circa il 22-25% in meno di quello che valevano se fossi stato pagato 4 anni fa. Per cui è come se ricevessi 75-78.000 euro al valore di 4 anni fa.
Ma io ho fatto una fornitura di 100.000 euro… su cui supponiamo avevo un margine di guadagno del 20% (che è più che buono al giorno d’oggi).
Secondo voi quei soldi io imprenditore li reinvesto… o a malapena mi coprono le spese?
Ovvio che la prossima fornitura alla PA la faccio con un margine di guadagno almeno doppio, aumentando il prezzo… giusto per tutelarmi in caso di mancato pagamento!
E tenete conto che non ho considerato il fatto che avere quei soldi prima… mi avrebbe permesso di investirli in altre commesse, nell’azienda, ecc, rendendomi ulteriori margini di guadagno (che in 4 anni ho perso, visto la “reclusione” dei miei soldi nelle casse dello Stato e l’ulteriore danno dovuto alla reclusione di ulteriori miei soldi nel finanziamento che ho dovuto sottoscrivere). E neanche il caso di un imprenditore, che sfortunatamente, non ha ottenuto credito dalle banche (perché mai… vantando dei crediti dalla PA) ed è, in attesa dei soldi, fallito (questo mi porta a pensare male, cioè che chi generalmente contrae ancora con la PA, se è ancora soppravvissuto è perché tende a fornire i propri beni/servizi/consulenze ad un prezzo superiore di quello che offrirebbe ad un semplice privato… oppure vi lavora sporadicamente… oppure altro [meno lecito]… ma lasciamo perdere).

Quindi tali stime indicate nel documento, permettetemi che siano solo “FUFFA”. Peccato che lo scopriremo soltanto fra qualche anno… in un documento simile a quello citato sopra. Speriamo che quella volta sarà più realista.

Nota: le considerazioni sopra riportate sono prettamente da considerarsi “apolitiche”. Le avrei fatte indipendentemente da chi avesse sottoscritto una relazione del genere.

schwefelwolf
Scritto il 10 Settembre 2013 at 10:50

lampo,

Come dicevo nella mia prima replica: non posso che farti i complimenti. Sei preciso, attento, informato. E lo confermi con questo ultimo post.

E’ peraltro naturale che le tue considerazioni siano “apolitiche”: se sono (come sono) oggettive, restano inevitabilmente immuni da colorazioni di parte.

Io non sono – come sempre ribadito – un economista: al contrario, di queste cose temo di capire assai poco. Ma penso di saper fare i soliti due conti “della serva”.
Se per 50 anni (o piú) spendo regolarmente piú di quello che guadagno, finisco, prima o poi, in difficoltà. Se ho la possibilità di stamparmi i soldi in cantina posso tirare avanti in qualche modo. Mi trovo magari ogni due-tre anni a dover svalutare, ma anche questo mi torna utile per recuperare competitività. Quindi, bene o male, mi barcameno, almeno fino a quando nessuno viene a visitare la mia tipografia in cantina.
E cosí ha fatto l’Italia fino all’entrata nell’euro: continuando a finanziare il disavanzo stampando moneta e indebitandosi. Tutta quell’eccedenza di spesa era però dovuta – a mio avviso – alla somma di tre grandi fattori: la corruzione (che da cinquant’anni si riempie la “panza” stile Fiorito & Co.), l’inefficenza amministrativa (sprechi) e quella che chiamerei “assistenza sociale” piú o meno travestita.
Non penso che un qualsiasi governo italiano, di qualsiasi colore, sia realmente in grado di affrontare anche solo uno di questi tre “blocchi”. Ma facciamo pure fantapolitica e sognamo ad occhi aperti: arriva un governo da Marte, bello, pulito, capace etc. E quindi elimina la corruzione. Già con l’efficenza amministrativa le cose si complicano: intervenire in quel campo significherebbe – oltre ad una serie di provvedimenti legislativi che porrebbero fino al potere delle lobby ministeriali – anche una serie di drastici interventi strutturali (= licenziamenti), che già scivolerebbero verso il terzo “blocco”, quello degli assistenzialismi (guardie forestali, ipertrofia del pubblico impiego etc.). Toccare quel “terzo” settore – quello dell’assistenzialismo strutturale (sottolineo: STRUTTURALE) – significherebbe, ad esempio, cancellare i milioni di false invalidità, eliminare i milioni di assunzioni inutili o fasulle. Significherebbe – scusa la ripetitività – causare una guerra civile. E quindi neanche il “governo marziano” lo farebbe mai.
Pertanto si continuerà a parlare di spending review, ma ci si limiterà sempre a ritocchi cosmetici. A Roma riescono neanche ad applicare la (sacrosanta!) “spesa standard”: già pronta e servita… Una non-applicazione che nessuno in Europa, al di fuori del “Club Med” (Grecia-Italia-Spagna-Portogallo) riuscirebbe mai a capire.
Nel frattempo – come ottimamente esponi nel tuo post – le entrate continuano a diminuire (per la falcidie di piccole-medie imprese costrette a chiudere o a dislocare) e la spesa a lievitare. E a Roma continuano ad inventarsi costantemente nuovi “giochetti” delle tre carte, per aumentare – in un modo o nell’altro – un carico tributario ormai piú che insostenibile. La “vacca” ormai spremuta non fa piú latte ma sangue: ma a Roma continuano a non volerne prendere atto. Non sanno cosa fare: tirano in là e sperano in un miracolo (europeo?)

Sarebbe gentile se qualcuno volesse spiegarmi – a fronte di questo quadro – dove riesce a trovare anche solo una punta di ottimismo. O qualcuno crede che la Merkel, una volta vinte le elezioni, decida di “adottare” il Sud-Italia? Per “solidarietà” europea? E come lo spiega ai suoi contribuenti?
Conclusione personale: se resta nell’Euro, l’Italia è morta. Non so se possa salvarsi uscendone: ma sarebbe – a mio avviso – l’unica possibilità.

Sostieni IntermarketAndMore!

ATTENZIONE Sostieni la finanza indipendente di qualità con una donazione. Abbiamo bisogno del tuo aiuto per poter continuare il progetto e ripagare le spese di gestione!

TRANSLATE THIS BLOG !

I sondaggi di I&M

VEDO PREVEDO STRAVEDO tra 10 anni!

View Results

Loading ... Loading ...
View dei mercati

Google+